Nuovi pirati, vecchi problemi

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Il blocco di Suez diviene quello del mondo produttivo sino-europeo e riporta a galla un antico e mai risolto spettro, quello della pirateria. Analisi di un anacronismo di stretta attualità.

Ever Given. Il nome che ha fatto tremare larga parte del commercio mondiale e delle catene del valore asiatico-europee negli ultimi giorni. Sconosciuta portacontainer di proprietà della giapponese Shoei Kisen Kaisha, gestita dall’armatore taiwanese Evergreen Marine Corporation, ma battente bandiera rigorosamente panamense, è lunga il doppio del Titanic e larga come due autostrade.

Apparsa agli onori delle cronache per essersi incagliata nel Canale di Suez, la nave ha provocato il collasso di gran parte del sistema trasportistico navale e fibrillazioni in quello economico-finanziario, finendo per evidenziare tutte le contraddizioni di un mondo permeato dalla più radicata globalizzazione. Un pianeta che si ritiene connesso e sicuro, ma che in realtà palesa tutta la sua miopia, non rendendosi conto del filo sottile su cui si innestano gli equilibri di cui si nutre.

Da Suez a Buona Speranza

La vicenda ha riportato la bussola della navigazione oceanica verso altre coordinate. Ha dirottato i bastimenti commerciali nel solco delle rotte comunemente utilizzate prima del 1869, anno dell’inaugurazione della “impresa” di Suez. Dalle ormai scontate comodità offerte da un canale modellato nelle sabbie del deserto – rapidità, minori costi e maggiore sicurezza della navigazione – si è tornati a fare i conti con i fantasmi del passato. Vecchi problemi irrisolti e irrisolvibili: tempistiche, consumi, sicurezza della rotta del Capo di Buona Speranza.

Gli armatori, travolti dalle circostanze, hanno dovuto modificare gli itinerari delle navi non ancora bloccate agli imbocchi a nord e a sud del canale. Con la sola “buona speranza” di evitare la morsa di uno stallo che è perdurato per giorni.
Una situazione di incertezza prolungata che avrebbe minato l’integrità delle merci trasportate e la consistenza degli utili delle società armatrici. Una circostanza foriera di tempistiche improbabili che, in un mondo contraddistinto da ritmi e scadenze prestabilite come quello del commercio e della logistica internazionali, non possono essere tollerate.

Il portale Ocean Insight ha rilevato come siano state almeno 26 le navi ad essere dirottate da Suez verso l’Africa del sud e almeno 70 quelle ad aver subito un ritardo più o meno marcato sulla tabella di marcia. Una tempesta perfetta abbattutasi non tanto sul naviglio, quanto nelle direzioni generali delle più grandi compagnie di navigazione. Dai leader del trasporto di container, alleanze quali 2M, Ocean Alliance e The Alliance, al petrolio, al gas, fino alle rinfuse e alle merci varie: nessuno è rimasto indenne da imprevisti, costi e ritardi.

Il problema sicurezza

Aldilà di ogni altra problematica, è stato però il fattore sicurezza a destare la maggiore preoccupazione.
La pirateria lungo le coste orientali e occidentali africane è fatto noto e irrisolto dopo decenni di strategie e soluzioni non vane, ma evidentemente insufficienti a contrastare una “tradizione” che, soprattutto in specifiche aree, è diventata endemica.

Il Golfo di Aden tra Yemen, Somalia e Gibuti, l’imbocco del Mar Rosso, porta meridionale del Canale di Suez, le zone occidentali del Mar Arabico, le coste africane dell’Oceano Indiano: nella fantasia luoghi esotici che riecheggiano storie e avventure che sembrano uscire dalla penna di Salgari, nella realtà mete storicamente pericolose per la navigazione. Sul versante occidentale il primato del Golfo di Guinea, dalle coste del Congo a salire fino al Ghana e alla Costa d’Avorio, passando per la Nigeria: è questa l’area del maggior incremento degli attacchi dei pirati al naviglio mercantile negli ultimi anni.  

Le dimensioni “africane” del fenomeno sono ben rappresentate dal Piracy Reporting Centre dell’International Maritime Bureau. L’istituto, nel suo report annuale, ha evidenziato una sostanziale diminuzione degli attacchi di pirateria nel Corno d’Africa, grazie alla massiccia presenza di naviglio militare con compiti di pattugliamento dell’area, contro un’allarmante crescita del fenomeno sulle coste affacciate sull’Atlantico meridionale.

Nel corso del 2020, su 195 atti di pirateria e assalti “marittimi” armati nel mondo, 82 sono avvenuti in Africa, nel solo Golfo di Guinea. Limitandosi a considerare i casi di rapimenti di equipaggi, conseguenza più comune e scontata a seguito di attacchi navali, la percentuale si attesta al 96% del totale. Portarinfuse, petroliere, portacontainer, questo il podio rappresentativo dei bersagli degli attacchi. Un problema totalizzante, che riguarda ogni tipo di merce (e interesse) trasportato.

Soluzioni e prospettive

È in tale contesto che si sono profilate, nel corso degli ultimi decenni, le missioni militari di controllo e pattugliamento antipirateria, con lo scopo di tutelare navi, equipaggi e merci in transito nelle aree a più alto rischio.

La soluzione militare, infatti, è stata l’unica a poter essere efficacemente adottata per la repressione di attività di tal genere. Atti tanto più gravi non soltanto per la capacità di mettere a repentaglio la vita degli equipaggi, ma anche per l’effetto di destabilizzare la stessa integrità dei collegamenti e dei rifornimenti fra Stati.

Fra le più importanti operazioni antipirateria, a est è schierata, sotto l’egida dell’Unione Europea, l’EU NAVFOR Somalia – Operazione Atalanta, avviata nel 2008 e tutt’ora in corso. La missione vede l’avvicendamento di più di 15 Paesi che forniscono navi e aerei per la salvaguardia di ogni tipo di comunicazione marittima transitante nella zona di competenza.

Ad essere presenti lungo le coste nord-orientali dell’Africa nel recente passato sono state anche le operazioni Allied Provider, Ocean Shield e Allied Protector, gestite dalla NATO dal 2008 al 2016. Anch’esse essenziali per la salvaguardia degli interessi occidentali e, in particolare, di quelli delle popolazioni locali, avendo assicurato una costante attività di scorta alle navi del World Food Programme operanti nell’area all’indomani della disastrosa guerra civile somala, divampata alla fine degli anni ’80.
Ancora, ad ovest, l’esercitazione Obangame Express 2021, alla sua undicesima edizione, promossa dall’U.S. Africa Command, e la recente missione Gabinia. Nel Golfo di Guinea esse si pongono l’obiettivo di addestrare le aliquote dei Paesi partecipanti e le forze armate locali. Il tutto in un’ottica di prevenzione coordinata, contrasto unitario alla pirateria e di dissuasione da comportamenti illeciti contro la navigazione comunque posti in essere, anche a tutela dei rilevanti interessi nazionali, italiani e non, che gravitano in quelle zone.

In un mondo come il nostro, a tal punto interconnesso, le implicazioni di un singolo errore sono sempre troppe, spesso non volute, quasi sempre prevedibili. È l’altra faccia della globalizzazione.

Libera la nave dalle sabbie egiziane, non lo sono invece le acque d’Africa, dove le conseguenze della pirateria che continuerà a diffondersi potranno essere curate solo guarendo le angosce e i tormenti delle popolazioni che quei mari li solcano e li vivono.

Andrea Ferrarato

Classe 1995 - Maturità classica presso l’I.S.I.S. “Giosuè Carducci - Dante Alighieri” di Trieste, attuale studente di Giurisprudenza all’Università degli studi di Trieste. Ha maturato molteplici esperienze lavorative e di volontariato nel mondo del terzo settore e dell’associazionismo triestino. Nell’ambito culturale, di tutela e rilancio del patrimonio urbanistico e architettonico opera in qualità di socio e collaboratore museale presso il polo del Porto Vecchio di Trieste, con Italia Nostra. In tale veste ha partecipato all’organizzazione, all’allestimento e alla gestione di eventi, mostre e visite guidate, facendo parte, per la stessa associazione, del gruppo di supporto alla redazione del Masterplan 2018 del Porto Vecchio di Trieste. Ulteriore settore di interesse è quello storico, che coltiva in qualità di componente dell’Assemblea generale dei delegati, del Consiglio direttivo centrale e della Giunta di presidenza della Lega Nazionale di Trieste. Nell’ambito associazionistico degli esuli da Istria, Quarnero e Dalmazia ha ricoperto il ruolo di segretario dell’Associazione Famiglia Umaghese “San Pellegrino” con la quale ha contribuito alla realizzazione della stagione concertistica “Euterpe” e di ulteriori eventi culturali di matrice ricreativa, divulgativa e commemorativa. E’ inoltre cofondatore e segretario dell’”Associazione Liceo Dante 150 Trieste”, e responsabile del reparto business dell’”UniTS Racing Team”, progetto patrocinato dall’Università degli studi di Trieste. Già membro del Coordinamento giovanile provinciale triestino di FareAmbiente, partecipa infine, alla realizzazione della Biennale Internazionale Donna di Trieste con il supporto all’organizzazione, all’allestimento, alla gestione della stessa e curando l’organizzazione delle visite guidate. 

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