La Salute come ultimo lusso? La partecipazione come prima risposta

In un clima sociale in cui la fiducia nelle istituzioni e nella politica rasentano lo zero, il cittadino ha il dovere di difendere i propri diritti. La crisi della democrazia rappresentativa deve essere lo stimolo per il cambiamento: il voto non basta, ora più che mai è necessario partecipare, mettersi in gioco.

Marta Zaetta

gallery_conti1Secondo Giuseppe Costa, direttore del Servizio di riferimento regionale per l’epidemiologia presso l’ASL di Torino 3 e professore all’Università degli Studi di Torino, le disparità di trattamento sanitario riservate ai cittadini italiani e non, oggi sono profondamente ingiuste, evitabili e non necessariamente casuali. Esse possono essere lette come la risultante dell’implementazione di specifiche politiche, frutto di determinate visioni e dunque riconducibili a precise responsabilità. A dimostrazione di questa tesi, Costa analizza i risultati di una serie di studi condotti a livello locale, nazionale ed europeo che identificano alcuni aspetti delle “diseguaglianze di salute” che possono essere riassunti nei seguenti punti: esistono da sempre (o meglio, da quando siamo in grado di misurarle), colpiscono gli svantaggiati e sono rilevabili ovunque (anche se l’ampiezza della forbice può variare in funzione del contesto).

Le “diseguaglianze di salute” sono, secondo il relatore, universalmente riconducibili alla povertà di risorse individuali intese non solo come reddito e ricchezza, ma anche come istruzione (competenze e capacità) e classe sociale di appartenenza (capacità di instaurare relazioni di potere). Uno stato di malattia protratto nel tempo (per gravità ma anche per incuria dovuta all’ignoranza o alla non disponibilità finanziaria) tende a determinare un meccanismo di caduta discendente della posizione sociale dell’ammalato e delle persone care che gli stanno accanto, se presenti. Poiché la posizione sociale dell’individuo risulta direttamente proporzionale al suo stato di salute, Costa enfatizza il ruolo centrale delle politiche redistributive: “avere poche risorse individuali fa male a tutti”.
Molti sono i punti di ingresso per la ridefinizione delle politiche che Costa propone nel suo intervento ma, ad oggi, quali sono i diritti di una persona malata? E come si possono far valere?

Oltre al diritto alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione italiana nel 1948, di primaria importanza risultano “i diritti del malato” che rientrano nella “nuova” categoria delle cosiddette “fattispecie giuridiche di recente creazione”. Nel corso degli ultimi trent’anni, infatti, la sempre maggiore differenziazione sociale e l’ampliamento degli interventi dello Stato hanno determinato, da un lato, l’incremento delle relazioni dell’apparato statale con soggetti esterni come le associazioni; dall’altro, l’emergere del riconoscimento di diritti che sono frutto di una maggiore consapevolezza dell’“essere cittadino” oggi: il diritto-dovere di partecipare al processo decisionale politico o, quantomeno, il diritto di essere ascoltato. Altri diritti appartenenti a questa nuova categoria riguardano i minori, i disabili, gli anziani, i consumatori, ecc.

Un esempio italiano virtuoso di come la società civile, incarnata da una rete di circa diecimila volontari tra cittadini, operatori di servizi sanitari e professionisti, stia contribuendo alla “promozione e alla realizzazione di politiche orientate a far valere il punto di vista della popolazione nella riforma del welfare sanitario” è quella del Tribunale per i diritti del malato (TDM). Il TDM è un’iniziativa di Cittadinanzattiva “nata nel 1980 per tutelare e promuovere i diritti dei cittadini nell’ambito dei servizi sanitari e assistenziali e per contribuire ad una più umana, efficace e razionale organizzazione del servizio sanitario nazionale”. Chiunque può rivolgersi al TDM contattando uno degli sportelli attivi sul territorio nazionale.
Un altro strumento utile al cittadino che intenda segnalare un malfunzionamento nella struttura sanitaria, è l’Ufficio Relazioni con il Pubblico (URP). Non tutti sanno che fin dal primo modello istituito, con il D.Lgs. 29/1993, l’URP ha l’obbligo di far fronte alle due dimensioni storiche delle relazioni con il pubblico: quella della tutela dei diritti e quella dell’informazione. La legge di riferimento è la n. 241 del 7 agosto 1990 (“Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi” conosciuta anche come “legge sulla trasparenza degli atti amministrativi”) che conferisce tra le altre cose, in ambito sanitario, il diritto di essere informati sul proprio stato di salute fino alla consultazione e alla richiesta di copia della cartella clinica, atto amministrativo a tutti gli effetti che in caso di contenzioso ha valore probatorio.

Il sistema sanitario Italiano “pone le sue fondamenta nei principi di responsabilità pubblica per la tutela del diritto alla salute della comunità e della persona, di universalità e di uguaglianza e di equità di accesso alle prestazioni; di libertà di scelta; di informazione e di partecipazione dei cittadini; di gratuità delle cure nei limiti stabiliti dalla legge; di globalità della copertura assistenziale”.
Fino a quando la sanità sarà pubblica, le strutture e (tutti) gli operatori che vi lavorano rappresenteranno un bene comune e i cittadini, primi sostenitori, avranno il dovere di esercitare i propri diritti: informarsi, essere informati, manifestare il proprio pensiero in merito ai servizi ricevuti e pretendere di essere ascoltati.

di Marta Zaetta,

Collaboratrice Social News

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