“Come la muffa annerisce un muro, così il fanatismo è come una malattia che si diffonde. È come un cancro che colpisce ragazzi già violenti e con disagi personali che generalmente non frequentano la comunità islamica e che devono trovare una giustificazione al loro essere estremi” (concetto di islamizzazione del radicalismo e non di radicalizzazione dell’Islam 1) (Nader Akkad).
Ho avuto il piacere di fare una chiacchierata con Nader Akkad – ingegnere elettronico di origine siriana e di fede musulmana, ricercatore all’Ictp di Miramare, Imam della Grande Moschea di Roma e Copresidente-fondatore della CMMC (Commissione internazionale Mariana Musulmano Cristiana) – per riflettere sul ruolo svolto dai terroristi che infangano una religione e deformano la comunicazione diretta ed indiretta.
Sin da subito ha voluto sottolineare caldamente l’importanza di partire da un linguaggio adeguato e da definizioni corrette degli eventi e dei personaggi presi in considerazione. In particolare, piuttosto che definirli terroristi islamici, ritiene che sarebbe più appropriato chiamarli terroristi islamisti o criminali/terroristi criminali che abusano della religione. Questo perché utilizzare la parola “islamici” significherebbe macchiare la ‘vera’ religione musulmana, connotarla negativamente, storpiarne i contenuti e diffondere un messaggio scorretto che non fa altro che incentivare gli attentatori. Non bisogna cadere in inganno, perché “il terrorista vuole diffondere il terrore e se gli concediamo di usare la purezza, la santità della religione, cadiamo nella sua trappola”.
“È un grande errore associare la santità al pensiero criminale, l’Islam al terrorismo. Non andiamo ad incolpare le religioni per le azioni compiute da questi pseudo-religiosi. La comunità islamica condanna nel modo più assoluto questi atti individuali negativi, che non sono espressione dell’Islam, ma di menti criminali. Oggi giorno è questo che dobbiamo ricordare: forse possiamo sconfiggere il pensiero terroristico partendo dalla terminologia della quale loro fanno uso ed abuso. Andiamo a definirli criminali, terroristi, ma non andiamo a dare loro il privilegio di associare la santità a loro. È come un criminale mafioso che lo definisco mafioso cristiano: come posso associare una religione a un pensiero criminale mafioso?! Quindi almeno utilizziamo il termine pseudo o definiamo la persona, ma non la sua religione, perché sennò è abuso di una religione”.
L’Islàm è una religione di pace, amore per il prossimo, fratellanza e solidarietà. Gli attentati compiuti in diverse parti del mondo sono stati scagliati da una piccola minoranza di musulmani, per questo non è giusto – e nemmeno esatto – associare l’Islàm alla violenza degli attacchi terroristici.
“Il fenomeno terroristico riguarda alcuni individui – non la comunità – che danno interpretazioni maligne non condivise dalla comunità islamica. Sono persone che usano Internet e i social media (in particolare Telegram e Youtube) come canali di comunicazione, così da costruire reti per diffondere la loro ideologia e fare propaganda. Ma sono azioni individuali. Sono mele marce che infestano la comunità islamica”.
Lo studioso ritiene perciò che la funzione dell’Imam sia di primaria importanza. L’Imam – la guida religiosa, il leader spirituale – ha un ruolo di educatore, non solo per diffondere il messaggio religioso, ma anche nei progetti di de-radicalizzazione dei terroristi. Consegue programmi di studio e di formazione per sapere poi come comportarsi davanti a persone radicali-estremiste.
“Lo stesso ha affrontato purtroppo anche la Chiesa. Se da un prete viene un mafioso che vuole confessarsi che vuole andare a fare un attentato criminale, cosa deve fare quel prete? Se non c’è uno strumento di formazione, non sa come agire – anche perché sono dei fenomeni nuovi”.
Chi viene adescato?
“Alcuni giovani ragazzi, magari nati in Occidente che poi hanno abbracciato l’ideologia dello Stato del Terrore, vengono indottrinati dallo Stato Islamico. E questo come ha fatto? Cercando di lavorare, di sradicarli dalla loro identità nazionale, dicendo loro: «Voi non siete quello che pensate di essere. Io vi do la vostra definizione, la vostra identità». Così lo Stato Islamico ha approfittato di alcuni giovani che non sono bene integrati, oppure che hanno subìto nel loro percorso di vita magari problemi di non essere ben inclusi nella loro società e che quindi sono rimasti senza un’identità, non hanno capito se loro sono musulmani o se sono cittadini. Lo Stato Islamico ha lavorato su questo – con un’ideologia sentita e solida che non c’entra niente con l’Islam e una propaganda per reclutare seguaci -, dando loro la loro vera-presunta identità: «Voi siete musulmani e dovete integrarvi venendo nello Stato Islamico. Questo non è il vostro paese, questo non è il vostro Stato, voi siete musulmani, voi appartenete al nostro Stato, dovete emigrare come è emigrato il profeta Muhammad»”.
Tanti sono caduti in questa trappola. E come hanno reagito gli Imam e la società musulmana?
“All’estremismo si risponde lavorando sull’educazione, specialmente tramite il dialogo interreligioso, di primaria importanza per scambiare idee e parlare delle difficoltà in un’atmosfera di reciproco rispetto – così da ricercare soluzioni per la coesistenza pacifica di tutti i cittadini. Noi siamo intervenuti e – come risposta al fenomeno di sradicare questi ragazzi dal loro territorio nazionale – abbiamo detto loro: «Voi siete i cittadini del posto in cui siete nati, dove avete vissuto, questo è il vostro paese e dovete essergli leali. Voi siete francesi di fede musulmana, voi siete italiani di fede musulmana, questa è la vostra Patria, non traditela. Non andate verso un’ideologia del paese del terrore che vuole prendersi gioco di voi, della vostra fede, della vostra vita». Abbiamo cercato di trasmettere il concetto della cittadinanza e non della minoranza: abbiamo cercato di fargli comprendere che prima devono sentirsi francesi e di fede musulmana – e non il contrario, musulmani che hanno acquisito una cittadinanza. Abbiamo lavorato a controbattere l’ideologia del terrore, riportando la comunità verso il significato di appartenenza ad uno Stato e di far parte di una società e di una cittadinanza. Il fenomeno del terrorismo dello Stato Islamico ha messo sicuramente delle sfide davanti agli Imam che magari non erano neanche preparati a rispondere in questi termini di cittadinanza e di minoranza. Noi abbiamo usato una narrativa diversa da quella utilizzata dall’estremismo e dal terrorismo per colpire”.
Da Imam, Nader Akkad ricorda anche di essere intervenuto in merito alla morte di Valeria Solesin – uccisa al Bataclan (Francia, 13/11/2015) -, tenendo un discorso durante la cerimonia funebre di Stato nella piazza di San Marco (Venezia) alla presenza del Presidente della Repubblica italiana Sergio Mattarella. In questa occasione, il padre della vittima fece un gesto di alta civiltà: invitò gli Imam al funerale della figlia. “Lui ha capito il meccanismo: l’Imam e la religione non c’entrano con coloro che hanno ucciso sua figlia. E, così facendo, ha dato un colpo a quelli che hanno ucciso sua figlia – assassini criminali anti-Islam, anti qualsiasi altra religione, anti qualsiasi umanità – i quali hanno voluto separarci e dividerci come italiani di questa nazione. Invece lui, invitando l’Imam, ha colpito il piano terroristico degli assassini della figlia. Il terrorismo fatto nel nome dell’Islam è un crimine contro la Umma dell’Islam e contro l’umanità intera e va sconfitto, e gli stessi musulmani lo devono fare in quanto sono i primi a subirne la sua devastazione”.
Lo Stato Islamico – seppur oggi non agli albori raggiunti nel 2015 – ancora rappresenta una minaccia per il terrorismo internazionale e la sicurezza regionale e globale da non sottovalutare. È sempre vivo e si rafforza perché colma un vuoto di governance, di potere; il pericolo terroristico è diminuito, ma è aumentata la percezione e il fenomeno si è globalizzato. Il terrorismo internazionale, la guerra al terrorismo e il fenomeno sempre più aspro dell’immigrazione metteranno a dura prova il futuro prossimo.
Oggi l’Islam è una religione praticata in modo pacifico da più di 1,6 miliardi di fedeli. È stata trasmessa una lettura storpiata dell’Islam e della sharia da parte dei fanatici terroristi islamici – che danno una giustificazione alle loro azioni attraverso un uso contorto e sovversivo della religione – ed è stata creata e diffusa una rappresentazione distorta e manipolata dell’Islam da parte dell’Occidente – esibendola come una religione violenta e che incute paura. La sfida futura sarà soprattutto culturale. Si possono tollerare gli intolleranti? Sì, a patto che non cerchino di conquistare il potere. La tolleranza delle religioni – e non delle loro interpretazioni fanatiche errate – e delle minoranze è diritto di ogni individuo ed è necessaria per la convivenza e l’ordine (Lanzillo Maria Laura). Si può avere paura del radicalismo, del terrorismo, ma non dell’Islam.
“Non c’è pace tra le nazioni senza pace tra le religioni. Non c’è pace tra le religioni senza dialogo tra le religioni” (Kung Hans, teologo svizzero).
(Dalla mia Tesi di Laurea magistrale)
NOTE
1 Prima avviene la radicalizzazione, l’estremizzazione (scatenata dall’odio per qualcuno o qualcosa) poi l’islamizzazione in senso jihadista (il disprezzo sopracitato viene inserito all’interno di un quadro “religioso”-salafita estremo).