Era il 24 marzo 1882 quando Robert Koch annunciava al mondo la scoperta del bacillo mycobacterium tubercolosis e indicava in questo germe la causa della malattia tubercolare che proprio alla fine dell’800 veniva definita “peste bianca” per la sua gravità e le sue complicanze. La giornata mondiale per la lotta alla tubercolosi si celebra, per questo, proprio il 24 marzo.
Ancora oggi 22 paesi, per lo più africani, del sud-est asiatico, dell’ex Unione Sovietica, dell’ America Latina, contano circa l’80% dei casi di TBC. In Africa, insieme alla malaria ed alla HIV-AIDS, è una delle patologie infettive più frequenti. Con quasi 10 milioni di nuovi casi ed un milione e mezzo di decessi solo nel 2014 è seconda tra le cause di morte solo ad AIDS.
L’Italia, come gli USA, è un paese a bassa endemia per tubercolosi poiché si verificano meno di 10 casi di malattia ogni 100.000 abitanti, per la gran parte diffusi tra le persone più deboli o che più difficilmente possono accedere ai servizi socio-sanitari. La maggiore frequenza si verifica tra soggetti di nazionalità straniera di età tra 25 e 34 anni, provenienti da aree ad alta endemia per TBC (soprattutto Est Europa) e tra gli italiani di età superiore a 65 anni che possono aver contratto l’infezione in passato e che presentano progressione dell’infezione latente in malattia attiva per riduzione delle difese immunitarie; anche tra i detenuti c’è maggiore incidenza di patologia tubercolare per il sovraffollamento delle carceri e la maggiore vicinanza con soggetti appartenenti a categorie a rischio; possono infine ammalarsi gli operatori sanitari in relazione all’attività svolta.
È ovvio che le situazioni di povertà e di promiscuità tipiche delle comunità di immigrati possono aumentare il rischio di diffusione della patologia, ma questi soggetti non devono essere demonizzati come portatori della tubercolosi: sono soltanto possibili vittime di una ripresa di malattia dallo stato di quiescenza, proprio per le avverse condizioni ambientali. La percentuale di immigrati nella quota annuale di nuovi casi di tubercolosi è consistente, ma chi arriva dall’estero non deve essere considerato un untore da bonificare.
È stato accertato che il numero dei casi di TBC nei migranti aumenta molto meno del loro reale incremento numerico. Chi ha acquisito l’infezione prima di partire non ha come destino ineluttabile quello di ammalarsi e divenire contagioso. Il rischio di riattivazione dell’infezione dipende infatti dalle condizioni generali di nutrizione, di igiene, di alloggio, di lavoro. È allora necessario che la vera attenzione sia posta nel modificare le condizioni abitative, di accoglienza e di lavoro che sembrano essere il fattore cruciale per mantenere in questi soggetti il proprio stato di salute.
D’altronde, agevolare il percorso di diagnosi e cura nei soggetti realmente affetti dalla patologia tubercolare consentirebbe di circoscrivere eventuali focolai infettivi, a beneficio della salute di tutti. La tempestività della diagnosi e del trattamento della TBC ha un beneficio anche per il sistema sanitario, dato che il suo costo è totalmente a carico del Servizio Sanitario: si passa dai 2.000 euro di spesa per il trattamento delle forme farmacosensibili ai 250.000 euro per quelle multiresistenti.
La capacità di trasmissione della malattia tubercolare non è alta come quella di altre malattie diffusive (influenza, varicella, morbillo) ma è legata soprattutto alla vicinanza ed alla lunghezza dell’esposizione, per questo è favorita dalla permanenza nel nucleo familiare, nella scuola, in ufficio, luoghi dove c’è un contatto prolungato tra le persone. Dopo il contatto tra un soggetto suscettibile ed un individuo bacillifero si verifica molto spesso che il soggetto accettore riesca a distruggere spontaneamente il micobatterio. Oppure, pur non verificandosi la malattia, il soggetto potrebbe mantenere la traccia dell’avvenuto contatto (condizione che interessa circa 7 milioni di persone in Italia); questo si evidenzia con la positività della reazione cutanea alla tubercolina. Tali soggetti svilupperanno la tubercolosi solo in condizioni di crollo immunitario o in età molto avanzata. In questo caso l’evoluzione dalla fase di latenza si concretizza per lo più in una forma polmonare. Meno frequenti le localizzazioni ossee, linfoghiandolari, renali.
ToBeContinued: la maratona musicale contro la tubercolosi
Per la giornata mondiale della lotta alla tubercolosi 2017, il Friuli Venezia-Giulia è in prima linea: per l’ottavo anno, il 24 marzo riparte la staffetta musicale di 24 ore “ToBeContinued” che coinvolge 45 paesi in rappresentanza di tutti i continenti. Organizzata dall’Officina della Salute Globale di Topolò, piccola frazione delle valli del Natisone, prevede tramite collegamento radiofonico e connessione internet l’esibizione di numerosi gruppi musicali coordinati dal musicista e computer music Antonio della Marina. Questo evento si deve all’incontro tra Mario Raviglione, direttore del Global Tb programme dell’ OMS e il gruppo di Moreno Miorelli, creatore della manifestazione estiva “Stazione Topolò” che tocca vari campi dell’arte e della comunicazione. A Milano inoltre, presso la Sala Alessi del Comune, la Onlus StopTb Italia ha promosso per il 24 e 25 marzo prossimi il convegno “TB e immigrazione: urgenza o emergenza?”.
Lo scopo è ribadire che la tubercolosi nei migranti non è solo un problema di sanità pubblica, ma sostanzialmente politico, di comunicazione, di impatto sociale. L’iniziativa, patrocinata dal Comune di Milano e dall’Azienda Ospedaliera Niguarda Ca’ Granda, cerca risposte a domande complesse: serve attuare interventi preventivi per la tubercolosi nelle popolazioni di migranti? Se si, cosa fare? Con quali procedure? Con quali forme di controllo e di supervisione? Si attendono con speranza soluzioni condivise, efficaci, sostenibili.
Antonio Irlando