Un cammino iniziato trent’anni fa

Sono passati trent’anni dalla promulgazione della Legge Basaglia, provvedimento che ha introdotto un sostanziale cambiamento socio-culturale nella cura delle malattie mentali. Molto resta ancora da fare, per garantire risposte adeguate, sia in termine di cura che di integrazione sociale, al malato e ai suoi familiari. Il primo passo? Ripartire dalla dimensione “local”.

La salute mentale rappresenta oggi la grande sfida dei paesi civilizzati sia in termini di contenimento ma anche in termini di risposte.

Ricorre quest’anno il trentennale di una legge che è stata importante perché ha spostato il pilastro assistenziale, nei confronti della sofferenza mentale, dall’idea di reclusione, e quindi di esclusione, all’idea di territorializzazione dei servizi. Senza dubbio in questi 30 anni molte cose si sono fatte anche se la territorializzazione dei servizi, poiché legata proprio al grande tema della flessibilità, della presa in carico globale della persona, della capacità di continuità assistenziale tra ospedale e territorio, alla possibilità di relegare soltanto alla fase acuta la degenza del paziente, senza dubbio alcuno, ha bisogno ancora di molta attenzione ma soprattutto di sinergie rinnovate.

Io credo che la filosofia ispiratrice di questa impostazione sia una filosofia assolutamente vincente. La persona con sofferenza mentale ha bisogno di trovare la possibilità di vivere la sua condizione con un supporto assistenziale che sappia colmare il gap tra quella che è la fase acuta, (quindi eventuale rimodulazione della terapia, eventuale rivalutazione della condizione clinica del paziente) e la possibilità di dimissioni precoci; ma soprattutto deve avere la possibilità di frequentare un centro diurno, di trovare dal proprio psichiatra territoriale una risposta immediata e soprattutto di poter guardare in maniera sempre più ampia alla sua integrazione sociale.

Per questo credo che il grosso degli investimenti che dovranno essere sviluppati dalle Regioni, dovrà essere erogato proprio nell’ambito dei servizi del territorio. Da Assessore alle Politiche Sanitarie della Regione Veneto avevo promosso la prima Conferenza Regionale sulla Salute Mentale, peraltro già investita del ruolo governativo, nella piena consapevolezza che oggi tra moltissime regioni vi sia uno squilibrio sostanziale. Uno squilibrio soprattutto a monte di destinazione dei fondi e di capacità di gestire un modello che abbia un’efficacia calata sul territorio. Per questo motivo credo che il modello veneto di integrazione socio-sanitario rappresenti soprattutto per quanto riguarda la patologia mentale uno dei modelli più efficaci. Per quanto riguarda la sofferenza mentale non credo che lo stigma vissuto da sempre per questo tipo di patologia sia completamente superato.

Sulla pazzia vi è ancora la volontà di, in qualche maniera, separazione rispetto ai cosiddetti “sani”. E questo purtroppo è un fattore di civiltà che ha bisogno ancora di qualche passo in avanti. Però quello che sta crescendo in maniera esponenziale oltre ad un’incidenza patologica di disturbi mentali gravi, come la schizofrenia o la paranoia, con un trend costante, e l’esplosione di quelle cosiddette zone grigie o patologie border line, che oggi sempre di più affliggono la nostra epoca. In particolare mi riferisco alla depressione, a tutte quelle situazioni che non vengono colte in ambito familiare, ma addirittura nascoste. Così come quelle situazioni che vengono negate dallo stesso paziente. Su questo tema, sulla capacità di raccogliere la sofferenza e interpretarla, anche nelle sue fasi precoci, credo che si giochi la strategia vincente.

Oggi più che mai anche la medicina di famiglia deve essere capace di raccogliere questi segnali che il paziente fornisce, di segnalare quindi il disagio, gli effetti correlati alla sofferenza psichica come ad esempio i disturbi del sonno, i disturbi comportamentali o gli scatti d’ira che spesso vengono visti come nervosismo e stress mentre invece nascondono delle situazioni di vera sofferenza che poi purtroppo sfociano nei sempre più frequenti casi di cronaca a cui assistiamo. Esistono situazioni critiche della vita quotidiana in cui una persona tendenzialmente normale, di colpo evidenzia disturbi gravissimi che portano a gesti inconsulti. Ad esempio, per quanto riguarda l’integrazione socio-sanitaria, credo che i servizi sociali debbano stare molto vicini a persone in via di separazione.

Molti di questi casi hanno al centro proprio una sofferenza psichica e mentale legata a traumi in cui spesso vengono coinvolti anche i minori. Su tutto questo credo si giochi una grande sfida da mettere in atto, ossia quella di sviluppare una psichiatria sempre più attenta alle terapie innovative, alla capacità di spesa sui farmaci innovativi e alla necessità di un confronto a livello internazionale, perché questo è un dibattito europeo all’interno dell’OMS.

Al di la delle gradi strategie però ritengo che la sofferenza psichica si affronta sul local: sulla vicinanza territoriale e sulla capacità di prendere in carico la persona nelle varie fasi della malattia.

On. Francesca Martini
Sottosegretario di Stato – Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali

 

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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