Il pensiero pervasivo

I videogiochi rappresentano un problema che può sfociare in forme compiutamente psicopatologiche tanto da giustificare la creazione di una nuova terminologia per definire questo tipo di fenomeni: Technological addictions. Dal punto di vista psico-sociale possiamo ormai parlare della diffusione di nuove dipendenze non più causate da sostanze ma da una assuefazione di tipo psicologico-comportamentale

Non è un mistero per nessuno che il nostro modo di vivere si stia modificando e che uno degli aspetti più evidenti di ciò sia collegato a una massiccia e sempre più profonda presenza delle nuove tecnologie in (quasi) tutti gli ambiti della quotidianità: basta pensare all’uso dei personal computer nel lavoro e alla diffusione di internet e della e-mail per rendersi conto di quanto la nostra dipendenza dalla tecnologia sia ormai radicata e di come non ci siano le condizioni per poter invertire questa tendenza. A questo non sfugge il mondo dell’infanzia e dell’adolescenza che ha visto moltiplicare gli sforzi delle industrie che producono tecnologia per proporre sempre nuovi e più differenziati dispositivi per il gioco elettronico. Se da una parte, infatti, aumenta la diffusione dei personal computer nelle case – rendendo disponibile a tutti i bambini un supporto per utilizzare videogiochi – dall’altra le aziende ormai si sfidano nella produzione di console per il gioco sempre più potenti e accattivanti, la cui commercializzazione è diventata quasi un fenomeno di culto in cui compaiono sempre più frequentemente i modelli portatili, quelli cioè che i bambini e gli adolescenti possono usare in tram, in autobus, a scuola durante l’intervallo o nei viaggi in macchina. A questa già ampia messe di dispositivi elettronici dedicati al gioco si aggiunge il cellulare, strumento che ormai rende disponibili, tra i vari software che contiene, anche dei piccoli videogiochi.

Non stupisce dunque che giovani e giovanissimi dedichino molto del loro tempo al mondo virtuale del videogioco piuttosto che a quello reale della vita. Ma con quali risultati? Siamo tutti testimoni stupiti dei numerosi cambiamenti che i processi di sviluppo stanno subendo ed è facile andare alla ricerca di capri espiatori come la televisione, internet e il gioco elettronico. Consapevoli che il primo fattore importante nello sviluppo di una persona é dato dalle sue relazioni significative e dal contributo delle istituzioni educative, cercheremo di affrontare il tema del videogioco con sufficiente obiettività. Che i videogiochi possano rappresentare un problema serio fino a sfociare in forme compiutamente psicopatologiche è ormai dimostrato dall’ampia disponibilità di dati degli studi di settore, tanto da giustificare la creazione di una nuova terminologia per definire questo tipo di fenomeni: Technological addictions. Il termine “addictions” in particolare indica che dal punto di vista psico-sociale possiamo ormai parlare della diffusione di nuove dipendenze non più causate da sostanze (come nelle tossicodipendenze), e quindi legate ad aspetti fisiologici o psicofisiologici, ma da una assuefazione di tipo psicologico-comportamentale. In questo caso il gioco, o altre attività legate alle nuove tecnologie, diventa un modo per scappare dalla realtà utilizzando il mezzo elettronico per viverne un’altra, percepita come meno faticosa e più gratificante. In questo caso si parla di dipendenza non solo per la grande quantità di tempo dedicata al gioco vero e proprio, ma anche per lo spazio psicologico che il videogioco occupa al di là del tempo speso utilizzandolo. Le dipendenze infatti sono caratterizzate da “pensiero pervasivo” cioè una forma di ideazione che occupa anche i momenti della giornata dedicati ad altre attività, assumendo così un’importanza predominante nella vita del soggetto dipendente e causando stati di irritazione quando non si ha la possibilità di esercitare la propria dipendenza.

L’adolescente, che è in una fase di ricerca dell’identità e sensazioni forti ,è particolarmente esposto al rischio di un uso nocivo dei dispositivi elettronici, in particolare quando il suo contesto relazionale è carente e la comunicazione in famiglia è scarsa. C’è sempre una determinante relazionale, dunque, alla base di un comportamento poco adattato ed è importante sottolinearlo per non cadere nella facile giustifiacazione che siano proprio le caratteristiche dei videogames a indurre stati di disagio. Se non sono solo i giochi elettronici a essere imputabili dei disturbi del comportamento è certo che alcune delle loro caratteristiche non facilitano un sano sviluppo fisico e psicologico. Sul piano fisico l’utilizzo prolungato e ripetuto dei dispositivi elettronici porta a disturbi correlati con le posture scorrette che i giocatori assumono, con l’assenza di movimento, con i gesti stereotipati ripetuti sui comandi di gioco, con l’osservazione prolungata dei display. I sintomi fisici più correntemente riscontrati sono l’affaticamento della vista, le allucinazioni visive, le tendiniti, il dolore alle articolazioni e al collo e non stupisce che vi sia una relazione tra la tendenza all’obesità e l’utilizzo eccessivo dei videogiochi, che costringono i ragazzi a rimanere ore intere seduti o sdraiati. Un altro fattore che merita una seria riflessione è la presenza della violenza all’interno dei giochi. Dato il grande scalpore suscitato dai media, é risaputo ormai che spesso lo scopo “virtuale” di alcuni videogames è quello di uccidere, picchiare, compiere crimini o soprusi. Perché questo genere piaccia così tanto ai giovani non è del tutto chiaro, ma è chiaro invece il legame che la violenza sperimentata nel gioco intrattiene con il decorso di un corretto sviluppo psicofisiologico.

Sul piano dello sviluppo psicologico abbondano gli studi di neuropsicologia che riscontrano correlazioni tra l’uso massivo dei videgames e modificazioni dell’attività cerebrale: alcune ricerche sostengono che questo tipo di attività riduca la capacità di autocontrollo dei ragazzi poiché sovraeccita la parte del cervello deputata alla gestione delle emozioni (amigdala) e inibisce il funzionamento di altre aree (corteccia prefrontale) legate al controllo del comportamento e alla pianificazione dell’azione. Altri dati sostengono anche che i ragazzi esposti con continuità alle scene cruente dei giochi diventano meno sensibili alla violenza reale per un effetto di abituazione. Ed è ormai certo che chi gioca troppo a lungo abbia risultati scolastici molto sotto la media causati probabilmente dalla combinazione tra effetti psicologici e fisiologici del gioco e la semplice mancanza di tempo dedicata allo studio. Siamo dunque di fronte a un fenomeno in continua crescita che ha effetti nocivi sul corretto sviluppo della persona, ma è necessario ricordare che le cure parentali e le attività alternative offerte dai genitori ai figli possono trasformare il videogioco da “nemico” della crescita a sporadico quanto innocuo passatempo.

Cristina Castelli
Professore ordinario di Psicologia del ciclo di vita nella Facoltà di Scienze della Formazione, corso di Laurea Scienze dell’Educazione. Direttore del CROSS (Centro Ricerca Orientamento Sviluppo Scolastico-professionale). Università Cattolica Milano

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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