Le due facce dell’ibridazione 

Tardigradi resistenti e umani irresistibilmente attratti

Venerdì 8 settembre 2023, La Ragione 

I tardigradi sono animaletti microscopici che vivono nell’acqua e in ambienti umidi. Hanno la capacità di sopravvivere in condizioni estreme che sarebbero letali per la maggior parte degli organismi viventi. Possono sopravvivere a temperature che variano dallo zero assoluto (-273 gradi Celsius) fino a circa +150 gradi. Sono anche in grado di sopportare senza danni alti livelli di radiazioni e l’alta pressione delle profondità oceaniche ma anche di vivere nel vuoto dello spazio. In alcuni casi possono entrare in un particolare stato di letargo: si disidratano e vivono per anni senza acqua. Per questi motivi hanno catturato l’interesse di ricercatori in svariati campi quali la medicina, la biotecnologia, l’astrobiologia e come vedremo sono studiati anche da scienziati militari.

Negli scorsi anni un team di ricercatori dell’Università della California e dell’Università di Modena e Reggio Emilia ha pubblicato sulla rivista “Molecular Cell” uno studio che identificava alcuni geni protettivi per i tardigradi. Questi codificano per un gruppo di proteine dette Tardigrade-Specific Intrinsically Disor-dered Proteins (TDPs) che sono responsabili della loro resistenza durante la disidratazione nella fase di letargo.
Le ricerche sono continuate in vari Paesi fino a quando, ad aprile scorso, la rivista “South China Morning Post” di Hong Kong ha segnalato il tentativo, in Cina, di ibridare gli esseri umani con i tardigradi per aumentarne la resistenza alle radiazioni. A dire il vero già nel 2016 un gruppo di ricercatori dell’Università di Tokyo aveva identificato in questi microscopici animali un gene che codifica per una proteina chiamata Dsup. Questa, legandosi al Dna, ne evita la rottura anche se la cellula è sottoposta a forti radiazioni. Lo studio era stato pubblicato sulla rivista “Nature Communications”. Un ulteriore test degli stessi scienziati aveva confermato il ruolo protettivo della Dsup anche se questa veniva utilizzata in tecniche di ingegneria genetica: se inserita in cellule diverse dai tardigradi il danno da radiazioni nei tessuti modificati si riduceva del 40%.

Sull’onda di questi risultati alcuni scienziati cinesi, vicini agli ambiti militari, hanno proseguito le ricerche spingendosi ben oltre. Nel report dell’Accademia delle Scienze Militari di Pechino si legge infatti di una sperimentazione simile a quella giapponese, ma su tessuti umani. I ricercatori affermano che il 90% delle cellule embrionali umane modificate con geni dei tardigradi sarebbe sopravvissuto a un’esposizione letale ai raggi X. La ricerca è stata pubblicata nel marzo di quest’anno sulla rivista in lingua cinese “Military Medical Sciences”. Per ottenere questo risultato è stata usata l’innovativa tecnica di editing genetico Crispr/Cas9 già sperimentata con successo in questi ultimi anni per trattare alcune malattie genetiche.
La fase successiva del programma scientifico sarebbe quella di modificare le cellule staminali del midollo osseo umano, quelle che producono le cellule del sangue: globuli rossi, globuli bianchi e piastrine. Queste infatti sono le più vulnerabili all’esposizione di elementi radioattivi. L’idea sarebbe quindi quella di ibridare con i geni dei tardigradi le cellule staminali del midollo di soldati già in età adulta in modo da ridurre i danni del fallout radioattivo e mantenerli in attività sul terreno contaminato. Obiettivo questo ben diverso dallo studio giapponese, che concludeva come la ricerca sarebbe stata importante per proteggere il personale di emergenza attivabile in disastri nucleari oppure in colture agricole da far crescere, esposte a radiazioni cosmiche, in ambienti estremi come quello di una futura colonizzazione di Marte.

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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