Papà, dagli il buon esempio

Tra le possibili matrici dei comportamenti da bulli è stato individuato il vuoto di figure maschili positive, con cui i giovani possano identificarsi. Il padre, primo fra tutti. E in particolar modo, i padri separati

È noto a tutti, che il bullismo non è un fenomeno nuovo. Nuova è la diffusione mediatica, che se ne è fatta negli ultimi tempi. Un fenomeno ricollegabile ad una molteplicità di variabili, in particolare quelle legate all’adolescenza , quali la ricerca della propria autoidentità, della propria autoaffermazione, il bisogno di essere accolti dal gruppo di pari, il bisogno di trasgressione, e così via.

Un fenomeno molto complesso, che, qui, possiamo trattare in minima parte. Tra le possibili matrici dei comportamenti da bulli è stato individuato il vuoto di figure maschili positive, con cui i giovani possano identificarsi. Il padre, primo fra tutti. E in particolar modo, i padri separati.

Da oltre un ventennio mi occupo di affidamenti dei figli nelle cause di separazione, per cui ho potuto constatare che un tema particolarmente doloroso è proprio quello dello svuotamento di significato del ruolo paterno, che caratterizza una grande quantità di regimi di affidamento, con il conseguente alto rischio di devianza, particolarmente nei figli maschi.

Un tema, che ho affrontato, peraltro, anche in un Convegno, promosso il 4 dicembre 2006 dall’Associazione “Papà separati” e dall’Associazione “Crescere insieme, presso l’aula magna della Corte d’Appello del Tribunale di Palermo.
Come ho lì sottolineato, una nuova cultura della paternità non è così scontata, come potrebbe apparire di primo acchito.

La famiglia sotto il profilo sociologico è cambiata, la normativa è cambiata e tuttavia la prassi giudiziaria, rispetto all’attribuzione di un senso alla paternità dei padri separati, in molti casi stenta a decollare.
Infatti, insieme a sentenze illuminate, che rendono effettiva l’applicazione della nuova norma del febbraio 2006, con un’equa distribuzione della presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli, troviamo anche sentenze, che reiterano i precedenti schemi di affidamento, con una limitazione a poche ore alla settimana dei tempi di permanenza dei figli con i padri, con il conseguente rischio di svuotare di senso la relazione padre-figli.

Un regime tipico di affidamento dei figli in età scolare, è quello in cui il padre è autorizzato a frequentare i figli due o tre pomeriggi alla settimana, all’uscita della scuola, in coincidenza con l’orario dei compiti; finiti i compiti egli deve riaccompagnarli a casa della madre. Nella migliore delle ipotesi, ha un ulteriore spazio di relazione con i figli nel corso di due week end al mese.

Una relazione, comunque, che vissuta nei momenti ludici e di svago, viene falsata rispetto ad una relazione, che dovrebbe essere vissuta nella vita quotidiana, in uno spazio, che dovrebbe ricomprendere momenti di tenerezza a momenti di rifiuto paterno. Un rifiuto sano e costruttivo, volto all’instaurarsi di regole di vita all’interno e all’esterno della famiglia, anche se disgregata.

Qualcuno potrebbe sostenere, che una buona qualità della relazione genitori-figli, anche se vissuta in un breve lasso di tempo, è sufficiente a soddisfare le esigenze di crescita dei figli. Ma qui il problema è che cosa si intende per brevità di tempo e quale è la sua misura.
Facciamo l’esempio dei permessi di incontrarsi con gli amici, che si danno ai figli preadolescenti o adolescenti.
All’interno della famiglia integra, laddove il padre assolve al suo ruolo di “padre normativo”, questi permessi vengono accolti, in determinate circostanze, e negati, in altre circostanze.

Ma , nel caso di un padre separato, che vede i figli per qualche ora nell’arco di una giornata, come può questi assolvere alle sue funzioni genitoriali, se il figlio sta in prevalenza con la madre? E, viceversa, perché il figlio dovrebbe chiedere proprio al padre il permesso di incontrarsi con gli amici? È ovvio che non lo fa.
La guida paterna in ambiti familiari ed extra familiari per lui sarebbe fondamentale, perché gli consentirebbe di interiorizzare il “padre normativo”, quel padre che resterebbe in lui, a livello fantasmatico, per tutta la vita e guiderebbe le sue azioni, anche se materialmente assente.

Forse dovremmo riflettere, in particolare, sui criteri di base, che dovrebbero indicare la giusta misura dei regimi di affidamento. Criteri di base, che dovrebbero essere applicati indicativamente a prescindere dalla specificità di ogni singolo caso. Criteri che dovrebbero avere come obiettivi di fondo, da una parte, la salvaguardia della stabilità del minore e, dall’altra, il rispetto del suo diritto di godere parimenti della presenza di entrambi i genitori.
Queste prime considerazioni incominciano a dimostrare i motivi della pari importanza della presenza di entrambi i genitori nella vita dei figli.

Ma, se la separazione continua a ridurre drasticamente i tempi di permanenza con uno dei due genitori, si può ben comprendere come gli effetti negativi sulla crescita dei figli saranno inevitabili e saranno, anche, rintracciabili a lungo termine. Gli ultimi dati ISTAT del 2003 sugli affidamenti monogenitoriali all’interno di separazioni giudiziali, indicano un attestamento di affidamenti alle madri che va oltre l’86% .
Ciò significa, che , presumibilmente, una gran parte dei figli di genitori separati, ha patito una drastica limitazione dei rapporti con il padre, con tutti i disagi ad essa conseguenti.

Questa ci sembra la sede più opportuna per sottolineare, che non può esservi una cultura della bigenitorialità, se non si supera l’antico concetto stereotipato della famiglia matricentrica, secondo cui la donna è per sua natura più idonea ad occuparsi dei bambini. Certamente la figura materna è fondamentale nella vita di ogni bambino. La letteratura sull’argomento è estremamente ampia ed esaustiva, ma non è questa la sede per riproporla.
Qui, al contrario, vogliamo porre una serie di interrogativi concernenti la figura paterna.

Non possiamo non chiederci: adesso, che cos’è cambiato con la Legge 8 febbraio 2006, n. 54, in tema di affido condiviso?
Quanti padri separati riescono ad offrire ai figli le loro qualità paterne specifiche, come l’infondere sicurezza e protezione e, contemporaneamente, tenerli e contenerli ed esercitare un ruolo normativo e strutturante nei loro confronti?
Per dirla con Andolfi, quanti hanno il tempo sufficiente per “opporre la barriera del rifiuto, coltivando insieme il legame d’amore, indispensabile nel consentire lo svincolo adolescenziale attraverso il porre e garantire le regole” (Andolfi M., 2003) .

Quanti figli oggi sono messi nella condizione di interiorizzare, oltre al codice materno, anche il codice paterno? Un codice, che privilegia il principio di realtà e di prestazione e si traduce nella valorizzazione delle capacità del figlio e della sua autonomia.
Un codice, in altri termini, che favorisce la graduale separazione del figlio dalla madre prima e dalla famiglia poi?
Paolo Ferliga, uno psicologo di formazione junghiana, in un libro intitolato “Il segno del padre .Nel destino dei figli e delle comunità”, ha fatto una disamina sulle differenti proposizioni della figura paterna, evidenziandone i significati più profondi, conservati nell’inconscio collettivo.

Qui l’Autore ci ricorda che il padre ha la funzione simbolica di favorire l’allontanamento della simbiosi madre-figlio, consentendo al bambino, verso la fine del primo anno di vita di distinguersi dalla madre e di iniziare a percepirsi come individuo a sé. Ma, anche nelle fasi successive di crescita, la presenza della figura paterna continua ad aiutare il bambino nel suo processo di individuazione, impedendogli di essere “ringoiato” nel rapporto simbiotico con la madre, salvandolo in altre parole dalla regressione simbiotica.

È, ancora, essenzialmente il padre a guidare il processo di autonomia dei figli nell’età della latenza, quando questi incominciano a rivolgersi al di fuori della famiglia, alla società e così via fino al completamento dell’adolescenza.
Se il codice paterno viene inteso, dunque, come funzione evolutiva, si può comprendere quanto sia necessario per i figli il confronto con un valido padre reale. E si può comprendere come, soltanto a partire da questo confronto, i figli possano compiere e superare la loro adolescenza.

Certamente, se si continuerà a far prevalere una scarsa frequentazione dei figli con i padri separati, — precisiamo, portatori di valori sani — , questa produrrà conseguenze a lungo termine, prevedibili fin d’ora.
Da oltre un decennio gli esperti in questa materia hanno tenuto a sottolineare, che se il vuoto identificativo con il padre separato si coniuga con l’assenza sempre più massiccia di figure maschili all’interno della scuola, per mancanza effettiva di insegnanti maschi, il rischio di devianza diventa sempre più elevato.

Sono molto interessanti, ad esempio, alcuni studi di Krieger , in cui si evidenzia che soprattutto tra gli 11 e i 15 anni gli alunni maschi che desiderano affermare la loro virilità incontrano grosse difficoltà quando hanno di fronte solo docenti donne. In particolare, quelli con padri assenti sentono il bisogno di sfidare le figure femminili con comportamenti aggressivi e nei casi più gravi formano bande per taglieggiare i compagni, picchiare le insegnanti o compiere atti di feroce vandalismo nei confronti delle strutture scolastiche. ..Questi comportamenti servono a provare la loro minacciata mascolinità. Una mascolinità minacciata dal rischio di doversi identificare con il femminile, piuttosto che con il maschile. Una masconilità minacciata dall’“invasività” del femminile a casa e a scuola. Un femminile, che non sempre comprende, che è caratteristico del maschile litigare, fare la lotta, spintonarsi, fare molto rumore.

L’aspetto più grave di questo problema, visibile anche nei più recenti fatti di cronaca, è che stanno aumentando le manifestazioni di disagio dei ragazzi a scuola, dal bullismo agli abbandoni, dagli atti vandalici alle bocciature, dagli attacchi ai professori, ai suicidi, con un numero maggiore di maschi in difficoltà rispetto alle ragazze.

Negli studi di Krieger (1998) è stato evidenziato quanto sia importante per un ragazzo avere un padre o un insegnante o una figura maschile significativa, che possa insegnargli a lottare anche fisicamente, ed essere forte ed assertivo, senza diventare violento, mantenendo il senso della misura e delle conseguenze delle proprie azioni. L’ Autore sottolinea, in proposito, che occorre perciò non solo valorizzare maggiormente il ruolo paterno, ma anche la presenza di figure maschili a scuola e propone di inserire le figure degli obiettori di coscienza per l’animazione delle attività ricreative, che si svolgono nelle ore pomeridiane (Krieger N., 1998, Teacher’s understanding and emotions in relative to the creating of masculinity, in Andolfi M., Il padre ritrovato,Franco Angeli, Milano).

Riposizionare il padre, oggi, all’interno della famiglia nucleare o della famiglia disgregata, per ridurre al minimo lo sbilanciamento disfunzionale delle relazioni familiari, significa favorire la prevenzione rispetto al rischio di una futura società “malata” (Palma M.C., Estratto da: “Bigenitorialità e nuova cultura della Paternità”, Relazione tenuta presso l’Aula Magna della Corte d’appello del Tribunale di Palermo,4 dicembre 2006).

Maria Carolina Palma
Psicologa
Perito del Tribunale di Palermo
già Giudice del Tribunale per i minorenni

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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