Meritocrazia: un problema di giustizia o una risorsa per lo sviluppo?

La meritocrazia ha una validità duplice, configurandosi sia come possibile fonte di incentivi ai più meritevoli, sia come minaccia a coloro i quali tendessero ad abbassare il proprio livello di dedizione al lavoro.

Il contesto di vita lavorativo è uno degli snodi più importanti tra la sfera soggettiva e l’aspetto sociale della nostra esistenza. Alla fine degli anni ’70, la psicologia ha trovato una sintesi molto efficace di questa centralità della vita lavorativa nel modello proposto da U. Bronfenbrenner. Nel suo libro “Ecologia dello sviluppo umano”, le condizioni di vita e di lavoro sono poste nella sfera dell’Esosistema e i rapporti interpersonali che si creano sul posto di lavoro sono parte integrante della sfera del Mesosistema. Ogni ambito di lavoro diventa quindi necessariamente il perno degli interessi primari di una persona, sotto il profilo del sostentamento economico e per quanto riguarda il soddisfacimento dei bisogni relazionali e di auto-affermazione. La meritocrazia è intesa come insieme di criteri atti a valorizzare gli elementi di competenza e produttività in una posizione lavorativa. Regola i processi lavorativi in modo strettamente legato all’individualità del lavoratore. Altri elementi di motivazione o di inibizione all’impegno lavorativo fanno leva su aspetti più genericamente socio-relazionali. Spesso, il concetto di meritocrazia viene usato come stimolo ad ottimizzare le risorse mentali dei lavoratori. In altre situazioni, la parola meritocrazia evoca dei provvedimenti punitivi. La meritocrazia ha una validità duplice, configurandosi sia come possibile fonte di incentivi ai più meritevoli, sia come minaccia a coloro i quali tendessero ad abbassare il proprio livello di dedizione al lavoro. Ha assunto sempre una connotazione velatamente punitiva da parte di chi la evoca. Ciò coincide con la sensibilità dei lavoratori virtuosi, i quali vedono un momento di giustizia e spesso di rivalsa personale. Lo stimolo personale fornito da una buona organizzazione lavorativa si concretizza in un’ottimizzazione delle risorse e in una possibilità di crescita personale, sotto il profilo delle competenze e delle soddisfazioni economiche. Proviamo ora ad individuare quali aspetti di meritocrazia sono applicabili all’Università italiana. Quella Pubblica, che vive di stanziamenti ministeriali e che inquadra il proprio personale, docente e non docente, nel mare magnum del pubblico impiego nazionale. La meritocrazia in ambito universitario si confronta con il duplice ruolo dell’istituzione, didattico e ricerca. Entrambi i settori sono oggetto di valutazione, spesso auto-gestita dalle stesse sedi universitarie; la meritocrazia nell’ambito universitario è pertanto una realtà già consolidata, soprattutto nella didattica. Nella ricerca, invece, l’Università sta scoprendo come il sistema di finanziamento dei progetti sia, di fatto, una fonte indiretta di meritocrazia, dove i gruppi di lavoro più attivi trovano spazio e risorse. I docenti che non sanno valorizzare il proprio lavoro o che non garantiscono alcun risultato tangibile nella propria attività di ricerca sono destinati ad essere emarginati da un processo sempre più selettivo. L’Università italiana, pertanto, non può più rinunciare alla meritocrazia come sistema di auto-regolazione e di ottimizzazione delle proprie risorse. La sfida di ogni Ateneo è riuscire a formare i ricercatori del futuro, che sappiano competere in un sistema non basato sulla distribuzione degli incentivi, ma che si fonda direttamente sulla valutazione progettuale come criterio per l’accesso ai finanziamenti. I quali non saranno più un premio o uno stimolo. I finanziamenti alle Università e alle proposte progettuali che queste sapranno sviluppare saranno l’unica base sulla quale costruire l’attività accademica del futuro. Alla luce di questo scenario, il concetto di meritocrazia diventa anche riduttivo!

Tiziano Agostini
Professore ordinario di metodologia della ricerca psicologica
Giovanni Righi
Dipartimento di Psicologia, Università degli Studi di Trieste

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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