Dei delitti e delle pene

Il quattordicenne del 1930 non è neppure lontanamente equiparabile al coetaneo del 2006, che dispone di fonti informative, di strumenti di comunicazione, di mezzi in allora neppure immaginabili. Dodici anni sono un’età più che sufficiente, per chi naviga in internet ed accede ad informazioni complesse, per rendersi conto del disvalore giuridico dei propri atti

Mentre mi accingevo a riordinare le idee per esprimere il mio punto di vista sul tema del mese, mi è venuta in mente una vicenda, accaduta alcuni anni addietro, che aveva suscitato il mio interesse e la mia riprovazione. L’allora Governatore dello Stato del Texas, George W. Bush aveva negato la commutazione della pena capitale in sanzione detentiva perenne ad una giovane donna, che rispondeva al nome di Carla Trucker, condannata a morte per avere commesso, all’età di sedici anni, un omicidio durante l’esecuzione di una rapina.

L’interesse nasceva da quella istintiva solidarietà umana che ciascuno di noi dovrebbe provare nei confronti di un condannato alla sedia elettrica. La riprovazione, invece, era di natura squisitamente giuridica e scaturiva dalla critica verso un sistema giudiziario che riteneva di applicare ad un minore la stessa pena prevista per i c.d. adulti. Inviai all’allora Governatore un file contenente il libro di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene.
Com’è noto, Carla Trucker venne giustiziata, con buona pace di tutti coloro che avevano invocato un gesto di clemenza, nel pieno rispetto di quella regola texana secondo la quale la retribuzione è sempre pari al torto arrecato, ovvero, per meglio dire, eye for eye.

Da noi, fortunatamente, le cose vanno ben diversamente. Il codice penale fissa una soglia – l’età di quattordici anni – al di sotto della quale il giovane è ritenuto non imputabile e stabilisce che, nei confronti di chi ha compiuto i quattordici anni, ma non ancora i diciotto, “la pena è diminuita” ( art.98 c.p.). Nei confronti dei minori, poi, sono previste modalità di estinzione del reato del tutto peculiari, in un contesto procedurale disegnato su misura per soggetti che, a norma di legge, non hanno ancora raggiunto il grado di maturazione che comporta l’applicazione rigorosa delle sanzioni penali. Insomma: qui, Carla Trucker sarebbe viva. Ed anche libera.
Non sarà sfuggito che ho detto: a norma di legge. E, d’altra parte, non avrei potuto diversamente esprimermi, considerato che soltanto la legge può fissare, in generale e sulla scorta di criteri astratti ed ispirati a dati scientificamente consolidati, il limite della capacità giuridica e della sussistenza di adeguate condizioni per la sottoposizione alla punizione.

Questa legge, tuttavia, è del 1930 e si fonda su valutazioni scientifiche – tanto psichiatriche, quanto psicologiche -, elaborate in un’epoca così risalente da apparire, ai nostri occhi, addirittura remota. Mi sembra, dunque, logico, porre, prima di ogni altra cosa, un problema di ordine strettamente giuridico: il dato normativo trova ancora rispondenza nella realtà di fatto o deve essere adeguato, magari aderendo ai principi elaborati dal prudente legislatore texano?
La soluzione del quesito, ovviamente, condiziona ogni successiva considerazione sulle risposte – non direi: reazioni – che un moderno ordinamento liberale dovrebbe riservare a quei giovani i quali, agendo in gruppi più o meno consistenti, manifestano il loro disagio, il disadattamento e talvolta la loro devianza con una gradazione di violenza intollerabile.

Dico subito che non ho conoscenze e competenze sufficienti per affrontare un’analitica disamina delle cause del disagio giovanile; neppure sono in grado di individuare categorie sociologiche di riferimento o canoni psicologicamente validi per un corretto inquadramento del problema. Osservo i fatti, che sono sotto gli occhi di tutti e che si ripetono con una frequenza sempre più inquietante, con le lenti diafaniche del giurista, al quale non sfugge il progressivo decremento dell’età media dei giovani protagonisti di condotte penalmente rilevanti. Constato, sotto un profilo meramente statistico, il preoccupante aumento di reati realizzati con il concorso di più persone e la proliferazione di agglomerati sussumibili nella fattispecie di cui all’art. 416 del codice penale, che punisce l’associazione per delinquere.
Come ho detto, non possiedo sufficienti conoscenze per interloquire sulle cause di questo fenomeno. Credo, nondimeno, sia giunto il momento di discutere, laicamente, senza pregiudizi e in termini equilibrati, della risposta al fenomeno stesso.

In questa prospettiva, ridurrei significativamente l’area di esclusione della imputabilità, intervenendo sull’art. 97 del codice penale. E’ un dato di fatto – vorrei dire: un fatto notorio, che non abbisogna di dimostrazione – che il quattordicenne del 1930 non è neppure lontanamente equiparabile al coetaneo del 2006, che dispone di fonti informative, di strumenti di comunicazione, di mezzi in allora neppure immaginabili. Confrontate un “componimento” di quegli anni con un “tema” di oggi e traetene le inevitabili conseguenze. Dodici anni, a mio avviso, sono un’età più che sufficiente, per chi naviga in internet ed accede ad informazioni complesse, per rendersi conto del disvalore giuridico dei propri atti.

Allo stesso modo, dovrebbe essere novellato l’art. 98 c.p., introducendo una gradazione nelle attenuazioni di pena connesse all’età del colpevole che tenesse conto del maggior grado di maturazione.
Infine, sarebbe opportuno – ma, questo, è un problema generale, che si estende all’intero sistema italiano – rendere effettive le sanzioni ed utilizzarle per lo scopo previsto dalla Costituzione. La pena, dunque, è il vero problema: una pena che sia educativa – visto che mi sembra ridicolo parlare di rieducazione di un quindicenne -, ma non necessariamente afflittiva in termini di privazione della libertà.

Gli psicologi e gli esperti che concorrono a formare i Tribunali per i Minori sapranno, indubbiamente, fornire al Magistrato indicazioni utili per una migliore comprensione del fatto e della personalità di un giovane che ha violato la legge penale. Tuttavia, non bisogna dimenticare che il c.d. bullismo, generalmente, si traduce in reati di particolare gravità: danneggiamenti, furti, rapine ( sia pure di pochi euro), estorsioni, lesioni gravi o gravissime, violenze sessuali. A volte, purtroppo, anche omicidi.

Il nostro codice assegna un numero a ciascuna delle fattispecie menzionate e stabilisce una pena, che, seppure attenuata o convertita in modalità esecutive peculiari, deve essere espiata, per il tempestivo recupero di giovani che, altrimenti, potrebbero andare ad ingrossare le fila dei detenuti nelle case di reclusione.
Ecco. Se mi si consente una riflessione, a margine degli interventi di ben diversa prospettiva di questa pubblicazione, vorrei dire questo: di fronte ad un problema che trascende la sociologia per varcare la soglia del diritto penale, bisogna, senza dubbio, comprendere; poi, bisogna educare; ma, talvolta, bisogna punire, con equilibrio e con fermezza, per scongiurare guai peggiori. Diversamente, mi spiace dirlo, si fanno solo parole inutili.

Mauro Anetrini
Avvocato

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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