Lo stoccaggio delle identità online: come proteggersi?

Se la complessità posta dal digital divide non lascia spazio a soluzioni immediate, le misure istituzionali che l’Italia sta elaborando nell’ambito delle competenze digitali sembrano tralasciare aspetti che, agli occhi di osservatori attenti, non possono essere trascurati.

Marta Zaetta

Ippolita è un gruppo di ricerca interdisciplinare indipendente che si interroga sulle implicazioni sociali derivanti dalla diffusione su larga scala della tecnologia. Attraverso riflessioni personali e minuziose analisi dei grandi “oggetti digitali” (Google, Facebook, ecc.), vengono esplorati e indagati i problemi tecnici e politici che emergono in riferimento alla cultura di provenienza di queste nuove realtà.

Molti sono i saggi già pubblicati in diverse lingue e gli interventi pubblici di cui il collettivo si fa promotore (conferenze e formazione) o partecipante attivo (qui il più recente).

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Uno dei presupposti fondanti della ricerca di Ippolita è riconducibile alla visione di Marshall McLuhan sintetizzata nella celebre espressione “il medium è il messaggio”, secondo la quale ogni mezzo di comunicazione va studiato rispetto i “criteri strutturali” che lo caratterizzano e non in riferimento ai contenuti che esso veicola (nel complesso lavoro di McLuhan, per esempio, la televisione risulta essere un media che sortisce un effetto “rassicurante”, in modo pressoché indipendente dai contenuti trasmessi). L’idea non è dunque quella di analizzare come le persone usino gli strumenti tecnologici ma piuttosto quella di studiarne la struttura, l’architettura, ovvero le modalità attraverso le quali l’informazione e la comunicazione vengono organizzate: quali sono gli aspetti problematici che Gmail presenta? Quali sono le caratteristiche controverse dell’architettura di Facebook che avremo veramente bisogno di conoscere?

Il lavoro di Ippolita (tra le altre cose) fornisce delle risposte a queste domande descrivendo i “criteri strutturali” che caratterizzano gli “oggetti digitali” analizzati e sottolineando come proprio questi criteri identifichino una cultura di appartenenza, una visione strategica del mezzo tecnologico: essi rappresentano di fatto delle scelte precise, non casuali, che sono frutto di studi e investimenti e che, per questo, si prefiggono determinati obiettivi di ritorno economico.

L’elemento interessante, in questo scenario non nuovo, risiede nell’antitesi profitto-gratuità: non è una novità che il modello di business dei servizi digitali si basi sulla pubblicità personalizzata grazie all’accettazione da parte dell’utente dei sempre più spesso citati “Termini di servizio” (letti e compresi da pochi coraggiosi), ma ci siamo mai chiesti cosa questo possa comportare nel medio-lungo periodo visti, per esempio, i tassi di crescita del Social più utilizzato al mondo?
In fin dei conti è un automa (mica un uomo criticone) che legge le nostre e-mail, l’autocompletamento automatico di Google è comodissimo anche se i suggerimenti che fornisce sono diversi da utente a utente (così come l’ordinamento dei milioni di risultati che elenca in tempi record a fronte di una stessa ricerca). Nell’immediato lo scambio appare equo, ci fidiamo (pensiamo ai cookie: quanto potrà mai essere pericoloso qualcosa che si chiama “biscotto”?) Chissà perché però il Garante per la Privacy ne ha normato l’uso

La riflessione che Ippolita ci invita a fare, non può essere trascurata: esistono modi alternativi e consapevoli di utilizzare i servizi digitali perché il tema del monitoraggio, in gergo “profiling”, non è appannaggio di paranoici e complottisti. Il profiling digitale rappresenta lo zoccolo duro dei profitti delle multinazionali dell’IT ed è una tecnica di ricerca sociale che deriva dal “profiling criminale”: lo psicologo traccia il profilo del killer, le sue abitudini perché lo scopo è quello di prevenire, anticipare le mosse. Il profiling digitale è un insieme di tecniche statistiche in grado di analizzare il comportamento degli utenti: genere, sesso, età, ecc. ma soprattutto relazioni (contatti), abitudini (per esempio di navigazione) e loro variazioni. Le informazioni relative ad ogni individuo vengono trasformate in dati numerici (l’identità digitale), misurate e messe in relazione/correlazione con quelle di altri profili, consentendo la suddivisione degli utenti in gruppi omogenei e lo stoccaggio delle loro identità digitali in segmenti di mercato (ecco cosa gli inserzionisti pagano a caro prezzo).

Il profiling lavora sul “tracciamento” che avviene non solo via Social o e-mail ma anche attraverso la navigazione ovvero l’utilizzo di un qualsiasi browser (Mozilla Firefox, Google Chrome, Internet Explorer, ecc.), strumento che rappresenta la prima “pellicola sensibile” con cui accediamo al Web e che andrebbe conosciuto e curato.
Ecco l’importanza di sapere cosa sono i cookie e di come lavorano. Ecco l’importanza di essere a conoscenza dei “criteri strutturali” degli “oggetti digitali” che usiamo. Ecco la complessità di Internet, questa sconosciuta.

di Marta Zaetta,

Collaboratrice Social News

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