Evoluzione del concetto di danno biologico e sue conseguenze

E’ opinione condivisa che il danno biologico è rappresentato dalle lesioni all’integrità psicofisica, ossia alla salute della persona in sé. Il danno biologico, pertanto, più che una nuova categoria di danno alla persona, si può considerare risarcibile indipendentemente dalle conseguenze morali e patrimoniali da ridotta capacità lavorativa che ne derivino

L’ordinamento, se da un lato attribuisce al datore di lavoro un potere di direzione e di organizzazione dell’attività di impresa (art. 2086 c.c.), dall’altro gli impone di adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’ integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori (art. 2087 c.c.). Ma nel più ampio quadro degli artt. 32 e 35 Cost. Tali norme costituiscono, infatti, la fonte dell’elaborazione della nozione del dovere di sicurezza, correlativo ad un diritto della personalità riconosciuto a chi esplica attività lavorativa, grazie al rilievo costituzionale attribuito alla salute e al lavoro. Infatti, come affermato dalla giurisprudenza: “Il contenuto dell’obbligo previsto dall’art. 2087 c.c. non può ritenersi limitato al rispetto della legislazione in materia di prevenzione degli infortuni, ma comporta, per il datore di lavoro, il divieto di porre in essere, nell’ambito aziendale, qualsivoglia comportamento lesivo del diritto all’integrità psico-fisica del lavoratore“ (Cass. 2 maggio 2000 n. 5491). Il datore di lavoro non è solo titolare di diritti che gli derivano dal suo potere di organizzazione e di direzione, ma è anche titolare di obblighi: è tenuto, oltre che alla prestazione retributiva, anche ad una serie di obblighi che non hanno carattere retributivo, per la cui obbligatorietà dispongono le fonti generali e sindacali del diritto del lavoro.

Secondo la giurisprudenza prevalente: “Integra violazione dell’obbligo di sicurezza imposto al datore di lavoro dall’art. 2087 c.c., sia la mancata adozione delle misure preventive previste da norme speciali in relazione a ciascun tipo di attività esercitata, sia tutte le altre misure che in concreto si rendano necessarie per la tutela dell’integrità fisica e la personalità morale dei lavoratori, in base all’esperienza, alla tecnica nonché alla comune prudenza. L’art. 2087 c.c. non delinea, in materia di tutela della salute del lavoratore, un’ipotesi di responsabilità oggettiva del datore di lavoro, i cui obblighi, oltre a dover essere rapportati alle concrete possibilità della tecnica e dell’esperienza, vanno parametrati alle specificità del lavoro e alla natura dell’ambiente e dei luoghi in cui il lavoro deve svolgersi, particolarmente quando sono in questione attività che per loro intrinseche caratteristiche (svolgimento all’aperto, in ambienti sotterranei, in gallerie, in miniera etc.) comportano dei rischi per la salute del lavoratore (collegati alle intemperie, all’umidità degli ambienti, alla loro temperatura etc.), ineliminabili, in tutto o in parte, dal datore di lavoro; rispetto a detti lavori – è importanti una necessaria accettazione del rischio alla salute del lavoratore, legittimata sulla base del principio del bilanciamento degli interessi – non è configurabile una responsabilità del datore di lavoro, se non nel caso in cui questi, con comportamenti specifici ed anomali, da provarsi di volta in volta da parte del soggetto interessato, determini un aggravamento del tasso di rischio e di pericolosità ricollegato indefettibilmente alla natura dell’attività che il lavoratore è chiamato a svolgere”. (Fattispecie relativa a mansioni di cantoniere stradale, Cass. 30/8/00, n. 11427). Inoltre, sempre secondo l’orientamento consolidato della giurisprudenza, il fatto che l’obbligo di cui all’art. 2087 c.c. inerisca al rapporto di lavoro subordinato e pertanto si tratti di obbligo contrattuale non esclude che con esso possa concorrere, qualora siano lesi diritti spettanti alla persona indipendentemente dal contratto, in base al principio generale del neminem ledere, l’azione ex art. 2043 c.c., di carattere extracontrattuale. Come è noto le due azioni presentano differenze in ordine all’onere della prove ed alla prescrizione: nell’azione da contratto, l’onere della prova è a carico del danneggiante, che deve provare di aver fatto tutto il possibile per evitare il danno, mentre il termine di prescrizione è decennale; nell’azione da responsabilità extracontrattuale l’onere della prova grava sul danneggiato, il quale è tenuto a provare il dolo o la colpa della condotta lesiva, oltre all’inadempimento al danno e al nesso causale fra questi due elementi, mentre il termine di prescrizione è quinquennale.

Il sistema civilistico del risarcimento del danno alla persona, era costituito, prima dell’evoluzione di cui si sta per dire, da un lato, dal danno patrimoniale, entro lo schema degli artt. 1223 e 2056 c.c., come danno emergente e come lucro cessante, dall’altro, dal danno non patrimoniale o morale, ma subordinatamente, quest’ultimo, alla sussistenza di un reato, per il combinato disposto degli artt. 2043 c.c. e 185 c.p. In seguito, con la famosa sentenza 25/05/1984 del Tribunale di Genova, il danno risarcibile venne suddiviso in tre componenti: patrimoniale da lucro cessante, morale se il fatto costituisce reato, extrapatrimoniale costituito dalla menomazione fisica in sè considerata. Venne poi la famosa sentenza della Corte Costituzionale n. 184 del 1986, con la quale si è avuta la definitiva stabilizzazione nella giurisprudenza del concetto di danno all’integrità psico-fisica della persona, come pregiudizio risarcibile indipendentemente dai riflessi che esso abbia sulla capacità produttiva del danneggiato. La Corte configurò il danno biologico come “danno evento” rientrante nella previsione dell’art. 2043 c.c., e il danno morale ed il danno patrimoniale, per ridotta capacità lavorativa, come “danni conseguenza”. Più precisamente, la Suprema Corte ha affermato che una lettura, costituzionalmente legittima, dell’art. 2043 c.c. impone di considerare come danno ingiusto e pertanto risarcibile il danno alla salute. Ciò come risultato dell’integrazione dell’art. 2043, quale norma in bianco, con il precetto costituzionale dell’art. 32 che tutela la salute come fondamentale diritto della persona. I danni morali soggettivi sono, invece, considerati dall’art. 2059 c.c. che prevede la loro risarcibilità in presenza del fatto generatore dei caratteri del reato. Pertanto, “in caso di infortunio sul lavoro, ove il consulente abbia accertato la permanenza di postumi, sia pur modesti, quali micropermanenti, il giudice di merito deve tener conto di tali postumi quali danno biologico e stabilire il relativo risarcimento” (Cass., n. 465/01). Possiamo quindi definire il danno biologico come la lesione dell’ integrità psico-fisica, e cioè come danno riferito alla persona, in sé e per sé considerata, e ricadente, quindi, sul “valore uomo” in tutta la sua concreta dimensione, sicchè rilevano in termini di danno menomazioni, deturpazioni, impotenze sessuali, malattie nervose, insonnia, malattie mentali, ed ogni altro genere di lesioni dell’integrità corporale e mentale della persona: “Il danno biologico è il danno alla salute immanente alla lesione dell’integrità bio-psichica della persona e si distingue da ogni altro danno di natura patrimoniale e dal danno morale conseguente a reato, ed è comprensivo anche del danno alla vita di relazione” (Cass. 5 novembre 1999 n. 12339). Il danno biologico, pertanto, più che una nuova categoria di danno alla persona, si può considerare, nella sua essenza, risarcibile indipendentemente dalle conseguenze morali e patrimoniali da ridotta capacità lavorativa che ne derivino. Pertanto se il danno biologico non esiste, nel caso concreto non c’è danno risarcibile; se, invece, esiste andrà risarcito con le sue eventuali conseguenze come il danno patrimoniale da ridotta capacità lavorativa, qualora se ne dimostri l’esistenza ed il suo rapporto causale con quello biologico.

Si è così consolidato l’orientamento per il quale, ogni fatto produttivo di danno alla persona può riflettersi negativamente sulla capacità lavorativa (cioè sulla capacità di produrre reddito), ma sicuramente e prioritariamente, esso è causa di una diminuzione dell’ integrità psico-fisica in sé e per sé considerata, per cui il danno biologico va indennizzato indipendentemente dai riflessi che può avere sulla capacità di produrre reddito. Risulta incontestato che “il danno biologico vada risarcito quale danno rilevante in sé, distinto rispetto ai danni morali sia rispetto alle conseguenze negative di carattere patrimoniale che da esso possono scaturire” (Cass. 23/2/99, n. 2037). Per quanto riguarda i rapporti tra sistema di responsabilità civile e assicurazione obbligatoria INAIL, sono opportune alcune brevi premesse. Il rapporto assicurativo nasce, se ricorrono contestualmente i requisiti oggettivi e soggettivi, previsti rispettivamente dagli artt. 1 e 4 del T.U., approvato con D.P.R. 30/06/1965 n. 1124. Norme fondamentali del T.U. sono, fra le altre, l’art. 10 T.U. che prevede l’esonero del datore di lavoro dalla responsabilità civile per gli infortuni e le malattie professionali, occorse ai propri dipendenti (l’esonero comprende sia la responsabilità contrattuale che quella extracontrattuale, per eventi conseguenti alle prestazioni di lavoro ed è operante anche se il datore di lavoro non abbia adempiuto al pagamento dl premio di assicurazione), e il successivo art. 11 T.U., il quale prevede l’azione di regresso dell’INAIL, nei confronti del datore di lavoro, una volta accertata la responsabilità di quest’ultimo, per ripetere quanto erogato. Posto che, nell’attuale sistema di assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro, le indennità a carico dell’Inail riguardano il solo danno connesso alla perdita di capacità lavorativa, e non coprono dunque l’intero ambito del danno biologico, l’azione di regresso dell’Istituto sulle somme globalmente corrisposte dal responsabile all’infortunato, a titolo di risarcimento del danno biologico, deve essere limitata a quella sola parte del danno biologico risarcito, che si ricollega alla diminuzione della capacità lavorativa generica, equitativamente stimabile, con riferimento alla fattispecie in esame, nei tre quinti del totale (Trib. Pordenone 3/5/96). Assodata la sussistenza di una responsabilità datoriale per infortunio (avvenuto in epoca antecedente alla disciplina del danno biologico a carico INAIL) ed il nesso di causalità tra l’evento invalidante e l’attività lavorativa, questo giudice ritiene che per il risarcimento del danno biologico richiesto e gravante sulla società possano essere utilizzate – quantunque riferibili all’indennizzo di competenza dell’INAIL – le tabelle approvate con decreto ministeriale 12/7/00 (in applicazione dell’art. 13, d.l. 23/2/00, n. 38) in quanto per la loro valenza generale e per la loro applicabilità sull’intero territorio nazionale possono essere considerate, in attesa del definitivo intervento del legislatore, il parametro attualmente più attendibile per la valutazione equitativa del danno biologico (Trib. Salerno 5/2/01). Altra disposizione che interessa particolarmente, per l’argomento trattato, è l’art. 66 n. 2 del T.U., il quale dispone, per i postumi a carattere permanente conseguenti ad infortuni sul lavoro e malattie professionali l’erogazione da parte dell’ INAIL di una rendita per inabilità permanente. Il datore di lavoro, responsabile per l’infortunio, deve risarcire il lavoratore infortunato la metà del danno biologico (c.d. puro), poiché la restante metà (c.d. danno biologico collegato alla riduzione della capacità lavorativa generica) è coperta dall’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni e le malattie professionali (Pret. Trento 12/11/99).

 L’eventuale indennizzo corrisposto dall’INAIL al lavoratore infortunato, essendo volto a ristorare il solo pregiudizio alla capacità lavorativa generica, è totalmente estraneo al risarcimento del danno biologico e del danno morale che, pertanto, vanno posti integralmente a carico del datore di lavoro (nella fattispecie, è stato anche ritenuto che, ai fini della liquidazione del danno morale, è consentito al giudice civile l’accertamento del fatto reato, indipendentemente dal previo accertamento in sede penale) (Pret. Busto Arsizio, 10/2/99). Su tale assetto è intervenuto l’art. 13 del D.Lgs. n. 38/2000, a disciplinare, legislativamente, per gli infortuni sul lavoro verificatesi e le malattie professionali denunciate dal 25/7/2000, il danno biologico, definendolo, in via provvisoria, e ai soli fini dell’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, come “la lesione dell’integrità psico- fisica, suscettibile di valutazione medico-legale della persona”. Dunque, a seguito del dibattito dottrinale e giurisprudenziale sulla natura del danno biologico, qui brevemente illustrato, l’indennizzo INAIL non risarcisce più, come in passato, solo la componente economica del danno subito dal lavoratore, come perdita della capacità di lavoro generica (definita come attitudine a svolgere un attività lavorativa manuale media), bensì anche il danno biologico. Il relativo indennizzo, pertanto diversamente dalla rendita per inabilità permanente, per la quale rilevano soltanto i danni che si riflettono sulla capacità lavorativa dell’assicurato, prende in considerazione la persona umana nella sua globalità e quindi sotto tutti gli aspetti dinamico-relazionali (vita di relazione, sfera sessuale, culturale, spirituale, affettiva, sociale). L’ indennizzo è così articolato: nessun indennizzo per gradi di menomazioni inferiori al 6%; indennizzo in capitale del danno biologico per gradi di menomazione pari o superiori al 6% de inferiori al 16% (tutto a titolo di danno biologico perché si presume che fino a tale percentuale non ci siano conseguenze di carattere patrimoniale);

indennizzo in rendita per gradi di menomazione pari o superiore al 16%, di cui una quota per danno biologico e una quota per danno patrimoniale. Ma pur essendo in comune l’oggetto e nonostante alcune analogie con il sistema di risarcimento civilistico rimangono notevoli differenze per quanto riguarda il meccanismo di ristoro del danno. L’ indennizzo INAIL infatti assolve ad una funzione sociale ed è diretto a garantire mezzi adeguati alle esigenze di vita del lavoratore mentre il sistema civilistico è finalizzato a risarcire il danno nell’esatta misura in cui si è verificato.

Per quanto riguarda la quantificazione del danno in sede civilistica, occorre distinguere le diverse voci di danno:

1. danno patrimoniale, determinato in base al lucro cessante e danno emergente, secondo parametri reddituali

2. danno biologico, liquidato equitativamente o tenendo conto della percentuale della ridotta capacità lavorativa, stabilendo un certa somma per ogni punto di riduzione o per ogni punto tabellare

3. danno morale, come prezzo delle sofferenze fisiche e psichiche patite, se vi è reato, liquidato equitativamente. In caso di infortunio sul lavoro ascrivibile a responsabilità datoriale, compete al lavoratore infortunato il risarcimento del danno morale, nonché il risarcimento del danno biologico, da ridursi equitativamente del 50% in funzione alla rendita Inail percepita, che copre quella parte del danno biologico che si ricollega alla diminuzione della capacità lavorativa generica (Pret. Milano 9/3/96)

4. danno esistenziale, per alcuni rientrante nel danno biologico (“dapista”: depressione, ansia, stress), per altri danno autonomo per lesione dei diritti di personalità e realizzazione ex art. 2087, nel rapporto di lavoro, s’intende. Liquidato equitativamente.

Sintetizzando e concludendo, in caso di condanna del datore di lavoro al risarcimento del danno, l’INAIL erogherà le somme dovute, secondo quanto già brevemente suesposto. Pertanto al datore di lavoro residuano:

1. la quota di danno biologico eventualmente non erogata dall’INAIL (secondo la data del sinistro), comprensiva del biologico statico, dinamico, invalidità totale, temporanea totale e temporanea parziale;

2. il danno morale;

3. il danno esistenziale. La lesione della personalità morale del dipendente costituisce violazione dell’art. 2087 c.c. e dà luogo ad un danno esistenziale, la cui nozione è distinta da quella del danno biologico, che presuppone un pregiudizio alla salute fisica o psichica, e da quella del danno morale, che consegue quando il fatto lesivo costituisce ipotesi di reato; l’ammontare del danno esistenziale è quantificabile in via equitativa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2056 e 1226 (Trib. Pisa 6/10/2001).

Fabio Petracci
avvocato www.petraccimarin.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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