Prevenire la punizione

Occorre investire sull’educazione, sul sostegno e sulla genitorialità. La famiglia, la scuola, gli oratori, le parrocchie, le associazioni hanno un ruolo cruciale nel contrastare o agevolare i comportamenti dei ragazzi. Ci sono limiti però oltre i quali si deve ipotizzare un intervento giudiziario che possibilmente eviti, anticipandolo, l’intervento penale

Le condotte riconducibili al cosiddetto bullismo, come, con termine in verità improprio e ambiguo, è genericamente indicata una serie di comportamenti aggressivi e violenti fra adolescenti è, in realtà, presente all’attenzione, almeno degli addetti ai lavori, anche in Italia, già da tempo. Un tristissimo e inquietante episodio di violenze in danno di un ragazzo autistico ad opera di coetanei, con la connivenza e l’assistenza compiaciuta di altri, circolato impunemente a lungo su Internet nella sezione “Video divertenti” ha, sul finire dello scorso anno, costituito come il detonatore di una realtà finora, almeno nel nostro Paese, non ancora evidente ai più. C’è semmai da sorprendersi che anche a livelli istituzionali di alta responsabilità politica si sia manifestato stupore, in realtà indicativo di un diffuso spiazzamento, e forse di una più o meno inconsapevole, rimozione delle problematiche adolescenziali in genere e, in particolare, dei profili più allarmanti di esse.Certamente, a giudicare dagli indicatori statistici, i comportamenti ascrivibili alla pseudo-categoria del bullismo sono in aumento.

Una recente indagine della Società Italiana di Pediatria segnala un incremento del 5% rispetto ad analoghe condotte registrate nell’anno precedente.Non c’è dubbio che –di fronte a una situazione di disagio quale quella che emerge dalla sempre più frequente ricorrenza di comportamenti prevaricatori fra minori, occorre interrogarsi e delineare una strategia di contrasto che, in primo luogo, deve individuarne le cause e tendere a creare le condizioni perché il fenomeno possa essere innanzitutto slatentizzato.Vi sono molte analogie con ciò che è avvenuto ed avviene a proposito dell’abuso in danno di minori ad opera di soggetti adulti, e non solo perché la conoscenza delle dinamiche dello sviluppo infantile, l’esperienza clinica e i dati della letteratura internazionale pongono spesso in relazione i due fenomeni, ma anche perché, anche in questo caso, assume grande importanza la tempestività della segnalazione: non tanto perché da essa dipende la punizione dei responsabili, ma soprattutto perché solo la conoscenza delle situazioni consente di apprestare adeguata protezione alle vittime e di progettare una complessiva strategia di contrasto.Essa, diciamolo subito, non può essere affidata solo alla repressione anche se, probabilmente, la configurazione di una fattispecie penale unitaria come reato complesso rispetto alle singole condotte che lo compongono sarebbe opportuna, sia per il “messaggio” che ciò esprimerebbe sia perché, obiettivamente, il danno a carico delle vittime è molto più devastante della somma di quello prodotto dai singoli atti.Ancora una volta occorre però soprattutto porsi il problema sul terreno della prevenzione o –ancor meglio- dell’educazione.

Trovo molto negativamente significativo che le vittime mostrino spesso difficoltà a chiedere aiuto agli adulti di riferimento. Forse questo avviene in larga misura per il timore di essere ulteriormente squalificati agli occhi dei pari, ma certamente anche perché le figure adulte non sono sufficientemente rassicuranti.Occorre investire molto sull’educazione e sul sostegno alla genitorialità in un tempo nel quale essere genitori non garantisce competenze e capacità adeguate soprattutto nella gestione del disagio adolescenziale di cui le condotte violente sono spie esasperate, ma anche –in certa misura- passaggi per l’ingresso nella condizione adulta. Sembra diffusamente condivisa l’idea che la famiglia e la scuola (ma qualunque altra agenzia formativa, come gli oratori, le parrocchie, le associazioni di varia natura) hanno un ruolo cruciale nel contrastare, o, al contrario, nell’ “agevolare” questi comportamenti, tanto che ripeterlo può apparire attardarsi in un luogo comune. Ciò però comporta alcune condizioni. Quanto alla famiglia, occorre che essa sia fortemente sostenuta da interventi soprattutto in grado di veicolare conoscenze e competenze educative, fermo restando, peraltro, che l’equazione insufficienza educativa della famiglia – devianza, improntata a uno sbrigativo e semplificatorio determinismo causale, non regge più o almeno non corrisponde sempre alla realtà. Ci sono limiti oltre i quali deve ipotizzarsi un intervento giudiziario mirato che consenta ai tribunali per i minorenni una tutela rafforzata del minore con misure flessibili e adeguate alle sue problematiche, che possibilmente evitino, anticipandolo, l’intervento penale che per definizione giunge quando ormai tutto si è già compiuto.

Quanto alla scuola, bisognerà fare chiarezza circa i suoi compiti, e quelli dei suoi dirigenti, soprattutto con riguardo al dovere di segnalazione all’autorità giudiziaria, da un lato, e al ruolo, proprio della comunità scolastica, di recuperare prima ancora che di punire, dall’altro. Sul punto, va detto che, a prescindere dal fatto che una giusta punizione, inflitta legalmente anche dal punto di vista delle procedure aiuta talvolta a crescere e assume un valore responsabilizzante, non sembra che le due esigenze si pongano in contrasto insanabile, a meno che non si preferisca tacere, magari per il buon nome dell’istituzione scolastica, o, peggio, perché non ci si accorge di quello che accade . Certamente questo compito la famiglia e la scuola, nonché le altre agenzie cui si accennava, potranno assolverlo meglio e più efficacemente se si stabiliranno sinergie: nessuno può pretendere di fare da solo. Ancor più, esse dovranno poter contare su una solidarietà educativa dell’intera società civile e nella capacità di questa di trasmettere valori di rispetto per l’altro e modelli di comportamenti in tal senso alle giovani generazioni. Ma è qui il punto di maggiore difficoltà e debolezza.

Pasquale Andria
Presidente Tribunale Minorenni di Potenza

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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