Afghanistan odi et amo

Successi e insuccessi italiani nel Paese asiatico. Un resoconto, alla fine della storia.

La bandiera viene ammainata e riposta al sicuro, preparata con fare deferente per il decollo verso Roma. L’ambasciata, senza il suo sacro simbolo, non è più tale.

È l’ultimo, recente atto di una coreografica codificata, quella dell’abbandono di uno Stato da parte di una rappresentanza diplomatica. L’epilogo di vent’anni di presenza italiana in Afghanistan, la chiusura di un sipario dietro al quale i protagonisti sono anche italiani e la scenografia è quella del territorio arido del Paese dell’Asia occidentale.

La frenesia degli eventi che hanno portato alla disastrosa ritirata della coalizione occidentale dall’Afghanistan ha contribuito ad offuscare il portato di missioni infarcite di errori e lacune. Ma fatte anche di risultati: molti nel breve termine, pochi quelli duraturi. In questa storia italiana vale la pena di ricordarli.

Le origini

Avviata negli ultimi mesi del 2001 per volontà della NATO, sulla scorta dell’interventismo americano post 11 settembre, la missione italiana in Afghanistan è stata inquadrata nell’International Security Assistance Force (ISAF) e, dal 2015, nella Resolute Support mission (RSM) dell’Alleanza Atlantica.

Le missioni, operate su mandato delle Nazioni Unite, hanno avuto finalità diverse.

Dapprima, la presenza italiana e occidentale nella regione ha mirato al supporto e all’addestramento delle forze armate e di sicurezza nazionali, per la creazione di un esercito e di una polizia capaci di operare autonomamente. Da ultimo si è focalizzata sulla formazione e sul sostegno degli organi di governo in materia di ordine pubblico e difesa, per rafforzare l’autorità e l’autorevolezza delle istituzioni afghane. Il tutto, con l’affiancamento dell’European Union Police Mission in Afghanistan (EUPOL), sotto l’egida di Bruxelles.

I dati

La ventennale presenza italiana nella regione, con baricentro la capitale Kabul, ma soprattutto il nordoccidentale territorio di Herat, ha visto l’alternarsi di migliaia di componenti delle nostre forze armate, circa 800 nel solo ultimo anno di missione. 723 sono stati i feriti, 53 le vittime. Questi i numeri recentemente elencati dalla Difesa nel discorso del ministro Guerini a suggello del rientro in patria dell’ultimo contingente militare. Cifre nere dell’enorme sacrificio scontato dall’Italia.

Secondo i dati per l’anno 2021 di “MIL€X – Osservatorio sulle Spese Militari Italiane”, inoltre, “i 20 anni complessivi di presenza italiana nel Paese asiatico hanno comportato l’esborso di 8,7 miliardi di euro dei quali ben 840 milioni relativi a contributi diretti alle Forze Armate afghane.”

Le attività

Nei due decenni di presenza sul territorio afghano, la task force nazionale non ha assunto solo le tipiche funzioni difensive delle missioni di peacekeeping, operando, come riportato anche da dossier del Parlamento italiano “…sia attraverso la conduzione di operazioni militari secondo il mandato ricevuto, sia attraverso il contributo ad azioni umanitarie e di ricostruzione”.

Il contingente italiano, supportato da cooperanti e personale civile, si è distinto per la moltitudine e la varietà dei programmi attuati.

Come riportato dal Sistema informativo a schede dell’Istituto di ricerche internazionali Archivio Disarmo, oltre alle operazioni di difesa degli obbiettivi sensibili e di polizia militare, già da anni sono state intraprese attività di sostegno ai canali d’informazione e ai media, di supporto ai progetti di ricostruzione delle infrastrutture, operazioni di assistenza umanitaria.

Ancora, la presenza italiana in Afghanistan ha permesso lo sviluppo della cooperazione in ambito sanitario, di prevenzione e tutela della salute, di contrasto alla violenza di genere e di assistenza agli sfollati nelle comunità locali, di tutela e restauro del patrimonio culturale. E ciò non soltanto attraverso l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo, l’Istituto Centrale per il Restauro, strutture governative e dicasteri, ma anche per l’operato di associazioni, ong e realtà private.

Degno di nota è stato l’operato del Multinational CIMIC Group, reparto interforze e multifunzione guidato dall’Italia, realtà di eccellenza fra le strutture NATO nell’ambito della cooperazione fra mondo civile e militare. Né può essere dimenticata “…l’opera di riforma del sistema giudiziario, attraverso il riassetto dell’ordinamento, la ricostruzione delle strutture dell’amministrazione giudiziaria, e la formazione del personale addetto”, come si evince dai dossier del ministero degli Esteri.

Amara conclusione

Sono questi, fra gli altri, i successi italiani nello Stato asiatico. Sui quali già incombe il più grave insuccesso: la nuova normalità che il Paese si prepara ancora una volta a vivere, quella talebana. E sui quali si stende la coltre della disfatta. Non tanto italiana, ma occidentale e statunitense. Il frutto di una gestione e di una strategia troppo spesso illogiche e incomprensibili. Decisioni di pochi per la futura sofferenza di troppi.

Le missioni europee e internazionali avevano un duplice obbiettivo: la lotta al terrorismo e la (ambiziosa) costruzione di un nuovo Stato afghano. La diversa e insperata normalità imposta contro il volere di una popolazione e il domani sempre più tragico e incerto certificano il fallimento della tentata edificazione di un Paese che avrebbe potuto e forse dovuto essere differente. E aprono a scenari nuovi: cosa resterà di ciò che è stato nel nuovo Afghanistan? Forse una coscienza collettiva nuova e diversa di una popolazione che continuerà, almeno in parte, ad avere memoria del mondo di prima e, un giorno, anche la forza di ribellarsi all’universo estremista talebano. 

Andrea Ferrarato

Classe 1995 - Maturità classica presso l’I.S.I.S. “Giosuè Carducci - Dante Alighieri” di Trieste, attuale studente di Giurisprudenza all’Università degli studi di Trieste. Ha maturato molteplici esperienze lavorative e di volontariato nel mondo del terzo settore e dell’associazionismo triestino. Nell’ambito culturale, di tutela e rilancio del patrimonio urbanistico e architettonico opera in qualità di socio e collaboratore museale presso il polo del Porto Vecchio di Trieste, con Italia Nostra. In tale veste ha partecipato all’organizzazione, all’allestimento e alla gestione di eventi, mostre e visite guidate, facendo parte, per la stessa associazione, del gruppo di supporto alla redazione del Masterplan 2018 del Porto Vecchio di Trieste. Ulteriore settore di interesse è quello storico, che coltiva in qualità di componente dell’Assemblea generale dei delegati, del Consiglio direttivo centrale e della Giunta di presidenza della Lega Nazionale di Trieste. Nell’ambito associazionistico degli esuli da Istria, Quarnero e Dalmazia ha ricoperto il ruolo di segretario dell’Associazione Famiglia Umaghese “San Pellegrino” con la quale ha contribuito alla realizzazione della stagione concertistica “Euterpe” e di ulteriori eventi culturali di matrice ricreativa, divulgativa e commemorativa. E’ inoltre cofondatore e segretario dell’”Associazione Liceo Dante 150 Trieste”, e responsabile del reparto business dell’”UniTS Racing Team”, progetto patrocinato dall’Università degli studi di Trieste. Già membro del Coordinamento giovanile provinciale triestino di FareAmbiente, partecipa infine, alla realizzazione della Biennale Internazionale Donna di Trieste con il supporto all’organizzazione, all’allestimento, alla gestione della stessa e curando l’organizzazione delle visite guidate. 

Rispondi