E’ la dedizione che fa di uno sportivo un campione

Pietro Paolo Mennea

Lo sport è sacrificio, disciplina, forza di volontà, passione, programmazione. È necessario porsi degli obiettivi, a volte persino saper rinunciare a delle gare, tutto in funzione di ciò a cui davvero si ambisce.

Le Olimpiadi rimangono per qualsiasi atleta il più grande avvenimento sportivo: l’occasione migliore per misurarsi non solo con gli avversari, ma anche con se stessi. Un’opportunità senza confronto di superare i propri limiti e provare a vincere.  Dal mio punto di vista trovo che assegnare i Giochi Olimpici alla Cina sia stato un errore. Un errore commesso a monte nel luglio 2001 dal CIO (Comitato Olimpico Internazionale). Non fraintendiamoci, la mia non è una presa di posizione data da una personale forma di pregiudizio nei confronti di uno Stato. Più semplicemente, credo sia corretto attenersi ai fatti e guardare le cose con una criticità obiettiva: la Cina è un paese in cui i diritti dell’uomo e i principi democratici sono tutt’altro che sempre riconosciuti. Sarebbe stato opportuno, forse, attendere ancora un po’ prima di azzardare una scelta come quella che è stata fatta, o perlomeno si poteva rinviarla al 2012. Sarebbe stato ragionevole ponderare la cosa anche e soprattutto per offrire a questo tormentato paese uno stimolo in più, oltre che del tempo utile per migliorarsi e colmare le proprie mancanze sul piano sociale. Allora sì, a riconoscimento degli sforzi fatti, in quel caso sarebbe stato giusto e positivo assegnare un’Olimpiade. Sempre per restare in tema di Giochi Olimpici, continuano ad essere sulla bocca di tutti le polemiche sorte in merito all’ipotetica partecipazione di Oscar Pistorius, il ventunenne amputato dalle ginocchia in giù che corre con l’ausilio di due protesi in fibra di carbonio. Personalmente ho sempre dichiarato -anche attraverso le pagine dei giornali nazionali che mi hanno chiesto di esprimermi in merito-  che nel caso in cui avesse raggiunto il tempo minimo previsto per poter gareggiare, Pistorius avrebbe dovuto competere al pari di qualsiasi altro atleta normodotato. Alla fine si è giunti alla mia stessa conclusione, ma solo dopo che è stato aperto un contenzioso sportivo. A dare il via libera al giovane sudafricano è stato il Tas (Tribunale arbitrale dello sport) dove per l’appunto vengono presi in esame e giudicati tutti i contenziosi sportivi. In realtà sono dell’opinione che si sia trattato di un atto dovuto. Nulla di più.

Questo perché sin dall’inizio, ad essere presi in esame, non dovevano essere solo gli eventuali vantaggi dati dalle protesi, ma anche i possibili svantaggi; le protesi stesse andavano, dunque, sin da subito valutate con maggiore scrupolosità ed attenzione. Sono stato il primo, in tempi “non sospetti” ad essere pro Pistorius per dati obiettivi e, sì, se ci fosse stato quand’ero io a gareggiare per ottenere dei risultati precisi, ben volentieri avrei corso contro di lui. Al momento, Pistorius resta ancora lontano dal limite cronometrico necessario per scendere in pista a Pechino 2008, ma si tratta solo di una tappa da rinviare. È giovane, deve allenarsi di più e riprovarci nel 2012 perché è un dato di fatto che le grandi imprese si possono raggiungere solo grazie all’impegno, alla dedizione, alla fatica che si è disposti a sopportare. Così è stato anche per me. L’oro Olimpico, nei 200 a Mosca del 1980, le sei medaglie agli Europei e soprattutto il record del mondo, sempre nei 200 (19″72) rimasto imbattuto per la bellezza di 17 anni, non sono di certo risultati arrivati dal nulla, senza nulla dare in cambio per ottenerli. Sono mete raggiunte grazie al grande impegno, alla volontà di superare i propri limiti, alla capacità di allenarsi praticamente ogni giorno per non meno di 5-6 ore. È la dedizione che fa di uno sportivo un campione. Ed è proprio questo il messaggio che vorrei arrivasse ai giovani che leggeranno il mio nuovo libro «19″72 Il record di un altro tempo». Vorrei fosse chiaro il concetto che nello sport nessuno nasce predestinato per vincere. A monte ci sono giorni, mesi  e nel mio caso, addirittura anni di allenamento scrupoloso. Proprio così: per esempio, mi sono allenato duramente per 11 anni, e cioè per 3950 giorni, con costanza e determinazione, per riuscire a battere nel 1979 a Città del Messico il record di 19″83 di cui era detentore lo statunitense Tommie Smith. Ancora oggi il mio 19″72 è record europeo, solo sei atleti sono riusciti a fare di meglio. Ciò sta a significare che lo sport è senz’ombra di dubbio sacrificio, disciplina, forza di volontà e passione. Inoltre è fatto di programmazione ordinaria: non si può pensare di correre tutti i giorni e forte. È necessario porsi degli obiettivi, a volte persino saper rinunciare a delle gare, tutto in funzione di ciò a cui davvero si ambisce. Oggigiorno il mondo dello Sport è un mondo molto chiacchierato che, in effetti, sta percorrendo una strada a rischio. Una strada che predilige lo spettacolo a tutti i costi, dove prevalgono innanzi tutto aspetti economici e dove troppo spesso viene meno il fair play e con esso il rispetto delle regole e anche il rispetto dell’avversario. Un mondo sporcato dal fenomeno del doping, che, tutto sommato, esiste da sempre, ma che oggi, per una lunga serie di motivi, è sotto gli occhi di tutti: difficile fermarlo, possibile però contenerlo.

Pietro Paolo Mennea
Detentore del primato mondiale dei 200 metri piani, avvocato, docente di Legislazione
Europea delle attività motorie e sportive presso l’Università di Chieti

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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