Secondo l’Eurostat il 2007 ha segnato un passaggio epocale nell’accessibilità alle TIC (tecnologie dell’informazione e della comunicazione) da parte della popolazione dell’UE-28: in quell’anno infatti più della metà delle famiglie europee (55%) aveva accesso ad Internet da casa. Tale quota ha continuato a crescere fino a raggiungere l’81% nel 2014, guadagnando altri 2 punti percentuali rispetto al 2013. Ma avere accesso alla Rete significa saperne sfruttare le potenzialità?
Marta Zaetta
Per “società dell’informazione” si intende una forma di società al culmine del processo di industrializzazione che, per continuare a crescere, deve concentrare i propri sforzi verso la produzione non più di beni materiali bensì di servizi immateriali. L’espressione fu utilizzata per la prima volta nel 1973 da Daniel Bell, con largo anticipo rispetto alla diffusione di Internet in Europa. Durante il suo mandato come Segretario Generale dell’ONU, Kofi Annan, ha ricordato che per “società dell’informazione” si intende una società “in cui tutte le potenzialità dell’essere umano vengono valorizzate grazie all’accesso alle tecnologie e all’educazione che permette di imparare ad utilizzarle in modo efficace.”
Secondo il rapporto dell’ISTAT “Cittadini, imprese, ICT” riferito all’anno 2015, quasi due terzi delle famiglie italiane dispongono di una connessione a banda larga (64,4%) ma restano ancora ampi margini di sviluppo per la diffusione e l’utilizzo del Web. In Italia, la maggior parte delle famiglie che non hanno accesso alla Rete da casa indica la mancanza di competenze come principale motivo del non utilizzo della Rete (56,3%), mentre quasi un quarto (24,5%) non considera Internet uno strumento utile ed interessante. Seguono motivazioni di ordine economico legate all’alto costo di collegamenti o strumenti necessari (14,4%) mentre l’8,2% non naviga in Rete da casa perché accede ad Internet da un altro luogo.
Ma cosa intende l’ISTAT per competenza? Dal 2015 la Commissione Europea, in accordo con gli istituti nazionali di statistica, ha adottato una nuova metodologia per misurare le competenze digitali degli individui in Rete. L’obiettivo è misurare la percezione degli utenti che si sono connessi ad Internet negli ultimi tre mesi rispetto alle loro capacità di:
- informarsi ovvero di identificare, localizzare, recuperare, archiviare, organizzare e analizzare le informazioni digitali giudicando se sono rilevanti rispetto al proprio scopo;
- comunicare in ambienti digitali, collaborando e condividendo risorse;
- creare contenuti attraverso l’elaborazione/integrazione/rielaborazione di testi, immagini e video, produrre forme espressive originali, essere a conoscenza e saper applicare i diritti di proprietà intellettuale;
- proteggere i propri dati personali, la propria identità digitale ed in generale adottare misure di sicurezza;
- risolvere problemi tecnici, saper scegliere gli strumenti digitali più adatti alla proprie esigenze, usare la tecnologia in modo creativo, essere in grado aggiornare le proprie competenze e anche quelle di altri utenti.
Rispetto a questa classificazione, il rapporto ISTAT, afferma che gli internauti italiani hanno competenze digitali più avanzate nell’informarsi (68,9%) e nel comunicare (64,8%), rispetto alla capacità di risolvere problemi (51,7%) e di manipolare/veicolare contenuti digitali (52%). Solo una minoranza (non specificata) ha un livello elevato in tutti e quattro i domini.
Per quanto riguarda la “sicurezza informatica” (inerente la capacità di proteggere i propri dati), l’ISTAT dedica un paragrafo apposito dove viene specificato che il tema rappresenta “una componente dell’Agenda Digitale Europea e che Eurostat ha previsto per il 2015 di monitorare il tema della sicurezza informatica come approfondimento annuale per le indagini su famiglie e imprese”. Ad oggi i dati raccolti in Italia riferiscono che il 28,2% degli utenti con più di 15 anni ha manifestato problemi di sicurezza: il più ricorrente riguarda virus, worm e trojan horse che causano perdita di tempo e/o dati (24,2%) mentre solo il 5% denuncia violazioni della privacy. D’altra parte il 54,3% degli utenti ha dichiarato di non aver svolto alcuna attività online per timori legati alla sicurezza: il 31,5% non ha fornito informazioni personali a comunità online su network sociali o professionali, circa il 25% non ha scaricato software, musica, video, giochi o altri file e non ha comprato o ordinato merci; 23,8% non ha effettuato operazioni bancarie o gestito il proprio conto online; il 19,2% non si è connesso ad Internet con una connessione wireless da luoghi diversi da casa.
La capacità di accedere alla Rete (nel contesto Europeo l’Italia è al ventesimo posto come accesso a Internet da parte delle famiglie, e più indietro rispetto all’accesso lontano da casa e dal luogo di lavoro) non rappresenta quindi l’unico ostacolo all’utilizzo della sue potenzialità: a differenza della radio e della televisione, Internet non è per sua natura, un mezzo di comunicazione culturalmente e socialmente disponibile a tutti gli individui. Ci si riferisce a questa situazione di esclusione sociale con il termine “digital divide” (divario digitale), fenomeno dipendente da diverse variabili (non propriamente nuove) tra cui le condizioni economiche, il livello d’istruzione, le differenze di età e sesso, l’appartenenza a diversi gruppi etnici, la provenienza geografica, la qualità delle infrastrutture.
di Marta Zaetta,
Collaboratrice Social News
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