L’olio nell’antichità: genesi, sviluppo, sinonimo di salute

Già Virgilio lodava le proprietà del sale: “Non serve coltura per gli ulivi, non richiedono il falcetto ricurvo o la costanza dei rastrelli, una volta che abbiano attecchito ai campi e resistito ai venti. Coltiva per questo l’ulivo, che, nella sua fecondità, è simbolo di pace”

di Francesco Halupca (1 C)

Se si potesse creare un elenco di tutti i prodotti tipici italiani in ordine di importanza, ai primi posti ci sarebbe sicuramente l’olio, un alimento semplice, ma profondamente intriso di simbologie e miticità che durano, in parte, ancora oggi (basti pensare all’uso degli olii profumati nelle cerimonie religiose o alla raffigurazione dell’ulivo sulle antiche monete da 10 e 100 lire).

Questo prodotto ha origini antichissime, così come la pianta del frutto dal quale viene creato, l’ulivo.

L’ulivo è un arbusto dotato della capacità di adattarsi a situazioni climatiche diverse: è questo il motivo dell’esistenza di una sua così vasta varietà, aspetto che non era passato inosservato neanche a Greci e Romani.

La sua capacità di ricrescere in fretta era considerata una vera e propria benedizione: la prima conseguenza delle guerre era l’abbandono dei campi e, quindi, la perdita di tutti i prodotti. Una volta ripiantato, invece, l’ulivo attecchiva immediatamente e rendeva possibile disporre di un prodotto con poco sforzo e, soprattutto, in tempi brevi.

Tradizionalmente, questa pianta viene considerata un dono di Atena (Minerva per i Romani) agli esseri umani. Ciò è testimoniato dalle numerose raffigurazioni di questo episodio su diverse anfore dell’epoca.

La “devozione” nei suoi confronti è così forte che persino Virgilio, nel secondo libro delle Georgiche, gli rende omaggio: “Non serve, al contrario, coltura per gli ulivi, non richiedono il falcetto ricurvo o la costanza dei rastrelli, una volta che abbiano attecchito ai campi e resistito ai venti; […] Coltiva per questo l’ulivo, che, nella sua fecondità, è simbolo di pace”. (Virgilio, Georgiche – libro II, vv. 420-425. Trad. Mario Ramous)

Altre informazioni sulla coltura dell’ulivo vengono fornite da numerosissimi scrittori dell’antichità: ad esempio, M.T. Varrone, nel libro III del Rerum rusticarum, sollecita un’accurata raccolta delle olive a mano, senza, quindi, rischiare di rovinare un così prezioso frutto.

Una particolare raccolta di olive, ben più antica, si può ammirare dipinta sull’Anfora di Vulci (provenienza attica, 520 a.C.), sulla quale sono raffigurati tre ulivi: i rami di quello centrale sono colpiti da alcuni lavoratori, facendo, così, cadere le olive, poi raccolte a terra, mentre un altro giovane bacchia con un bastone le olive del terzo albero.

Il fatto che esistano così tante testimonianze riguardanti la coltura e la cura di questo arbusto lascia ben comprendere l’importanza che gli si attribuiva.

Ma le fonti non si limitano a questo.

Nel III libro delle Storie, infatti, lo storico greco Polibio narra che la battaglia sul fiume Trebbia (218 a.C.) fu vinta dai Cartaginesi contro i Romani perché i primi, essendo una giornata invernale molto rigida, si cosparsero il corpo di olio, proteggendosi, così, dal freddo. Ignorando ancora questa tecnica, invece, i Romani non riuscirono nemmeno a maneggiare le armi. Ecco, dunque, che l’olio assume anche un ulteriore significato simbolico: conferisce forza e immortalità.

E’ probabilmente in seguito a diversi di questi episodi che la sua denominazione diventò “nettare degli dei”, in quanto permetteva di proteggersi durante le battaglie e, alla fine della guerra, ricominciare a vivere senza dover patire la fame. Entrambe queste qualità erano considerate doni divini.

Di olio si occupa anche Plinio il Vecchio. Nella Naturalis historia (XV, 8) riferisce che di esso non veniva sprecato nulla: persino la morchia (la parte solitamente scartata) trovava modo di essere utilizzata come impermeabilizzante per i contenitori o come insetticida, se spruzzata sui vestiti. Veniva, inoltre, impiegata per curare le ferite ed anche in alcuni casi di malattie animali. Come si potrebbe mai considerare un prodotto con una tale varietà di usi, se non come un dono (un “nettare”) degli dei?

Sempre Plinio narra che Catone stesso (sommo esempio di giustizia, saggezza, rettitudine e coerenza nella storia di Roma) “celebravit amurchiam laudibus“ e che, quindi, ciò dovesse servire a tutti come monito nei confronti della sua sacralità.

Ad aumentare tale sacralità intervennero, successivamente, molte superstizioni, come quella secondo la quale la sterilità colpiva la capra (animale considerato impuro) come punizione di un esemplare che aveva leccato o brucato un olivo con il primo germoglio.

Anche le vicende dei filosofi antichi sembrano intrecciarsi inestricabilmente con quelle delle olive: è doveroso ricordare l’aneddoto dei frantoi di Talete, narrato da Aristotele (e ripreso, successivamente, da diversi autori importanti della latinità, come Cicerone): stanco di essere schernito per la sua condizione di filosofo, Talete prese tutti i frantoi di Mileto per poi trarne profitto durante la stagione della raccolta delle olive, quando fissò il loro affitto in regime di monopolio, riuscendo, così, ad arricchirsi e a dimostrare la superiorità del filosofo rispetto agli altri. Se, dunque, l’ulivo non avesse ricoperto un ruolo così fondamentale, avrebbe avuto altrettanto successo l’affitto dei frantoi?

La risposta è scontata. Quanto riferito rappresenta solo una piccola parte di tutte le possibili dimostrazioni sulla funzione dell’olio e dell’ulivo nell’antichità e su come essi conservino un’aura di misticità anche ai nostri giorni, sebbene velata dalla superficialità e, forse, dalla noncuranza alla quale tutti siamo soggetti vivendo nella frenesia del XXI secolo.

FRANCESCO HALUPCA 1^C

Angela Caporale

Giornalista pubblicista dal 2015, ha vissuto (e studiato) a Udine, Padova, Bologna e Parigi. Collabora con @uxilia e Socialnews dall’autunno 2011, è caporedattrice della rivista dal 2014. Giornalista, social media manager, addetta stampa freelance, si occupa prevalentemente di sociale e diritti umani. È caporedattore della rivista SocialNews in formato sia cartaceo che online, e Social media manager. 

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