Quanto fa bene vincere una medaglia!

Siamo passati da una concezione di sport-terapia, di fondamentale importanza negli anni ‘50 e ‘60 per l’avviamento allo sport di persone disabili, ad un concetto di agonismo quasi esasperato che ci ha portato a ragionare se un ragazzo come Oscar Pistorius, possa sfidare atleti normodotati in una rassegna come i Mondiali di atletica leggera o le stesse Olimpiadi. Ma il paralimpismo non è soltanto questo….

Mi è stato chiesto di intervenire sul tema “Disabilità e Sport”,  portando così un contributo di carattere sociale alla rivista che di questo, essenzialmente, si occupa: ‘Social News’.  Parlare dello sport per i disabili, in chiave di risorsa terapeutica e di recupero di senso alla propria vita, significa parlare di un formidabile strumento potenzialmente alla portata di tutti. Significa offrire concrete speranze di riappropriarsi dell’autostima, prima leva della salute interiore, quando il limite fisico sembra chiudere tutte le prospettive. Parlo per esperienza vissuta sulla pelle: da giovane pentatleta di mille speranze e sicuro talento, mi sono trovato di fronte ad una scelta, probabilmente, obbligata. Conoscevo il benessere che offre la pratica sportiva, tanto più ne ho apprezzato le virtù dopo, quando con una forte dose di carattere, non certo secondaria, mi rendo conto, ho ripreso a muovere braccia e gambe, cimentandomi nel nuoto a livello agonistico. Averci creduto mi ha portato in cima ai podi paralimpici, regalandomi l’ebbrezza di figurare negli albi d’oro delle Paralimpiadi e di essere ‘l’uomo da battere’. Questa non è una favola scritta sul libro dell’impossibile, delle belle intenzioni difficilissime da attuare. Accade quotidianamente alle migliaia di persone che praticano sport con il Comitato italiano Paralimpico, che mi onoro di presiedere: sono persone diversissime, per età, provenienza, storia personale. Abbiamo fatto passi da gigante in questi ultimi anni, direi, senza il timore di essere smentito. Siamo passati da una concezione di sport-terapia, di fondamentale importanza negli anni 50 e 60 per l’avviamento allo sport di persone disabili, ad un concetto di agonismo quasi esasperato che ci ha portato, questa estate, a ragionare se un ragazzo come Oscar Pistorius, amputato ad entrambe le gambe, possa sfidare atleti normodotati in una rassegna come i Mondiali di atletica leggera o le stesse Olimpiadi. E’ chiaro che il paralimpismo non è soltanto questo. E’ un settore in continua evoluzione, dove gli sport praticati da persone disabili sono ormai numerosi, alcuni codificati all’interno degli organismi internazionali, altri ritenuti addirittura impossibili solo pochi anni fa. In Italia, tanto per tornare a casa nostra, il percorso è stato ancora più articolato. La veste di Comitato Italiano Paralimpico ci ha permesso di includere, nella nostra famiglia, anche federazioni di disciplina come la Federazione di  Wheelchair Hockey, la Federazione Golf Disabili, la Federazione Sport Silenziosi, la Federazione Sportiva Automobilistica Patenti Speciali, di riconoscere enti di promozione sportiva, di siglare protocolli d’intesa con numerose federazioni del CONI, creando in alcuni casi anche una sezione di atleti disabili all’interno di esse. Non è però solo agonismo. Penso soprattutto alla grande operazione promozionale che abbiamo messo in atto in questi anni, grazie a partner che ci hanno sostenuto in progetti importanti, alla comunicazione, finalmente efficace, che ha avuto un ulteriore impulso grazie ai Giochi Paralimpici Invernali di Torino 2006. Eventi che hanno messo in vetrina, finalmente anche in termini appropriati, un movimento che ha un solo scopo: quello di garantire la pratica sportiva ad ogni cittadino disabile della nostra Italia.

Una cosa, però, le unisce e costituisce un cemento straordinario: la capacità di sfida con se stessi, la travolgente spinta a superare i limiti fisici che ovviamente li frenano, compensando con energia di spirito e carica sovrumana. Sono loro i protagonisti di tante, meravigliose, storie della volontà che può tutto. Il CIP, come lo chiamo per brevità e, ormai, grande familiarità, riunisce non solo i campioni da record, quelli che ambiscono alle Paralimpiadi, ma, semplicemente, tutti quanti, in situazione di disabilità, desiderano anche solo praticare sport a livello dilettantistico, per il puro piacere di farlo. Siamo balzati all’onore delle cronache, ultimamente, per progetti importanti, quello del Tre Fontane su tutti, un centro sportivo all’avanguardia sulla scena internazionale dedicato ai disabili. Se riusciremo a reperire gli ingenti fondi necessari, avremo una “città dello sport” aperta, secondo una logica dell’accoglienza ribaltata, anche a chi disabile non è.

Bella scommessa, direte voi! Eppure è il segno concreto, tangibile, di quanto pensiamo da sempre: per noi la piena integrazione del disabile nel tessuto sociale è la meta del lavoro quotidiano e la sua normalizzazione è per noi il primo obiettivo. La cittadella dello Sport paralimpico avrà due scopi, principalmente: offrire la sede più opportuna di allenamento ‘top level’ per le nazionali delle diverse discipline  e costituire un centro sportivo polivalente per l’avviamento alla pratica del più ampio numero di persone possibile.

Senza contare i vantaggi, in termini di immagine e visibilità, che avrà Roma: non esistono, infatti, in Europa, analoghe esperienze di città sportive per disabili. Siamo stati sulla bocca di molti anche per un altro motivo: Oscar Pistorius. Nessuno sportivo disabile aveva mai rappresentato un caso di forza attrattiva tale: 21 anni di grinta e di testardaggine, uniti ad un talento innegabile nella corsa. Questo sì, per il Cip, ha costituito una vetrina impensabile, indirettamente. Sono stato coinvolto per offrire pareri competenti in merito. Ho sostenuto con forza la battaglia di questo ragazzo che portava avanti non tanto la sua, quanto la battaglia di tutti i disabili, a non essere discriminati in via preventiva e pregiudiziale. E’ vero, fui io il primo a suggerire che Oscar Pistorius fosse invitato al Golden Gala di Atletica di Roma, la celebre kermesse annuale della FIDAL. Abbiamo creduto fin dall’inizio in questo tentativo da parte del ragazzo sudafricano di inseguire un obiettivo tanto straordinario.

Oscar Pistorius, con il suo gesto, ha aperto scenari importanti. In primo luogo, il suo messaggio, ovvero quello di uno sport per tutti, ha raggiunto milioni di persone disabili in tutto il mondo, ragazzi e ragazze che probabilmente non avevano mai preso in seria considerazione l’ipotesi di praticare una disciplina sportiva. Con la sua volontà fuori dal comune ha aiutato il nostro movimento ad avere quella attenzione che merita. Ha infine contribuito a cancellare quel sentimento di pietismo che spesso la gente nutre nei confronti di una persona disabile. Mi spiego meglio. Il fatto che il caso Pistorius sia stato affrontato da un punto di vista tecnico, se, cioè, le protesi possano aiutarlo o meno nelle sue prestazioni, è il segnale concreto che la questione ha assunto altri temi, lontani da quelli della commiserazione. Sono convinto, poi, che le regole debbano essere rispettate ma, in definitiva, possono anche essere riviste. Il caso di Oscar, così, è diventato paradigmatico della forza caratteriale che può infrangere barriere e tabù, fino a sovvertire la logica del senso comune, creando, comunque, un precedente storico che proietta lo sport mondiale su scenari insospettabili. Quelli, appunto, delle gare tra normodotati e disabili come fatto normale e accettato. Cosa che, più o meno, accade già, pur se in forma limitata e quasi ‘sperimentale’ nella disciplina del Tennistavolo, che sempre più spesso non fa distinzione tra gli iscritti ai Tornei, quella del Tiro con l’Arco, dove nessuno più si accorge del concorrente in carrozzina, quella della Scherma, ai cui Mondiali del 2007 atleti disabili si sono alternati agli altri in pedana quasi inosservati. Vorremmo stare sulla bocca di tutti anche per un altro motivo, però: le statistiche dicono che ci sono 150.000 studenti disabili nelle scuole dell’obbligo, 40.000 tra 0 e 6 anni che trarrebbero beneficio alla loro disabilità con la pratica sportiva. Ci sono, infine, circa duemila giovani che ogni anno restano invalidi a seguito di incidenti.  Ecco, di tutti loro il CIP abbraccia una minima parte: vorremmo rappresentare per tutti la prospettiva più allettante, la sfida da raccogliere, la sola chance di recuperare un senso importante alla propria vita attraverso l’autostima. Per fare questo, il Comitato Paralimpico dovrà muoversi con una comunicazione mirata e sistematica all’interno di ospedali, centri di riabilitazione, nelle scuole, dove molto lavoro deve essere ancora fatto. Probabilmente, infatti, la forza comunicativa della Giornata Nazionale dello Sport Paralimpico, evento che prevede la partecipazione di migliaia di studenti delle scuole italiane e possibile grazie alla collaborazione di Enel Cuore Onlus, è ancora insufficiente a raggiungere il grande pubblico e veicolare i nostri messaggi di accoglienza. Si tratta, infatti, di una manifestazione annuale, promossa dal CIP e giunta solo alla seconda edizione: ancora troppo giovane per fare un lavoro promozionale che sia capillare ed efficace, ma già fondamentale per il messaggio che porta con sé: quello dello sport integrato, di una pratica sportiva strumento di inclusione sociale.

Comunicazione, quindi, come impegno strategico per la crescita del nostro movimento, ma anche tutela economica dello sportivo disabile: questo è un altro dei nostri obiettivi, solo in parte raggiunto. Il CIP, infatti, ha stretto protocolli d’intesa con le Fiamme Azzurre, il Gruppo Sportivo della Polizia Penitenziaria: grazie ad esso 4 atleti paralimpici sono stati reclutati tra gli atleti del Comando ed ora gareggiano sotto i colori della divisa del Dipartimento della Polizia Penitenziaria. Puntiamo, più avanti, alla possibilità che i nostri atleti ‘top level’ siano assunti nei ministeri di riferimento, almeno quelli dei corpi smilitarizzati, per svolgere la carriera agonistica finché sono nella massima condizione e poi essere inseriti nell’organico per il lavoro d’ufficio. Per ultimo, vorrei rivolgermi ai ragazzi. So che Social News è organo di divulgazione del Dipartimento Giustizia Minorile. Da uomo di Sport, permettetemi di lanciare loro un messaggio con forza e convinzione: ci sono strade che si possono evitare, perché conducono per sentieri pericolosi e sbagliati, spesso in vie senza uscita. Poi ci sono strade da percorrere, assolutamente raccomandabili, perché portano al confronto reciproco, alla crescita personale e collettiva grazie al rispetto di regole precise, portano a fissare sempre nuovi obiettivi da raggiungere con sacrificio, costanza e serietà. Parlo delle strade che apre lo Sport, quello con la S maiuscola. Se tutti i ragazzi praticassero sport in modo continuativo, non a livello agonistico, ma anche solo amatoriale, i penitenziari minorili, probabilmente, sarebbero vuoti, e la comunità si arricchirebbe di giovani sani, onesti, competitivi il giusto, rispettosi del bene comune, coraggiosi e generosi. Lo Sport è tutto questo, oltre a molto altro. Vale la pena vivere questa avventura come scuola di vita e scrigno di valori inestimabili.

Luca Pancalli
Presidente comitato Italiano paralimpico
Vicepresidente del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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