La società di oggi, la perdita del dubbio

man in black leather jacket

L’uomo tende a semplificare la realtà quando si trova a gestire una situazione di difficoltà inaspettata. Viene sedotto dalla possibilità di scambiare il semplice con il facile rischiando di collassare su spiegazioni che non hanno nulla di rigoroso, che servono solo ad agevolare la sensazione di conforto di cui ha continuamente bisogno. La crisi sociologica che stiamo vivendo, la perdita di fiducia totale nei confronti della società, degli altri e di noi stessi, è il terreno fertile perfetto per questo comportamento.

I segnali sono abbastanza evidenti, il negazionismo nei confronti di una pandemia che è più familiare che altro ormai, il fenomeno del terrapiattismo, la costante minaccia dell’integrità del web dovuta al diffondersi dei bot e del deepfake, l’incertezza della situazione economica. E non ultima, la polemica riguardante l’aspetto della vaccinazione.
È ironico che la generazione che è “viva” grazie ai vaccini ora ne metta in dubbio continuamente l’efficacia, o perlomeno il loro ruolo nel processo sanitario.

Il sospetto è l’unica cosa certa: nessuno crede più a nulla e, forse, nessuno vuole più credere a nulla.
Una crisi di identità con conseguenze chiare: se nessuno crede più a nulla, significa che tutti sono pronti a credere a tutto.

L’uomo costruisce la propria identità sulla base delle proprie esperienze, sui “valori” che in qualche modo ritrova anche nel mondo che lo circonda, tuttavia il mondo sembra offrire solo incertezza: l’uomo, invece, inconsciamente ha bisogno di fidarsi, di credere in qualcosa.  
Nella costruzione dell’identità, le fattezze psicologiche sono la base perché l’uomo non ha mai un’idea precisa di come egli è. Anzi, in qualche modo, l’impossibilità di avere una chiarezza definitiva sul tema si traduce in uno spasmodico bisogno di avere qualcosa in cui riconoscersi, una certezza esterna da guardare.

La conseguenza non è la totale mancanza di fiducia, al limite se ne potrà parlare nel breve termine, o addirittura come causa scatenante piuttosto che come effetto: la società, piuttosto, rischia di collassare verso l’“ipse dixit”, lo stesso che ironicamente ha caratterizzato il mondo fin dai tempi degli antichi greci, per tutto il medioevo e contro cui tragicamente molti uomini hanno lottato nel tentativo di uscirne fuori.
In realtà, a pensarci bene, è un concetto che non ha mai abbandonato la nostra società. Certo, quando si guardava a Pitagora, ad Aristotele e poi alla Chiesa, la questione era presente in maniera esplicita.
Con il tempo, però, “l’ipse” si è spostato in maniera più furtiva e sottile.

Dalla nascita del metodo galileiano, la scienza ha ottenuto il suo legittimo campo di applicazione, anzi è diventata insostituibile e, per certi versi, ha assunto il ruolo che la religione aveva sempre avuto.
Si è giunti ad una sorta di scetticismo analitico: si crede solo a ciò che si può dimostrare, solo a ciò che è riportato con rigore scientifico, a volte solo ciò che è riportato da uomini di scienza.

Si tratta di vera e propria superstizione scientifica, vale a dire si tende a pensare che si possa applicare il metodo galileiano senza discrimine: campi come l’etica, la politica, l’estetica, la teologia, o in generale quando ci troviamo di fronte ad un fenomeno che non possa essere ripetuto sotto le stesse ipotesi e in condizioni controllabili, la scienza non può dire nulla.
In secondo luogo, si tende, forse in risposta anche alla crescente incertezza generale, a trattare le verità scientifiche come dogmi, senza procedere in maniera critica.
Questo, però, produce l’effetto contrario: si ripiomba in quell’”ipse dixit” che tanto si vuole evitare.

A tutti quanti fa comodo prendere internet come nuova voce della verità.
Oggi, il mondo digitale, soprattutto per quanto riguarda le nuove generazioni, è diventata una guida.
Ormai, si vive con la convinzione che tutto ciò che sia online sia vero, si ha la percezione che, essendo il web qualcosa di importante, un’informazione pubblica allora deve essere sicuramente vera.
Passa in secondo piano, nonostante tutti lo sappiano, che sono sempre persone a caricare i contenuti online, per cui possono sempre sbagliare, a voler restare ottimisti.  
Nel momento stesso, però, in cui si introducono variabili che costringono a mettere in dubbio le fondamenta del nostro stile di vita, la situazione precipita.
Si è terrorizzati dall’idea di non credere più in nulla. Ed è proprio questo terrore che poi porta, come dicevamo, ad aggrapparsi alla prima certezza disponibile, qualunque essa sia.

Da un lato si ripiomba in situazioni che si pensava sconfitte da tempo. Il terrapiattismo è l’esempio più evidente, tanto da costringere nel dicembre 2018 un giornale come il Sole 24 ore a pubblicare un articolo dal titolo “Come si spiega l’incredibile successo dei <<Terrapiattisti>>”.
Il fascino sta non tanto nel credere che la terra sia piatta quanto nel fatto di credere in una teoria cospirativa. Ma alla fine, la questione si riduce a credere in qualcosa.
Si dà credito alla teoria della rotondità perché vi sono evidenze scientifiche e prove sperimentali, anzi è quasi scontato.
Per i terrapiattisti, invece, si tratta di credere in qualcosa che nel profondo sanno non poter dimostrare e, ancora di più, si tratta di una lotta nella quale hanno contro tutti.
Credere in qualcosa che non ha possibilità di verifica, sfociare nel fanatismo, è confortante e psicologicamente costituisce un forte pilastro per la propria identità. Nel periodo di crisi che viviamo, identificarsi con una teoria in tal senso costituisce quasi un’assicurazione.

Dall’altro, l’”ipse dixit” si traduce in quello cui talvolta ci si riferisce come “pensiero unico”, ossia l’idea che ci si debba adeguare al pensiero di moda del momento, con il rischio, se contrari, di essere stigmatizzati o ostracizzati dal vivere comune.
Nel maggio 2018 il giornale “Secolo Trentino” pubblicò un’inchiesta che poneva in minuziosa analisi questa situazione, ovvero, fondamentalmente, si mise in luce il fatto che oggi stiamo vivendo, da questo punto vista, una sorta di medioevo moderno.
Lascia poco spazio ad interpretazioni la visibile stagnazione economica dell’Europa di questo periodo: si parla di impoverimento generale, di riduzione dei diritti dei lavorati, del fallimento delle politiche pubbliche.
Addirittura, si potrebbe dire che la precarietà e la disoccupazione hanno cifre tali che i cittadini ormai sono familiari con questa povertà.
In generale, è innegabile la crisi attuale della civiltà occidentale, eppure sembra che si preferisca ascoltare il pensiero di massa, o il pensiero degli “esperti”, che danno l’impressione di avere la soluzione ad ogni problema, quando le cose avvengono sotto i loro occhi. Basta pensare alla situazione attuale dell’emergenza covid per avere un esempio di questa contraddizione.
Eppure, rimane il fatto che è sufficiente non essere d’accordo con il pensiero comune, con le opinioni veicolate dai media, per essere tarchiati con sfiducia e guardati con sospetto.

L’emergenza sanitaria è stato in questo senso un colpo di grazia ad una società già sul baratro. Nel maggio 2020 l’ECON Committee ha portato all’attenzione il problema di delineare come affrontare l’”incertezza fondamentale”. In altre parole, la crisi economica si traduce per il cittadino in una situazione di totale incertezza in cui le scelte vanno prese con la consapevolezza che tutto potrebbe cambiare in maniera repentina.
Nella vita e nella gestione dell’economia familiare, come anche quella d’impresa, si deve essere pronti a reagire di fronte ad avversità impreviste.
Gli effetti sulla stabilità psicologica delle persone sono consequenziali: come ci può aspettare che un uomo possa avere fiducia in qualcos’altro, che possa credere in qualcosa o che possa non cedere alla tentazione di sfociare nel fanatismo, se non ha più neanche la certezza di sopravvivere un domani.

La parte tragica della questione è che non c’è spazio né per le giustificazioni né per le condanne.
La società moderna non è più capace di offrire più punti di riferimento alle persone, anzi si dimostra quasi distaccata e incapace di comprensione e di compassione.

E così a prendere il nostro posto si ritroveranno generazioni sempre più disilluse e disincantate, che non potranno che guardare che a loro stessi, perché fuori non ci sarà più nulla da seguire.
Il conseguente “ipse dixit” spaventa non tanto per il timore che si possa tornare a delle situazioni simil medioevo, quanto perché si rischia di generare un connubio tra il peggio di allora e il peggio di oggi.
Per esempio, alleggia il timore che ci si identifichi a lungo andare nel marchio aziendale. In qualche modo, il marketing, la continua presenza e soprattutto il quotidiano bisogno di realtà come Amazon, Google, Apple rasenta le caratteristiche di una forma di culto, che sembra auspicare quasi ad una sorta di dimensione orwelliana nella situazione finale.
In quest’ottica, un segnale da tenere d’occhio, per esempio, sono le alternanze scuola-lavoro. Si tratta di un’esperienza positiva in linea di principio, parte dal presupposto di dare un sapore di praticità alla vita degli studenti, tuttavia, rimane un qualcosa di inquietante quando si permette di agire sulla formazione di un ragazzo degli enti che, comunque per loro natura stessa, sono legati al profitto, al guadagno, all’efficienza economica.

È la fine del progresso.
Se la situazione di totale incertezza è la causa della sfiducia generale, e quest’ultima potrebbe esserlo di un complessivo “ipse dixit”, tutto questo comporterebbe la fine del “dubbio”.
Nella storia, è sempre stato il porsi dubbi che ha permesso alla nostra società di adoperarsi per risolvere problemi e in queste fatiche si collocano tutte le innovazioni culturali, sociologiche, tecnologiche.
È mettere in dubbio la propria esistenza che ha portato l’uomo a lottare per i propri diritti, ad arrivare sulla Luna, a costruire una vita migliore e più giusta per tutti.
Ma se ora nessuno crede più a nulla, neppure a se stesso, se si preferisce pensare all’unisono, con il rischio che sia il “profitto” a decidere quale sia il pensiero comune, se il “dubbio” così cessa di esistere, come si può pensare che si possa progredire e migliorare in tal senso.

Quell’incertezza che tanto fa tremare la nostra società in questa crisi forse è la stessa soluzione che serve per tirarcene fuori.    

Rosario Pullano

Rosario Pullano è studente del Politecnico di Torino, dove frequenta il corso di laurea magistrale Physics of complex systems, percorso internazionale interateneo tra icpt, sissa e alcune università di Parigi. Nasce a Catanzaro l’8 febbraio 1997. All’età di 5 anni si trasferisce con la famiglia a Trieste. Si forma presso il Liceo Classico “Dante Alighieri” e, successivamente, studia all’università “La Sapienza” di Roma, dove consegue la laurea triennale in fisica. Si trasferisce a Bologna un anno, dove completa il corso di alta formazione in finanza matematica. Il 21 novembre 2016 è tra i vincitori nella categoria “Giovani Promesse” nella Sezione Poesia singola del “Concorso letterario internazionale Michelangelo Buonarroti”. Pubblica la raccolta di poesie “Memorie del futuro: sentimenti” nel 2019 con la casa editrice EuropaEdizioni. Ad oggi, continua a scrivere in ambito creativo e in ambito giornalistico e segue le sue ispirazioni imprenditoriali occupandosi di progetti di start up relativi al mondo dell'innovazione dei servizi digitali. 

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