Sport, handicap e… un pizzico di ironia

Bruno Pizzul

Amici ciechi di Crotone mi hanno manifestato il loro rammarico per l ‘ eliminazione dagli Europei della squadra per la quale facevano il tifo . L ‘ Italia ? No , la squadra che sentivano più “ loro ” , quella dei “cechi” che anche al loro orecchio raffinato richiamava la loro situazione personale . La Repubblica Ceca , inutile dirlo

Sport e handicap. Indicazione estremamente sintetica e di apparente facile comprensione, in realtà irta di difficoltà concettuali e terminologiche. I due sostantivi, infatti, pretendono qualche approfondimento: tanto per cominciare, sport è concetto molto più complesso di quanto non si possa credere, tanto che, benché al proposito si siano impegnati studiosi del linguaggio, della sociologia, della psicologia, ancora non è stata trovata una definizione generale  unanimemente accettata. Ci sono alcune componenti da tutti condivise, la competizione, il rispetto delle regole, la fisicità, le graduatorie di valore, ma molto si discute, senza accordo, su altri fattori come la gratuità dell’impegno, il divertimento, la lealtà stessa. D’altronde, fino a quando si userà il medesimo termine, sport, per indicare quello che fanno i campioni strapagati del superprofessionismo e quello che invece fanno i ragazzini quando cominciano a misurarsi tra loro o i dilettanti e amatori veri, non c’ è possibilità di arrivare a una definizione che sappia mettere tutti d’accordo.A proposito di handicap, poi, insorgono spesso scrupoli di natura lessicale, si ha la tendenza a evitare espressioni che sembrino troppo crude. Ci si  ingorga in circonlocuzioni falsamente addolcenti. E allora via con i diversamente abili, gli audiolesi anziché i sordi, gli affetti da deficit visivo anziché i ciechi e via discorrendo. Se è lodevole l’intento di non offendere, talora lo scrupolo sortisce effetti contrari: di recente mi è arrivato un messaggio in cui amici ciechi di Crotone, di cui avevo raccontato tempo fa un’incredibile partita a calcio vero, mi manifestavano il loro rammarico per l’eliminazione dagli europei della squadra per la quale facevano il tifo. L’Italia? No, la squadra che sentivano più “loro”, quella dei “cechi”, che anche al loro orecchio raffinato richiamava la loro situazione personale. La Repubblica Ceca, inutile dirlo. Un fatterello che dimostra in modo chiaro come non siano certo le parole a creare problemi o a suscitare risentimenti nei portatori di handicap che, anzi, sanno anche condire la propria condizione con un pizzico di ironia, quando è il caso. Ciò premesso, penso che si possa e si debba sostenere che lo sport, per l’handicap, è venuto assumendo un’importanza e un significato del tutto particolari. Attraverso la pratica sportiva si arriva al momento fondamentale della socializzazione, si esce dall’angoscia della solitudine e dell’isolamento, si trovano stimoli del tutto particolari per il miglioramento della prestazione personale e il superamento del limite, che esiste per tutti, anche se i cosiddetti normodotati fanno di tutto per superarlo, magari in maniera truffaldina. Ma la cosa forse più rilevante è la constatazione che, nella pratica agonistica dei portatori di handicap, si comprende subito che si è di fronte a una situazione nella quale è lo sport ad essere per l’uomo e non l’uomo per lo sport. Non è un semplice modo di dire. L’esercizio fisico, la prestazione individuale, sono occasioni che lo sport offre al praticante, quale ne sia la potenzialità in rapporto al risultato finale. Certo, anche nello sport dei cosiddetti portatori di handicap, c’è l’inevitabile tendenza a verticalizzare l’importanza della prestazione, ci sono le Paraolimpiadi accompagnate da crescente successo, c’è il caso Pistorius che suscita appassionato interesse. Ma io penso che sia importante soprattutto l’occasione che lo sport offre ai tanti portatori di handicap che non diventeranno mai campioni, ma continuano a trovare entusiasmo e piacere dall’aggregazione, nella pratica sportiva, ciascuno secondo le proprie potenzialità e i propri limiti. Senza contare i benefici di carattere terapeutico ben conosciuti e riconosciuti. Se mi è consentito, vorrei anche capovolgere il senso che di solito viene attribuito alla partecipazione dei normodotati alle manifestazioni in cui gareggino atleti con qualche handicap. Come accennato, mi capita abbastanza spesso di essere invitato a tornei o gare di tal genere: nonostante l’abitudine, la prima reazione è di segno discutibile, tipo, sì ci vado, faccio loro un piacere, dimostro di essere sensibile ai problemi. Invariabilmente, al termine dell’esperienza, sono io a sentirmi più ricco, perchè coinvolto dallo spirito di gioiosa partecipazione e condivisione di quegli sportivi, capaci di trasmettere messaggi di singolare valore. E si misurano anche loro con lo spirito giusto. Giocano per vincere, ma sanno accettare anche la sconfitta con la consapevole soddisfazione di aver comunque fatto qualcosa di piacevole e di salutare. Sanno gareggiare col sorriso sulle labbra, anche quando perdono. E poi i normodotati sarebbero quelli che, per una partita di pallone, si fanno sangue amaro e magari si lasciano andare a riprovevoli manifestazione di maleducazione o vera e propria violenza. Sport questo e quello? Anche da queste considerazioni si capisce come la definizione generale di sport sia pressoché impossibile. Ma anche che tra sport e handicap esiste un rapporto privilegiato e sicuramente positivo.

Bruno Pizzul
Giornalista sportivo e commentatore televisivo

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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