‘Voglio immaginare qualcosa di impossibile’, scrive Mario Carlin fra i suoi scarni appunti. Con una volontà di ferro, letteralmente, possiamo aggiungere. Perché proprio il ferro (con i suoi derivati) è la materia prima delle sue tangibili e fantastiche elucubrazioni ‘prive di stile’ – sempre a suo dire – ma, viceversa, riconoscibili in quella raffinata capacità di manipolare la materia con quel peculiare gusto del filiforme, dell’essenziale, dove materia stessa ed aria si coniugano in alchemica simbiosi.
E poi le scansioni curvilinee, le invenzioni surreali, le creature fuori dal mondo che Carlin definisce mostri che, anziché farci paura, appaiono impauriti per singolare contraddizione. Ed è facile accostare quest’ultima indagine ad una forte implicazione psicologica, dove l’artista pare calarsi nel suo intimo più profondo per portare alla luce proprio quei fantasmi di cui l’Inconscio è crudele e geloso custode. Ma, così facendo, nella manifestazione materica, essi vengono esorcizzati e, trovandosi nudi e scoperti, privati del potere invisibile, s’impauriscono. Curioso, davvero. Ma possibile.
Dovessimo individuare un altro dei segreti del ‘mestiere’ di questo artista, sicuramente potremmo riferirci a quel suo atteggiamento creativo fuori dal preordinato, dal banale. Come se il pensiero progettuale non fosse condizione esclusiva per realizzare sculture, installazioni di ‘situazione’ coordinate in uno spazio preposto. In Carlin tutto pare sorgere ed evolversi per evoluzione spontanea, senza filtri ed infrastrutture mentali che, non si voglia mai, lo condizionerebbero a rappresentare (o essere) ciò che invece non è.
Egli, invece, vuole cercarsi, trovarsi, comprendersi attraverso quel che fuoriesce dalle sue mani nel rapporto con il ferro che sente vicino e, di più, amico di viaggio. Libero di decidere. Di fare, non fare, oppure cambiare idea all’ultimo istante. Quel suo potente daimon creativo suggerisce il suo consiglio e lo invita a deformare, ad infrangere la barriera del reale verso strade alternative poco battute. E noi crediamo che questo consiglio sia davvero buono e corretto. Perché proprio in quel vasto ed ignoto territorio, talvolta popolato da inquietudini, Carlin può vivere l’incomparabile esperienza di incontrarsi con sé stesso e le sue complesse ragioni esistenziali.