
Alla lunga e travagliata storia dell’ex statalizzata si aggiunge un ulteriore tassello di matrice americana. Una situazione intricata che chiama il governo ad agire a salvaguardia dell’interesse nazionale.
Il fatto
Acque molto mosse attorno a TIM da quando il fondo newyorkese KKR & Co. ha presentato al consiglio di amministrazione dell’azienda di telecomunicazioni un’offerta pubblica di acquisto “amichevole” sulla totalità delle azioni dell’impresa. Manifestazione di interesse, come riportato fra gli altri da Il Sole 24 Ore, “…allo stato non vincolante e indicativa” e tesa “…a lanciare un’Opa totalitaria finalizzata al delisting che sarebbe valida al raggiungimento di almeno il 51% del capitale”. E che lascia al cda di via Negri un mese di tempo per deliberare.
Come anticipato da La Stampa, era da giorni che il colosso statunitense del private equity guardava all’Italia. Rapito da un interesse per il Belpaese tutt’altro che fugace, essendo già da tempo parte di FiberCop, realtà del Gruppo TIM nata dall’alleanza fra l’azienda italiana, la stessa KKR e Fastweb per la gestione e l’implementazione della rete in fibra ottica della penisola. A suggellare il gemellaggio trans-atlantico una quota all’interno della controllata TIM tutt’altro che trascurabile del 37,5%, segnale della volontà americana di un posizionamento duraturo sul mercato italiano. E ora anche sulle consorelle del gruppo dell’ex monopolista della comunicazione.
Il tutto, in un periodo già teso, squassato dalle frizioni tra i francesi di Vivendi e l’amministratore delegato Luigi Gubitosi. Quest’ultimo sempre più in difficoltà dopo la netta e negativa presa di posizione dei consiglieri vicini al colosso francese sullo stato delle casse della società e sulle performance del piano industriale. Sintesi di un interminabile periodo in evoluzione dai molti risvolti negativi.
Le reazioni
Una vicenda che ha creato apprensione nel mondo politico. Su tutti, l’ex premier Giuseppe Conte ha parlato della necessità di “…mantenere altissima la guardia, assicurando la migliore protezione di interessi nazionali e asset che rappresentano una colonna portante di crescita, sviluppo e progresso tecnologico del Paese”. Parallelamente Marco Rizzo, segretario del Partito Comunista, che accomunando la vicenda TIM alla vertenza Alitalia, ha posto l’accento sui rischi per i lavoratori. Inserendosi così sulla stessa linea dei sindacati, che esprimono preoccupazione per le sorti dei lavoratori fra possibili esuberi e totale incertezza sul futuro occupazionale di migliaia di addetti.
Al presenzialismo di molti, nella vicenda non sembra per ora aggiungersi quello del gruppo di Vincent Bolloré, che si limita a negare ogni tipologia di contatto con attori nazionali o internazionali. Il governo, da parte sua, se per il tramite del MISE si è temporaneamente trincerato dietro il più stretto riserbo, attraverso il MEF si è premurato di rilasciare un laconico comunicato: “Il Governo prende atto dell’interesse per TIM manifestato da investitori istituzionali qualificati”. Aggiungendo che “Il Governo seguirà con attenzione gli sviluppi della manifestazione di interesse e valuterà attentamente, anche riguardo all’esercizio delle proprie prerogative, i progetti che interessino l’infrastruttura”.
Il nodo sicurezza
Nel turbinio degli eventi e nel ritornello del “chi fa cosa” è proprio Palazzo Chigi a rivestire il ruolo di player insostituibile e privilegiato della partita. “Dominus” in grado di azionare il “golden power” a tutela dell’interesse e della sicurezza nazionali. E il perno della vicenda ruota inevitabilmente attorno alla necessità di serbare in mano pubblica e italiana almeno il business più “scottante” di TIM, la gestione della rete, anche nell’ottica della migliore attuabilità possibile del PNRR e della spendibilità dei fondi per l’ammodernamento e potenziamento del mondo delle comunicazioni previsti al suo interno.
Vero maestro di cerimonia, Mario Draghi assume una posizione attendista, limitandosi per ora a lasciar giocare il mercato, conscio della possibilità di poter cambiare le carte in tavola nel caso in cui il gioco risultasse in contrasto con le esigenze statali. Con un occhio di riguardo alle mosse dei giocatori: in tal senso va la costituzione, come riportato dal MEF di “…un Gruppo di lavoro composto dagli esponenti di Governo titolari delle competenze istituzionali principalmente coinvolte, oltre che dalle Amministrazioni e da esperti” che seguirà la vicenda, con il Copasir, a sua volta, in allerta.
Questioni economiche ma ancor prima di difesa di infrastrutture strategiche per il funzionamento dello Stato. Il “potere d’oro” del governo dovrà esplicarsi, in particolare dopo il recente ampliamento del perimetro di applicabilità della disciplina sul “golden power” che, grazie al Decreto Liquidità dell’aprile 2020, può contare sul riconoscimento di nuovi settori di riferimento. E rispetto ai quali TIM acquista allora rilevanza non soltanto nell’ambito delle comunicazioni, tradizionalmente tutelato dai poteri speciali governativi, ma anche nel variegato mondo della cybersicurezza, di recente “acquisizione” legislativa.
Il tutto, in attesa di una seria e inevitabile riflessione anche sulla nozione di intelligence economica, che dovrà svilupparsi parallelamente proprio a quella di “golden power”, in un’ottica di reciproco rafforzamento non soltanto concettuale ma anche operativo e di tutela del Paese. Dal momento che, come sottolineato a Formiche da Enrico Borghi, responsabile sicurezza del Partito Democratico, “…la guerra economica odierna si fa “acquisendo asset privilegiati di un Paese””, e per tale motivo “Non disporre di uno strumento specifico in questo contesto significa essere ciechi nel momento in cui il sole illumina il mondo”. Sperando nel frattempo di non rimanere abbagliati proprio con TIM.