Troppi morti nelle carceri

L’editoriale di Massimiliano Fanni Canelles

CarceriNelle carceri italiane si sconta la propria pena, si attende, si muore. Nel tempo in cui una persona attraversa in auto il Belpaese, un detenuto muore. È quanto emerge da un’inchiesta di Antonio Crispino per il Corriere della Sera. Un morto ogni 48 ore, un elenco di cause variegato. Poca chiarezza. Negli istituti penitenziari italiani ogni anno muoiono per cause naturali oltre 100 detenuti. Raramente i giornali ne danno notizia. A volte, il decesso è dovuto a patologie cardiovascolari, in altri casi segna l’epilogo di una malattia cronica o di uno sciopero della fame. In altri casi ancora, si tratta di suicidio. In carcere, il suicidio ha una frequenza 19 volte superiore.
Poi, c’è il sistema sotterraneo, torbido, nascosto. Quello da cui trapelano notizie di pestaggi, malasanità, detenuti a cui non vengono offerte le cure necessarie, istigazioni al suicidio, violenze sessuali, impiccagioni. Una galassia di vite strappate. Fino alla conclusione delle indagini (quando hanno luogo) vengono automaticamente catalogate come morti per “cause naturali”. Le percosse vengono considerate qualcosa di naturale.
Spesso, questi drammi si collocano in strutture fatiscenti, con poche attività rieducative, nelle quali è scarso anche il volontariato. A queste carenze si aggiungono i tagli alla sanità penitenziaria e la diminuzione del personale. Così, al detenuto non vengono garantiti i diritti alla salute e alla dignità. Difficile sopravvivere in queste condizioni, ancor di più reinserirsi nella società. Si sopravvive al carcere, ma non è detto che l’integrità umana sia ancora tale. Troppo spesso la pena resta solo punizione e la rieducazione viene disattesa. Certo, ci vogliono energie, progetti, finanziamenti. Non si tratta di un percorso facile. Tuttavia, la funzione rieducativa della pena, finalizzata al reintegro nel tessuto sociale, non può essere rimandata o sottovalutata.
In questa crepa tra ciò che dovrebbe essere fatto e le lacune del braccio statale si inserisce il lavoro di chi, come noi, non ci sta a lasciare un essere umano a se stesso; di chi, come noi, crede che in ciascuno ci sia il buono e il cattivo e che un reato compiuto in passato non possa segnare una persona per sempre; di chi, come noi, sarà anche un illuso, ma non ha timore di guardare una persona negli occhi, prenderla per mano ed offrirle ciò che può.
Ecco perché @uxilia entra in carcere. Porta Skype per permettere ai genitori di mantenere un contatto con i figli, le fiabe, gli attori, il teatro. A volte, recitando e sorridendo si possono esprimere quelle verità che dentro non fanno altro che trascinare verso il baratro. Molto altro si può fare: incentivare progetti di prevenzione dei suicidi e degli autolesionismi, monitorare – avvalendosi anche delle associazioni e dei giornali carcerari – le morti negli istituti di pena, consentire l’accesso ad operatori sanitari volontari che affianchino il personale medico in servizio. I detenuti stranieri, sempre più numerosi, richiederebbero poi interventi mirati: educazione sanitaria, mediazione socio-culturale… Si può entrare in carcere e raccontare ciò che succede, dare voce a chi voce non può avere. Noi lo
facciamo con la nostra rivista. E voi? Dite basta ad ignoranza e ingiustizia insieme a noi?

Massimiliano Fanni Canelles

Direttore di SocialNews

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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