L’islam da sempre è diviso in due grossi fazioni: gli sciiti al potere nei territori che vanno dall’antica Persia al Mediterraneo, passando per Iraq, Siria e Libano e i sunniti, la maggioranza, che dominano in Nord Africa, Medio Oriente nella zona del Golfo Persico.
Attualmente i sunniti sono divisi in wahhabiti Sauditi, salafiti di formazione Saudita che hanno sviluppato il terrorismo jihadista e i Fratelli Mussulmani originatisi in Egitto. Anch’essi radicali, sono però in contrasto con i sauditi e hanno connotazioni più pragmatiche e politiche. Godono della protezione della Turchia e del Qatar e in parte della Tunisia, protezione che si estende anche fin nei territori palestinesi, in particolare se controllati da Hamas, mentre sono dichiarati fuorilegge come detto in Egitto e Arabia Saudita, ma anche in Bahrain, Russia, Siria, Tagikistan, Uzbekistan e negli Emirati Arabi Uniti.
Il territorio libico oggi è teatro di un’ulteriore resa dei conti fra fazioni, che si contendono l’egemonia politica e religiosa del mondo arabo. Gli interessi in gioco sono economici, particolarmente relativi ai giacimenti petroliferi, ma anche geopolitici.
L’Arabia Saudita, come è riuscita con l’Egitto alcuni anni fa, tenta il controllo religioso e politico della Libia per creare una barriera all’avanzata sciita e dei Fratelli Mussulmani.
Alla caduta del regime del colonnello Muammar Gheddafi la situazione nello scacchiere libico, conteso fra tribù ed interessi stranieri, si è progressivamente complicata.
A Ovest è al potere Fayez al-Serraj, esperto di mediazione politica che ha già in passato ricoperto incarichi istituzionali nel governo di Gheddafi. Al-Serraj si trova a capo del fragile Governo di Accordo Nazionale (GNA), voluto dall’Onu e sostenuto da gran parte della comunità internazionale.
Dall’altra parte del Paese, a Est, l’autorità appartiene al maresciallo Khalifa Haftar, a capo di un piccolo ma forte esercito personale: l’Esercito Nazionale Libico.
Khalifa Haftar nel 2014 si è distinto per aver liberato Benghazi dalla presenza di milizie islamiste di ispirazione salafita jihadista, derivazioni dalle frange terroristiche di Al Qaeda e dell’ISIS.
Le operazioni di Haftar, volte a contrastare i movimenti radicali, hanno progressivamente incrementato la sua credibilità ed influenza politica internazionale.
La sua campagna militare è oggi politicamente e ideologicamente diretta contro i Fratelli Musulmani ed a favore dell’islam wahhabita saudita. Nelle sue offensive militari, Haftar ha il supporto tanto del presidente egiziano al-Sisi quanto degli Emirati Arabi Uniti ed ovviamente anche dell’Arabia Saudita.
Se Haftar avesse la meglio in Libia, l’Arabia Saudita potrebbe godere di ulteriore posizione strategica, in aggiunta a quella garantita dal governo egiziano, dagli Emirati Arabi, e dai paesi sotto influenza statunitense, Israele compresa.
Ma vari Paesi non arabi sono coinvolti nella crisi Libica. Il 24 aprile gli USA hanno ufficializzato l’appoggio di Trump ad Haftar. Non poteva essere diversamente visto gli interessi Sauditi. L’appoggio americano ad Haftar è diventato evidente anche all’ONU, quando gli Stati Uniti hanno bruscamente iniziato a ostacolare l’approvazione della risoluzione britannica che condannava Haftar. La scelta di Trump rischia di fare un regalo alla Francia di Emmanuel Macron.
La Francia, da sempre filo-Saudita ed interessata ai giacimenti petroliferi libici, preme perché si riconosca ad Haftar un ruolo di maggior rilievo all’interno del processo di riconciliazione nazionale.
Secondo la ricostruzione del Guardian, Trump avrebbe ceduto alle pressioni di Egitto ed Emirati Arabi Uniti, due paesi che sostengono da tempo Haftar, per ottenere in cambio il loro appoggio al piano di pace tra Israele e Palestina promosso dal genero del presidente. Ma è più probabile un interesse diretto nei risvolti petroliferi e militari dell’Arabia Saudita, non dimentichiamo la guerra in Yemen dove i Sauditi sono a capo di una coalizione di vari paesi arabi e non.
Tornando alla Libia per noi italiani la sua stabilità rappresenta un nodo determinante in particolare per quanto concerne i flussi migratori ma anche per mantenere gli approvvigionamenti energetici che fanno capo all’Eni. L’Italia, come in genere procede nella politica estera, propende per la via negoziale, dialogando con ambo le parti. Ma le mosse di Trump, che prima sembravano appoggiare il lavoro di mediazione italiana, adesso risultano avere un significato opposto: in sostanza noi, ma anche le Nazioni Unite, veniamo tagliati fuori dai giochi.
Anche la Russia agisce in maniera duplice. Da un lato, sostiene Haftar attraverso l’impiego informale dei mercenari del Gruppo Wagner. Dall’altro, mantiene aperto il dialogo con al-Serraj, come dimostra la recente visita a Mosca di Khaled al-Mishri, presidente dell’High Council e uomo fortemente inviso ad Haftar, a causa dei suoi lunghi trascorsi nella Fratellanza Musulmana.
Turchia e Qatar, vicine ai Fratelli Mussulmani, sono invece schierate a sostegno di Fayez al-Sarraj e del Governo di accordo nazionale (GNA), come detto in contrasto con i Sauditi e i suoi alleati.
La comunità internazionale, ad oggi, resta quindi divisa, dovendo fronteggiare anche le difficoltà derivate della struttura di tipo Tribale delle famiglie libiche, e l’ONU sembra incapace di esercitare una pressione risolutiva sulle parti in causa. Ma l’instabilità in Medio Oriente non verrà mai risolta finché ci saranno interessi energetici, militari e migratori da utilizzare per spostare i centri del potere.