Palestina, bambini obbligati a crescere troppo in fretta

 

Photo by Chiodo Antonietta- Lettera di un bambino palestinese

Nelle ultime settimane la West Bank palestinese è diventata famosa per le numerose reazioni a favore dei detenuti impegnati nella protesta non violenta da ben trentasei giorni, ma il danno maggiore lo stanno purtroppo subendo, come era prevedibile, i più giovani attraverso azioni punitive quotidiane. Sono infatti aumentate nelle ultime settimane le incursioni militari all’interno ed all’esterno delle scuole con il lancio di gas chimici altamente tossici. I luoghi più colpiti sono i villaggi a ridosso degli insediamenti dei coloni ebrei sottoposti quindi ad un controllo maggiore delle forze israeliane.

Il progetto La Pace dei Bimbi è approdato nelle terre occupate da più di un mese per creare, per cominciare, un libro scritto con e dai i ragazzi che verrà pubblicato in ben quattro lingue tra cui l’arabo, per dare loro la possibilità di potersi raccontare liberamente al resto del mondo. Questo gruppo di bambini tra i 12 e i 15 anni risiede in un villaggio nelle vicinanze di Betlemme, tanto famosa per accomunare le colture differenti pacificamente dando loro così la possibilità di convivere serenamente in un unico territorio. Dovremmo, però, domandarci cosa accada realmente al di fuori di questi confini.

La Palestina non è un territorio omogeneo come molti erroneamente pensano, basta spostarci di pochi chilometri o avvicinarci agli insediamenti israeliani per respirare un’aria pesante e percepire che le diffidenze e le sicurezze di tutti i giorni vacillano nelle comuni convinzioni, alla luce di un appoggio sempre maggiore legato alla resistenza contro Israele. Qui i bambini crescono tra gli ulivi, spesso sradicati dalla terra violentemente dopo anni di duro lavoro. Per questo motivo nel loro immaginario la terra rappresenta tutto, rappresenta il loro sangue e la lotta dei loro avi. Parlare con loro porta a comprendere come la logica di vita sia differente da quella dei nostri figli. Cosa sognano questi giovani? Se in Italia facessimo una domanda del genere incapperemmo in risposte differenti spesso anche incredibili, ma qui è tutto diverso, la psicologia che segna i loro destini si muove su un filo sottile, quello della libertà.

Photo by Mustafa Allbadan- Progetto La Pace dei Bimbi

 

Durante uno dei tanti incontri ho deciso di dar loro un compito particolare, incentivandoli ad usare la fantasia per  scrivere una lettera. In accordo con il maestro Omar ci siamo seduti con loro e li abbiamo osservati con attenzione. Abbiamo notato che la loro concentrazione ed il loro impegno nell’esprimersi questa volta sono risultati maggiori ed abbiamo osservato il loro sentirsi coinvolti in questo nuovo lavoro, utilizzando colori, penne e matite, mentre io stupidamente davo per scontato che utilizzassero solo una penna. Il risultato ha lasciato sia me che l’insegnante sconcertati, ognuno di loro, precisamente diciannove adolescenti hanno consegnato lettere basate sulla politica ed indirizzate al governo per richiedere il rilascio dei prigionieri politici palestinesi. Questo porta a comprendere come non solo le guerre, ma altresì le occupazioni militari modifichino l’essere fanciullo. Nessuno di questi bambini, per la prima volta dall’inizio di questo progetto, ha usato la propria fantasia con semplicità per poter fuggire, ma hanno colto l’occasione per gridare al mondo cosa realmente essi vogliono per davvero.

Ogni giorno, nella scuola tra gli ulivi come ci raccontano gli  insegnanti, i militari israeliani entrano nelle aule imbracciando i mitra e fissando i bambini in silenzio mentre svolgono le regolari lezioni. Perché accade tutto questo? Il maestro Omar risponde che “Non c’è un motivo preciso, lo fanno e basta, sicuramente per incutere paura e fare sentire il loro potere anche sull’infanzia, una sorta di insegnamento per il futuro.”

Questo villaggio, infatti, è tra i più colpiti a causa della sua dislocazione, poiché si affaccia su un insediamento di coloni e, dunque, richiedeuna protezione maggiore per gli abitanti dell’insediamento a danno dei palestinesi. Sono infatti all’ordine del giorno i blocchi delle strade che comunicano con le grandi città. Ci è spesso, infatti, capitato di arrangiarci ottenendo passaggi di fortuna infilandoci in strade sterrate e polverose nella speranza di sopraggiungere prima del blocco totale.

Nuovamente rivolgendomi ad Omar chiedo quali siano le motivazioni che portano al blocco delle strade e risponde sollevando lo sguardo verso il cielo: nella maggior parte dei casi il motivo è il lancio delle pietre da parte dei bambini, una scusa evidente per poter isolare i piccoli villaggi. In queste zone i bambini sono introversi ed estremamente diffidenti, solo nel gruppo del progetto sono tre i bambini che hanno già vissuto l’esperienza del carcere sulla propria pelle come azione punitiva. A qualsiasi domanda gli venga posta su questo argomento rispondono con imbarazzo abbassando lo sguardo. In queste strade non circolano mai turisti come si possa contrariamente pensare immaginando i numerosi giapponesi, tedeschi ed inglesi che si accingono a visitare le chiese cristiane all’interno dei confini della città di Betlemme, infatti è subito chiaro il senso del denaro che da vita a tutta questa religiosità senza umanità, lasciando invece gli ultimi sempre più soli.

Antonietta Chiodo

Antonietta Chiodo, nata a Roma nel 1976, cresciuta a Milano, nel 2003 si trasferisce a Torino collaborando con il Gruppo Abele, denunciando tra l’altro le detenzioni carcerarie dei minori e gli stati di abbandono delle popolazioni colpite dall’ AIDS. Continua il lavoro di ricerca con associazioni legate alla tutela dei minori e delle donne rifugiate in Italia, collaborando tra l’altro alla stesura di un libro della studiosa italiana Milena Rampoldi contro le MGF. Continua a scrivere articoli per il portale internazionale ProMosaik, focalizzando soprattutto sulla Palestina. Nel 2011 trascorre due mesi ad Aleppo, al fianco della popolazione colpita dalla guerra con attivisti e dottori europei volontari. Tra il 2012 ed il 2013 in Brasile sostiene la formazione culturale dei bambini delle Favelas. Scrive per Pressenza, e tutt’oggi per ProMosaik e Social News. Tra il 2014 e il 2015 segue gli sbarchi dei profughi in Calabria e le sparizioni dei bambini non accompagnati. Nell’autunno del 2016 si reca in un campo profughi palestinese. Ritornata in Italia, in collaborazione con l’attivista Dario Lo Scalzo, giornalista e video maker, prenderà vita il progetto “La Pace dei Bimbi” che la vedrà nei mesi da Aprile a Luglio 2017 impegnata nei campi profughi della Cisgiordania per far sentire la voce dei bambini, cresciuti sotto l’occupazione israeliana. 

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