Vittime sacrificali, le donne vittime di tratta per sfruttamento sessuale

Bambine e giovani donne, vittime sacrificali, sottratte alle loro famiglie, scacciate a volte dai loro stessi genitori, verso un’Europa utopica, destinate ad essere “merce” della tratta per lo sfruttamento sessuale. Partono con la speranza di trovare un lavoro dignitoso, di continuare gli studi e di esser d’aiuto per la propria famiglia in ristrettezze economiche; saranno invece costrette ad essere schiave di organizzazioni criminali che le sfrutteranno come prostitute, sulle strade più buie d’Europa.

In alcuni casi “la vittima di tratta non comunica ai propri familiari l’imminente partenza, così come suggerito dai trafficanti, perché teme di non trovare il loro appoggio”, come scrive l’OIM (Organizzazione Internazionale per le Migrazioni) nel rapporto del 2017 sulle vittime di tratta.

In altri casi è proprio la famiglia “che sceglie una figlia da far partire per l’Europa per risollevare le sorti del nucleo familiare e prende i contatti con i trafficanti” e in questo caso si tratta spesso  di minorenni: alcune di loro sono affette da patologie, anche serie, di carattere psichico per le quali, dopo lo sbarco, è necessario l’immediato intervento di personale sanitario qualificato. Il maggior numero di donne sbarcate dai gommoni in Italia proviene dalla Nigeria: nel 2016 sono state 11.009 e l’OIM, dichiara nel suo rapporto che circa l’80% sia vittima di tratta per sfruttamento sessuale.

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Un debito impagabile

Prima della partenza, molte giovani donne vengono portate da uno sciamano, il “native doctor”, che pratica su di loro un rito voodoo, che l’OIM definisce una “modalità di controllo psicologico”, un rito di iniziazione con cui la ragazza si impegna, “attraverso un giuramento” a pagare un debito dai 25.000 ai 50.000 euro.

Le vittime dovranno pagare ai loro trafficanti anche il vitto e l’alloggio, spesso con prezzi fuori mercato, dilatando ulteriormente i tempi necessari per ripagare il debito.

Il potere dei riti voodoo e della superstizione è così potente da sottomettere le vittime, vincolarle al rispetto del giuramento “sigillato” dal rituale voodoo che il rapporto OIM definisce “un ulteriore elemento di assoggettamento”, che in caso di violazione (non pagamento del debito, mancata obbedienza etc.) significa pesanti ritorsioni sulla famiglia da parte dei trafficanti.

Le ragazze sono asservite a persone che lentamente si insinueranno nelle loro coscienze, guadagnandosi la loro fiducia, per poi sfruttarle e venderle come carne al macello: da una parte i boga, gli uomini che accompagnano una o più ragazze dalla Nigeria alla Libia, hanno lo scopo di sorvegliare “la merce” fino all’arrivo in Italia; dall’altra, le cosiddette madam, le trafficanti che gestiscono le giovani vittime, sono una figura emblematica nella tratta per lo sfruttamento sessuale, poiché spesso sono state esse stesse vittime di tratta e di violenze.

Le giovani donne si sentono legate a queste figure, così tanto da crederle loro alleate, molte di loro arrivano a provare per loro gratitudine e riconoscenza, come è chiarito nel rapporto dell’OIM con la testimonianza di Blessing, per la quale viene usato uno pseudonimo:

 

“Credeva che la sua madame fosse un altro tipo di persona: l’ha sempre rassicurata del fatto che in Italia chi vuole prostituirsi può scegliere di farlo ma che, nel suo caso, avrebbe iniziato a lavorare in un negozio di generi alimentari. La donna inoltre l’ha sempre difesa durante il viaggio ed è stata lei ad inviare i soldi per pagare il suo riscatto quando è stata sequestrata in Libia. Blessing si fidava ciecamente di questa persona che l’ha salvata dalla sua condizione in Nigeria e non vedeva l’ora di poter lavorare per lei per sdebitarsi del sostegno offerto.”

In Libia, ultima tappa in Africa prima  del viaggio in mare, le vittime di tratta restano in attesa di imbarcarsi, all’interno di gruppi più grandi, insieme ad altri migranti e l’OIM precisa che la situazione di instabilità in cui versano i Paesi di transito ostacola il controllo dei gruppi da parte dei trafficanti e “da ciò deriva l’aumento dei casi di violenza sessuale perpetrati da soggetti non legati alla rete della tratta ai danni delle donne e minori e di conseguenza un aumento dei casi di donne che arrivano in Italia in stato di gravidanza.”

 

Non solo dalla Nigeria

È in aumento anche il numero di donne provenienti dal Mali, dalla Costa d’Avorio e dal Camerun, che secondo il rapporto dell’OIM, “dichiarano di essere fuggite da matrimoni forzati, cerimonie di infibulazione”, di non aver pagato alcuna somma per il viaggio e di non aver contratto alcun debito.

Secondo le stime di Save the Children, il gruppo più numeroso di vittime di tratta per lo sfruttamento sessuale, dopo quello costituito dalle ragazze nigeriane, è quello delle ragazze rumene, che vengono fatte entrare in Italia “su mezzi privati o furgoncini che collegano quotidianamente la Romania all’Italia passando solitamente per Trieste”, costrette a dichiarare legami di parentela falsi, poi obbligate a prostituirsi da “fidanzati/sfruttatori”, finendo spesso anche per fare uso di droghe e alcol. Come riportato da Save the Children “tra il 2016 e i primi mesi del 2017 le unità di strada del progetto “Vie d’Uscita” hanno contattato 375 minori e appena maggiorenni”.

 

L’inganno

Molte tra le vittime di tratta a scopo di sfruttamento sessuale non si rendono subito conto di essere vittime e non si identificano come tali. Al momento dello sbarco gli operatori dell’OIM, le Forze di Polizia e le ONG cercano di dare loro più informazioni possibili sulla tratta di esseri umani e indicano i vari meccanismi di protezione attuati dal governo italiano. Inoltre cercano di identificare le possibili vittime e di parlare con loro il più possibile, di separarle dai trafficanti e cercare di dare loro piena assistenza; ma spesso le donne, in particolare le più giovani, non capiscono in quale situazione si trovino, finché la propria madam non sveli l’inganno, come riportato nella testimonianza di Blessing contenuta nel rapporto OIM:

“Al suo arrivo a casa della madame, la giovane è stata inizialmente accolta con affetto: le è stato offerto cibo africano, ha potuto recarsi in un salone di bellezza per la cura dei capelli, è stata presentata alla comunità nigeriana di una chiesa pentecostale e le è stato acquistato un telefono cellulare con il quale comunicare con i familiari in Nigeria e i nuovi amici che avrebbe avuto in Italia.

“Dopo circa tre giorni però, la madame spiega a Blessing che è arrivato il momento di iniziare a lavorare, mostrandole degli abiti succinti appena acquistati per lei. Blessing piange e capisce di essere stata ingannata. La stessa sera, la madame la porta sulla strada insieme ad altre due ragazze. La giovane racconta di aver ripensato in quel momento alle informazioni ricevute dall’OIM e di aver capito di avere la possibilità di chiedere aiuto in Italia.”

Purtroppo attualmente la capacità di risposta delle strutture d’accoglienza in Italia è molto limitata: spesso non ci sono abbastanza posti nelle strutture create per ospitare le vittime di tratta, comprese le minorenni, che spesso vengono spostate da una struttura di accoglienza all’altra, col rischio di perdere la fiducia nel meccanismo di protezione dello Stato, di sentirsi abbandonate, con il pericolo di essere ricontattate dalla propria madam e finire per convincersi che quella della prostituzione sia l’unica strada da loro percorribile.

 

Princess Okokon, un esempio da seguire

Princess Okokon è stata portata in Italia nel 1999. Anche lei è una delle migliaia di donne vittime della tratta. Ha fondato insieme al marito Alberto l’organizzazione non governativa PIAM onlus nel 2000. Protezione, informazione e accoglienza sono solo il primo passo. L’obiettivo dell’organizzazione è raggiungere l’integrazione delle donne accolte, attraverso un progetto personalizzato per ogni donna ospitata nelle strutture di accoglienza secondo l’attuazione del programma ex art. 18 del decreto legislativo 286 del 1998.

Il lavoro portato avanti da Princess e tutti i volontari “tiene conto della cultura d’origine, del progetto migratorio, della storia personale, delle caratteristiche e capacità individuali” della donna e “attraverso counselling psicologico, assistenza legale, educazione ai codici etico-relazionali italiani, alfabetizzazione, formazione e inserimento lavorativo, l’elaborazione dei vissuti di sofferenza” la donna, la ragazza, la bambina vittima di tratta può realizzare, non più sognare, il proprio futuro e le proprie ambizioni.

Il lavoro di Princess Okokon può essere d’esempio per la creazione di un programma ad hoc, che sappia gestire il numero crescente di vittime di tratta, che le assista dal momento dello sbarco a quello dell’integrazione, con strutture apposite in tutto il territorio nazionale, in connessione con i diversi programmi governativi già attivati dal governo, come il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati SPRAR. È necessario che non si guardi più al fenomeno della tratta di esseri umani come marginale ed emergenziale, per dare alle vittime la possibilità concreta di riprendersi la loro dignità, come madri, studentesse, lavoratrici, donne.

 

Cristina Piga

Nata a Sassari il 30 giugno del 1995, studentessa in Scienze politiche, Relazioni internazionali e Diritti Umani. Scrive fin da piccola racconti e poesie. Fa le sue prime fotografie con una vecchia analogica, senza mai più smettere di catturare attimi. Ama la cucina e la cultura orientale. Scopre Social News in ambito accademico e ne diventa lettrice, per poi fare domanda come tirocinante. I diritti umani sono espressione dell’uomo in quanto tale. Considerarli come un “concetto”, da cui possono derivare centinaia di interpretazioni e definizioni, non basta per renderli concreti ed effettivi per ogni essere umano. Lo studio dei diritti umani è essenziale per capire tutte le “facce” dei diritti umani e per difenderli nel modo più efficace possibile. 

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