Che cosa hanno in comune la tecnologia, la green economy e l’industria bellica? I lantanoidi.
Con questo termine si indica un gruppo di diciassette elementi chimici, presenti nella tavola periodica, che vanno dal lantanio al lutezio, a cui si aggiungono lo scandio e l’ittrio. Questi metalli sono conosciuti anche come terre rare. L’aggettivo “raro”, tuttavia, non viene utilizzato in termini di abbondanza ma per indicare la bassa concentrazione di depositi che rende elevati i costi di estrazione.
Le caratteristiche principali di questi metalli sono la luminescenza e la capacità di dare luogo a leghe con elevate proprietà magnetiche. Tuttavia, l’aspetto più interessante è che questi elementi, oltre ad avere un ruolo fondamentale per lo sviluppo della tecnologia, sono diventati determinanti per l’equilibrio geopolitico.
Grazie alle grandi riserve naturali, la Cina detiene il controllo di quasi tutta la produzione mondiale. Basti pensare, infatti, che l’80 per cento di queste materie è nelle sue mani.
Inoltre, nel 2017 l’Impero di Mezzo ha estratto 105.000 tonnellate di terre rare, a differenza degli Stati Uniti che hanno prodotto, negli ultimi vent’anni, solo 43.000 tonnellate.
Questi dati vanno a ridisegnare completamente gli equilibri economici e commerciali poiché buona parte dei Paesi occidentali, e non, dipendono sempre più dal governo di Pechino. I materiali rari, infatti, sono di fondamentale importanza per la realizzazione di strumenti tecnologici. Basti pensare che tutta la moderna elettronica, così come le auto ibride, i computer, il laser, le turbine eoliche presentano tra i loro componenti una buona percentuale di terre rare. A dipendere da questi elementi sono anche, e soprattutto, gli strumenti bellici.
A questo proposito significativo è l’episodio che vede protagonisti gli Stati Uniti di Donald Trump. Il governo repubblicano, infatti, ha avuto ripensamenti sul rendere più costose le importazioni di questi materiali dalla Cina, poiché il rischio era quello di procurare maggiori danni per sé piuttosto che per il mercato cinese. Questi elementi, come accennato precedentemente, sono fondamentali per l’ambito militare, a dimostrazione che l’esercito statunitense, e non solo, è totalmente dipendente da queste materie.
Tutto ciò accresce inevitabilmente la potenza militare ed economica della Cina, tant’è che il Pentagono teme che il governo di Pechino possa ostacolare la crescita militare americana riducendo o eliminando del tutto le forniture di materiali rari e sabotando la tecnologia che esporta. Timori che non sono infondati, basti pensare che già nel 1992 l’allora presidente cinese, Deng Xiaoping, sostenne che l’esportazione di questi metalli avrebbe garantito a Pechino lo stesso potere del petrolio mediorientale.
“I paesi arabi hanno il petrolio, la Cina ha le terre rare”.
Grazie a questa consapevolezza, l’anno successivo il governo di Pechino adottò il Programma 863 con l’obiettivo di sfruttare i propri giacimenti e garantire lo sviluppo delle tecnologie avanzate. Inoltre, sempre nello stesso anno la Cina superò di molto gli Stati Uniti nell’estrazione di questi metalli. Nonostante l’incredibile crescita dal punto di vista economico e commerciale, nel 2010 le terre rare furono protagoniste di una disputa internazionale. Quell’anno la Cina decise di ridurre del 40 per cento le esportazioni di materiali rari, giustificando tale scelta come un atto di salvaguardia nei confronti dell’ambiente. Probabilmente tale decisione si basò, più che altro, su motivi di protezionismo al fine di garantire maggior vantaggio alle imprese del paese che utilizzavano le terre rare. Tali misure portarono a un aumento dei prezzi internazionali di questi materiali, e conseguentemente, a una forte preoccupazione da parte degli Stati occidentali. A questo proposito nel 2012, gli Stati Uniti insieme al Giappone e all’Unione Europea si rivolsero all’Organo di Conciliazione dell’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Dopo diversi anni di vicissitudini, l’organo di risoluzione delle controversie riuscì a rimuovere le restrizioni adottate dalla Cina in merito alle esportazioni delle terre rare.
Nel frattempo i prezzi di questi metalli aumentano notevolmente, tant’è che molti paesi occidentali si videro costretti a riprendere la produzione nelle vecchie cave al fine di garantire nuovi investimenti. Tuttavia, tale decisione si rivelò un passo falso poiché Pechino decise di abbassare i prezzi di vendita rendendo impossibile qualsiasi forma di concorrenza da parte dell’occidente.
Oggi nel mondo si contano 120 milioni di tonnellate di terre rare. La concentrazione maggiore di questi giacimenti, oltre in Cina, si trova in Brasile e in Russia. Con il controllo del 37 per cento di queste riserve naturali, il governo di Pechino continua a dominare il mercato globale di questi elementi. E poco importa se per estrarre questi materiali ci sono enormi costi economici e ambientali. La lavorazione e l’estrazione di terre rare, infatti, causa l’inquinamento dei mari, implica l’utilizzo di materiali tossici per la fase di raffinazione e produce scarto di lavorazione come, ad esempio, le scorie radioattive.
Inoltre, i Paesi occidentali stanno diventando sempre più dipendenti dalla Cina anche per quanto riguarda lo smaltimento dei rifiuti tecnologici. Basti pensare, infatti, che l’Impero di Mezzo smaltisce circa il 70 per cento di questi rifiuti di conseguenza soltanto una percentuale bassissima di lantanoidi, circa l’1 per cento, viene riciclata. Tutto ciò permette al governo di Pechino di aumentare il proprio predominio sui materiali e su questo immenso mercato.
La Cina possiede una potentissima arma di ricatto che le permette di tenere sotto scacco paesi con cui ha controversie a livello politico ed economico, che le garantisce un enorme potere di negoziazione e che le assicura la crescita dal punto di vista militare. E per la serie non si è mai abbastanza potenti, nel 2015 il premier cinese Li Keqiang ha varato il piano “Made in China 2025” il cui obiettivo principale è quello di produrre localmente, entro il 2025, il 70 per cento dei prodotti che determineranno l’industria del futuro inducendo in tal modo le principali industrie tecnologiche occidentali a trasferire le loro produzioni in Ci
Il governo di Pechino, già da diversi anni, ha adottato una politica economica in grado di garantirgli il titolo di superpotenza planetaria. In un contesto geopolitico sempre più complesso, la Cina sta emergendo come leader indiscusso e probabilmente questo è solo l’inizio di una lunga storia dell’ascesa dell’Impero di Mezzo.
Ha collaborato Rebecca Molinari.