L’immagine controversa di Madre Teresa

h_3.01572613.630x360Madre Teresa di Calcutta è santa. In tanti ricordano le sue opere di carità, ma in troppi, riferendosi a pubblicazioni accusatorie sul suo operato, si accaniscono sui socialnetwork in commenti feroci come se fosse una delinquente. Viene spontaneo domandarsi come questo trattamento possa essere giustificato. Invidie o gelosie per una fama eccessiva? Forse. Ma probabilmente c’è qualcosa di più.

Madre Teresa ha lottato tutta la vita contro l’eutanasia ma anche contro l’aborto. Temi, soprattutto il secondo, intoccabili nella società occidentali e baluardo della cultura femminista prima e progressista poi. Questo può aver dato fastidio ad una certa classe di persone, ma non basta.

Le sue opere furono criticate dal partito nazionalista indù Rashtriya Swayamsevak Sangh (RSS), infastidito dalle conversioni di chi si avvicinava a Maria Teresa. Il cristianesimo scombinava il meccanismo delle caste, le gerarchie a stratificazione sociale ereditario che caratterizza l’India. Le conversioni erano un pericolo per la principale forma di potere millenario di quel Paese. Forse per questo il partito di cui è presidente Sonia Gandhi, chiese a Bhagwat – leader dell’RSS – delle scuse formali, ma le critiche continuarono. All’eccesso di proselitismo si aggiunsero le accuse sulla gestione fraudolenta delle attività e trattamenti medici scadenti.

Nel 1994 il giornalista britannico Christopher Hitchens, noto per le sue posizioni da ateo, girò un documentario molto critico intitolato ‘Hell’s Angel’. Secondo Hitchens Maria Teresa: “Lodava la povertà, la malattia e la sofferenza come doni dall’alto, e diceva alle persone di accettare questi doni con gioia”. Un atteggiamento a dire il vero non molto diverso dagli insegnamenti di San Francesco e Gesù Cristo. Hitchens sosteneva anche che le cliniche erano “ospizi primitivi”, “posti dove la gente andava a morire”, dove le cure mediche erano “poche, quando non addirittura inesistenti”. In quegli anni Madre Teresa fece costruire Casa Kalighat per i morenti (o Nirmal Hriday, Casa dei “Puri di cuore”) che offriva ai malati incurabili rifiutati dagli ospedali un posto dove morire con dignità secondo i riti della propria fede. Il prototipo dei nostri hospice. Ma ancora, sempre nel 1994 la rivista scientifica britannicaThe Lancet” pubblicò un articolo che contestava le terapie che venivano erogate nelle strutture legate a Madre Teresa, mentre uno studio canadese del 2013 sottolineò il suo metodo opinabile nella gestione dei malati e la controversa gestione economica.

Non furono molti gli attacchi politico-mediatici sferrati nel tempo all’operato di Madre Teresa, ma originarono da ambienti anglosassoni e fecero molto eco, o meglio i media britannici cercarono di diffondere al massimo gli aspetti chiave di queste pubblicazioni. Le istituzioni del Regno Unito non potevano accettare le denunce di Madre Teresa riguardanti le ingiustizie generate dall’imperialismo britannico e dallo sfruttamento occidentale delle multinazionali sulle popolazioni deboli. Specie se queste avvenivano nel subcontinente indiano: il centro imperiale britannico e facente ancora parte del commonwealth della Regina. Qualcosa doveva quindi essere fatto per screditare l’immagine delle missionarie della carità.

Anjezë Gonxhe Bojaxhiu è nata nel 1910 a Skopje in Albania. Ha lasciato il lavoro tranquillo di insegnante in una scuola frequentata da alunni di ceto medio per impegnarsi dalla parte dei dannati della terra. Completò il suo il noviziato presso le suore lauretane a Darjeeling, ai piedi dell’Himalaya, dove imparò inglese e bengali e si impratichì come infermiera. Con carattere deciso e diretto ha dedicato tutta la sua esistenza ai “più poveri tra i poveri”, vivendo con loro e insieme a loro. E a loro ha destinato il suo operato e tutti i premi e i finanziamenti ricevuti, compreso il Nobel. Ma non solo, denunciò ad alta voce i crimini e le prevaricazioni dei poteri istituzionali verso i ceti sociali deboli.

Madre Teresa è stata dall’inizio estremamente determinata e decisa, cominciò aprendo una scuola sotto un albero, scrivendo lettere e numeri per terra con un bastoncino. Poi passò a raccogliere i rifiuti umani che nell’India di allora erano sparsi in tutte le strade. “Giaceva a terra, mangiata per metà da topi e formiche: l’odore del suo corpo era così forte che stavo per vomitare. La portai su un carretto all’ospedale: non volevano accettarla, se la tennero solo perché mi rifiutai di andarmene finché non l’avessero ricoverata”.

Con il tempo arrivarono i primi soldi, il primo obolo fu di 5 rupie e negli anni le donazioni raggiunsero cifre a 9 zeri. La piccola albanese rivelava carisma e talento da vero manager e nel 1950, con un decreto della Santa Sede nasceva la Congregazione delle Missionarie della Carità. Fu subito una sfida alle ingiustizie, quasi come provocazione scelse il suo abito con un forte simbolismo in critica alla cultura delle caste. Il sari bianco tipicamente indiano, orlato di azzurro, il colore dei paria, la casta degli intoccabili reietti, per molti fu quasi un sacrilegio. All’inizio erano solo 12 sorelle, in pochi anni divennero un esercito di oltre 5 mila suore che oggi portano avanti il suo insegnamento in più di cento Paesi. Un risultato incredibile e fastidioso per molti.

La fama fu un potente moltiplicatore di possibilità, ma anche di invidie. Il ruolo di star della carità strideva con l’umiltà dogmatica dei santi. Non passarono inosservate la sua effigie sui francobolli, la stima di Giovanni Paolo II, il premio di Reagan alla Casa Bianca, il volontariato di Lady Diana nelle sue strutture, il palco concesso dall’Onu per i suoi proclami e naturalmente il Premio Nobel per la Pace del 1979. Ma anche questo “potere mediatico” lei lo gestiva sempre per aiutare chi soffriva. Otteneva soluzioni diplomatiche interloquendo con dittatori ed assassini, ma sempre nell’intento di salvare la vita di qualcuno. Nel 1982, durante l’assedio di Beirut, in Libano riuscì a convincere israeliani e palestinesi a un “cessate il fuoco” che salvò la vita ai piccoli pazienti di un ospedale in prima linea. Dopo lo scoppio della centrale nucleare di Chernobyl prestò la sua opera nel fallout radioattivo, andò in Somalia ed in Etiopia affamata dalla carestia e tra i terremotati dell’Armenia.

La dedizione al prossimo più concreta che spirituale è sempre stata la sua caratteristica predominante. Un comportamento non sempre ben visto anche negli ambienti cattolici eccessivamente tradizionalistici e dogmatici. E per di più, il non far mistero di perdere la luce di Dio per alcuni non reggeva la sua presunta santità, ancor più oggi che è stata proclamata santa. “Il posto di Dio nella mia anima è vuoto, non c’è Dio in me. […] Sperimento questa terribile sofferenza dell’assenza di Dio, che Dio non mi voglia, che Dio non sia Dio, che Dio non esista veramente”.

Il suo dolore e senso di abbandono assomiglia molto alla voce di Gesù sulla Croce: “Dio mio, perché mi hai abbandonato?”. Ma il dubbio in lei fu molto più lungo e molto più doloroso di Cristo. Questa sofferenza provata negli anni deve essere stata lacerante per chi, come Madre Teresa, consegnò da subito la propria vita a Dio. Ma lei non smise mai di dedicarsi agli altri, continuò determinata la sua opera di carità verso tutti uomini. Questa è la vera santità e solo per questo dovrebbe essere degna di rispetto e non di maldicenze.

Da un suo scritto:
  • Le persone sono spesso irragionevoli, illogiche ed egocentriche. Amale comunque.
  • Se sei gentile, ti attribuiranno secondi fini egoistici. Sii gentile comunque.
  • Se hai successo, troverai falsi amici e veri nemici. Raggiungi il successo comunque.
  • Se sei onesto e sincero, le persone ti inganneranno. Sii onesto e sincero comunque.
  • Ciò che impieghi per anni a costruire, altri possono distruggerlo in un attimo. Costruisci comunque.
  • Se trovi serenità e felicità, altri possono essere gelosi. Sii felice comunque.
  • Il bene che fai oggi, domani verrà spesso dimenticato. Fa il bene comunque.
  • Realmente la gente ha bisogno di aiuto ma ti attaccherà se la aiuti. Aiuta comunque.
  • Da il meglio di te e non sarà mai abbastanza. Da il meglio di te comunque.
  • In ultima analisi, è una faccenda tra te e Dio. Non si è mai trattato di te e loro comunque.

Massimiliano Fanni Canelles
twitter: @fannicanelles
sito: www.fannicanelles.it

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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