Internet è la più grande rivoluzione dopo la stampa. “Siamo diventati tutti individui globali”, spiega il famoso sociologo Derrick De Kerckhove. Internet non è però solo fonte di informazione. E’ lo strumento che ha cambiato anche il nostro modo di lavorare, i rapporti interpersonali, lo svago. Internet fa sempre più parte di ogni istante della nostra vita. Compresa la nostra reputazione. Siamo tutti sempre più connessi,dobbiamo quindi difendere anche la nostra immagine digitale. Tutto ciò che mettiamo in rete dovrebbe appartenerci. Invece una volta pubblicato si diffonde senza più controllo e si perde nei meandri della rete. Diventa proprietà di social-network, social-media, siti internet. Ma soprattutto diventa il pasto di sciacalli, iene e personaggi frustrati in cerca di vittime a cui succhiare l’anima.
Tiziana Cantone, 31 anni, è l’ultimo di casi simili, sempre più frequenti. Si è tolta la vita non riuscendo più a gestire la persecuzione di cui era vittima sui social per la diffusione di alcuni video hard di cui era la protagonista. La storia era già al centro di un’indagine per chiedere il dritto all’oblio e la rimozione dai siti del materiale relativo a Tiziana.
Il 13 maggio 2014, la sentenza della Corte di Giustizia italiana ha ritenuto i motori di ricerca responsabili dei contenuti presenti in rete. Ma il diritto all’oblio non è applicabile se non è decorso un notevole lasso di tempo che fa venir meno l’interesse della collettività. Tutto infatti è reso difficile sia per stabilire il confine tra diritto all’oblio e diritto di cronaca, sia per rendere attiva una legge o una sentenza italiana nel resto del mondo dove spesso vengono allocati i file.
Cinque giorni fa, il giudice del tribunale di Aversa, ha riconosciuto in questa vicenda la lesione del diritto alla privacy di Tiziana. Ha contestato ai vari social forum di non aver rimosso i video lesivi della sua reputazione, ma ha considerato Tiziana consenziente e quindi al pagamento di parte delle spese processuali. Ora la procura indaga per istigazione al suicidio. Ma si valutano anche le ipotesi di stalking e di violazione della privacy. Mentre è possibile l’apertura di un secondo fascicolo relativo ai diffusori del video.
Il “revenge porn”, cosi si chiama la diffusione in rete video di sessuali per danneggiare una persona è un fenomeno sempre più diffuso. Complici internet ma anche gli strumenti digitali sempre più accessibili. Prevalentemente i soggetti colpiti sono donne alla cui violenza fisica si aggiunge quella della rete. Anche chi è consenziente nell’atto fisico può subirlo come abuso in quello digitale. Il video che Tiziana aveva diffuso in chat privata è diventato infatti oggetto di parodie e scherzi: Erano state aperte pagine su Facebook per parlarne, giravano dei meme e altri video di presa in giro. Si vedeva bene in volto e in molti casi il suo nome veniva citato esplicitamente nel titolo. Sulle diverse pagine che si erano occupate del caso, Tiziana nei commenti veniva spesso insultata e derisa.
“Credo dovremmo essere in condizione di difendere la nostra reputazione digitale e mettere in discussione tutto quello che abbiamo messo in Rete. Dovremmo essere proprietari di quello che pubblichiamo online, mi deve appartenere davvero, non deve diventare di proprietà nè di Zuckerberg nè di Twitter. Questa è una violenza, devo avere il diritto a ripensarci. Il sistema normativo mi impedisce questo, è l’arroganza di Facebook che mi impedisce di fare questo”, sottolinea lo psichiatra Tonino Cantelmi