«La violenza sessuale è un atto odioso e schifoso sempre, ma risulta socialmente e moralmente ancor più inaccettabile quando è compiuto da chi chiede e ottiene accoglienza nel nostro Paese». Queste parole di Debora Serracchiani hanno scatenato innumerevoli polemiche evidentemente strumentalizzate da politici e giornalisti. I socialnetwork sono stati invasi di commenti di ogni genere evidenziando come la questione del razzismo sia dirompente anche e purtroppo più del grave fatto di volenza accaduto. Personalmente sono d’accordo che chi venga accolto in un Paese abbia un dovere morale aggiunto, dovuto al necessario rapporto di fiducia verso le istituzioni che lo accolgono. In questo senso si dovrebbero leggere le parole della Presidente del Friuli Venezia Giulia. Ma penso sia il caso di chiarire alcuni aspetti sulla questione del razzismo, un fenomeno che non rappresenta solamente il pensare e l’agire contro immigrati o gruppi etnici diversi ma anche verso o contro gruppi culturali, associativi, politici, istituzionali, ecc. di cui non si condividono le idee.
Le politiche colonialiste e nazionaliste del ‘900, ma anche quelle imperialiste dei secoli precedenti, hanno avuto la necessità di trovare una giustificazione adeguata per le gravi violazioni dei diritti umani che queste hanno comportato. Le prime teorie razziste, basate sulla superiorità biologica di una razza sull’altra, comparvero e si svilupparono nel ‘500 con il diffondersi degli imperi di Spagna, Portogallo e Inghilterra. Il pregiudizio collettivo della superiorità biologica della razza europea ha permesso di superare i sensi di colpa ma anche i limiti etici in numerose avvenimenti storici che si sono susseguiti dalla tratta degli schiavi all’olocausto nazista. Il suo fondatore fu il conte de Gobineau, che scrisse un libro sull’ineguaglianza delle razze umane nella seconda metà del ‘800. Altri teorici razzisti del diciannovesimo secolo, come Houston Stewart Chamberlain, esercitarono una forte influenza su estremismi e movimenti nazionalisti. La questione razziale si è aggiunta però su altre discriminazioni e persecuzioni già preesistenti basate su motivi religiosi, politici, culturali.
Per la personalità razzista il valore di un essere umano non è determinato dalla sua capacità o talento ma dal suo far parte di un gruppo, che sia questo un branco o una collettività nazionale od etnica. ll più delle volte il tutto si traduce in odio e disprezzo nei confronti di soggetti “diversi”, di chi è fuori dal “gruppo”. Il razzismo si evidenzia nel rifiuto dell’accettazione di culture e modalità di vita diverse dalla propria, soprattutto se gli individui esterni al gruppo sono contraddistinti anche da condizioni economiche disagiate e degrado. In fondo diventa una modalità per addebitare ai più deboli, ai diversi, a chi non la pensa come noi le cause del malessere collettivo.
E’ vero quindi che il razzismo emerge in quelle classi sociali che non vogliono perdere un livello medio di benessere, ma è anche vero che diventa una sorta di autodifesa, rozza e primitiva, contro la perdita di identità e di valori che rappresentano la cornice della sicurezza sociale del gruppo di riferimento.
Affrontando il fenomeno dal lato psicologico si evidenzia, infatti, come il razzismo indichi un disagio di chi ne è l’artefice, al pari dell’invidia o di altri sentimenti che hanno nel confronto la base scatenante. La propria insoddisfazione necessita di scaricare la colpa o l’aggressività verso altri che consideriamo in qualche maniera causa del nostro malessere.
Le ideologie razziste sono mantenute proprio da gruppi con personalità deboli, poco talentuose, incapaci di competere realmente in uno o più momenti della propria vita. Negare il permesso all’esistenza dell’altro, di quello che consideriamo diverso e quindi il nemico, permette l‘esaltazione del proprio Io. Questi individui creano quindi strategie psicologiche per raggiungere una finta consapevolezza di forza che è solo ideale ma non reale. Per questo motivo non sono disposti a mettere in discussione l’identità del loro gruppo di appartenenza. Sono invece disposti a tutto per difenderla, fino alla violenza fisica. La “cornice” in cui sono inseriti è garanzia della loro sicurezza psicologica. Purtroppo questa debolezza dell’Io, alla base del bullismo da giovani e delle ideologie razziste da adulti, è sintomo di una patologia psicotica e bisogna prendere atto purtroppo dell’enorme diffusione di questo disturbo.
Al contrario, il progresso della società umana è permesso dalla capacità di adattamento al mutare delle condizioni di vita e dei fattori ambientali. E’ questa capacità che permette a una cultura di svilupparsi. Le civiltà che si sono maggiormente evolute sono infatti quelle che hanno ottenuto maggiore integrazione fra culture ed etnie. Quelle che sono cresciute più lentamente sono vissute nell’isolamento, cioè con pochi contatti con i popoli vicini. Lo scambio delle esperienze, delle conoscenze, delle abilità tecniche ed operative è sempre stata la modalità per diventare maggiormente competitivi e quindi dominanti. Basta pensare alla differenza nell’evoluzione delle tecnologie e della società fra i popoli euroasiatici e le tribù isolate nelle giungle amazzoniche o africane, ma anche ai popoli australiani prima dell’arrivo di James Cook o alle americhe che non conoscevano la ruota prima dell’arrivo di Colombo.
Nella nostra era il razzismo e il nazionalismo originano maggiormente per la questione delle migrazioni. Questa è oggi una delle “forze” più dirompenti nel mondo e apparentemente senza possibilità di controllo. La presenza di sempre più migranti, rifugiati e richiedenti asilo determina il crescere di odi e incomprensioni tra le varie etnie. Questo perchè, in questo contesto, si amplificano le differenze religiose, politiche, ideologiche e culturali. Altro aspetto da tenere in considerazione è la crisi economica. In questi periodi si diffondono posizioni di intolleranza verso chi è considerato il capro espiatorio delle cricità economiche delle famiglie e causa della riduzione del benessere della collettività.
Gran parte delle responsabilità al mantenimento delle ideologie razziste e nazionaliste è però dovuta anche alla non adeguata alfabetizzazione rispetto al contesto storico. Non essere in grado di leggere approfonditamente e comprendere un testo porta alla schiavitù del pregiudizio e impedisce di comprendere la complessità dei fenomeni. Si rimane rinchiusi in un mondo con poche categorie concettuali, con idee semplici, mai sottoposte a critica ed analisi. Spesso nelle scuole poi non si arriva ad approfondire la storia contemporanea e nemmeno quella recente che ha espresso nell’olocausto nazista, il più grave esempio degli effetti provocati dal nazionalismo. In questo contesto divulgazioni razziste ottengono facilmente consenso e plagio delle masse.
Infine negli ultimi anni i mezzi di informazione di massa hanno contribuito ad alimentare l’intolleranza e il razzismo dando una visione distorta dei fenomeni, riservando una attenzione morbosa a casi di cronaca aventi come protagonisti gli stranieri e passando sotto silenzio quelli nei quali, al contrario, gli stranieri sono vittime. Si è creata così una visione distorta della realtà, alimentata anche dai social network e dalle fake news che prolificano in queste piattaforme.
Il razzismo e l’intolleranza sono quindi il risultato di un insieme di problematiche geopolitiche, psicologiche, culturali, religiose, di difficoltà economiche ma anche comunicative ed educative. Finchè i presupposti a tutto questo saranno mantenuti il progresso della nostra civiltà sarà seriamente compromesso. Sono momenti come questo, in cui è il pregiudizio a prendere il sopravvento sugli ideali, che bisogna che ognuno di noi faccia la sua parte, soprattutto educativa.
«La differenza tra le persone sta solo nel loro avere maggiore o minore accesso alla conoscenza» (Lev Tolstoj)
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