Giustizia minorile, a chi spetta occuparsene

di Francesca Chiades

Fra i togati chiamati a giudicare i ragazzi si trovano professionisti scelti anche dalle scienze umane

Chi parla di Giustizia minorile? Chi se ne occupa? Chi sono gli interessati? Domande che, forse, non ci siamo mai posti perché non coinvolti in questa fitta rete di leggi, istituzioni, pregiudizi. In realtà, dietro a queste due parole, c’è una grande quantità di lavoro giornaliero, compiuto dal nostro sistema giudiziario e da team di esperti che lavorano per migliorarlo. L’organo specializzato per il quale si passa inevitabilmente quando si parla di minori e di Giustizia è il Tribunale per i Minorenni, seguito dai Centri di Rieducazione per i minorenni, deputati all’esecuzione dei provvedimenti assunti. Per “Tribunale”, in questo caso, si intende un organo collegiale specializzato, composto da ben quattro giudici (due togati e due onorari), scelti tra esperti delle scienze umane: biologia, psichiatria, antropologia criminale, psicologia, pedagogia. Ma il Tribunale dei Minori, in concreto, cosa fa? Dipende. Se ci riferiamo all’ambito penale, si assume la responsabilità penale del ragazzo, nell’ambito civile, si occupa delle questioni familiari, quali adozione, allontanamento dai genitori e, ebbene sì, autorizza (o no) i matrimoni fra minori. Vi è, infine, l’ambito amministrativo.
Gli organi giudiziari sono più di quelli che ci immaginiamo: Procura della Repubblica, Corte d’Appello, Pubblico Ministero, Giudice per le Indagini Preliminari e per l’Udienza Preliminare, Magistrato e Tribunale di sorveglianza, Collegio Giudicante. In generale, le competenze si concentrano nello scegliere, ed eseguire, azioni penali nei confronti di minori imputati di reato, provvedendo in caso di rinvio a giudizio, rito abbreviato, sanzioni sostitutive e ulteriori misure alternative. Il Ministero della Giustizia, in particolare, è diviso in quattro dipartimenti diversi e con specializzazioni particolari. Tra di essi vi è il Dipartimento per la Giustizia Minorile, quello che ci interessa in questo caso e che si occupa di tutelare i diritti dei ragazzi di età compresa fra i quattordici e i ventuno anni. È questa struttura che detiene al suo interno tutti gli organi suddetti, che lavorano attraverso specifiche figure di riferimento, volte ad operare per raggiungere l’obiettivo del sistema: intervenire con fini educativi e di reinserimento sociale. Il capo del Dipartimento è quello che manovra dall’alto e sovraintende ai diversi uffici, assumendo, così, un ruolo fondamentale. Per dirla brevemente, questi uffici si occupano di dirigere i provvedimenti giudiziari nei confronti del minore, si occupano della formazione di coloro i quali entrano in contatto col minore e, come in ogni ambito, curano il lato burocratico e amministrativo.
Dal Dipartimento dipendono i già citati Centri per la Giustizia Minorile (CGM), dai quali, a loro volta, dipendono tutte le strutture legate al Servizio Minorile, quali gli Uffici di Servizio Sociale per i minorenni, gli Istituti Penali per minorenni, i Centri di Prima Accoglienza e le Comunità. Attualmente, nel nostro Paese sono attivi dodici CGM, situati nelle città di Torino, Milano, Venezia, L’Aquila, Bologna, Firenze, Roma, Cagliari, Napoli, Catanzaro, Bari, Palermo. Possiamo affermare che coprono gran parte del territorio nazionale, un punto a favore del nostro sistema. La loro larga distribuzione aiuta nella copertura di un lavoro altrettanto ampio, ed è molto importante per le finalità di queste strutture. Lo scopo, infatti, è quello di aiutare il giovane imputato attraverso la costruzione di un percorso che possa essere a lui utile per comprendere la gravità delle sue azioni, per crescere insieme ad un team di specialisti e per tornare, successivamente, a far parte della propria comunità senza alcuna paura. Quello che si cerca di ottenere è, per l’appunto, evitare che il minore sconti la propria pena nelle carceri. Queste ultime sono considerate, giustamente, un ambiente poco produttivo per il tipo di percorso che il ragazzo deve compiere, poiché lo distanzia, anzi, lo esclude completamente dalla società. Non a caso, quando si parla di Istituti Penali, li si definisce come “area penale interna”.
In ogni caso, queste strutture, anche se in misura minore rispetto a qualche anno fa, sono comunque una soluzione adeguata in determinate situazioni. Ed è per questo che le carceri minorili si stanno trasformando in ambienti proficui, che stimolano la socializzazione, il desiderio di riscatto e di libertà.
Ma come sono strutturate? Intanto sono presenti sezioni maschili e femminili, così da garantire il rispetto delle pari opportunità. Spesso sono accolte ragazze madri o in gravidanza, quindi con necessità non solo di supporto sanitario, ma anche di sostegno all’infanzia. Il fine ultimo rimane comunque quello di puntare e concentrarsi sul momento in cui il ragazzo tornerà alla quotidianità. Per favorire, quindi, il reinserimento in società, gli Istituti Penali forniscono l’assistenza di figure professionali (educatori, polizia penitenziaria, ecc.) e costruiscono una salda rete di contatti con la comunità esterna. Le attività praticate dai giovani all’interno di queste strutture sono varie e ispirate a finalità rieducative: teatro, musica, sport, attività scolastiche e di formazione professionale e animazione culturale. Un’occasione molto utile ai ragazzi per una scossa positiva. D’altronde, si tratta di giovani di età compresa tra i quattordici e i ventuno anni, ancora in tempo per ricominciare.
Un’altra bella occasione che il nostro sistema offre ai ragazzi è la “messa alla prova”. Si tratta di “una rinuncia temporanea dello stato di giudizio per consentire un’effettiva attività di cambiamento del ragazzo, che potrà comportare, per esito positivo della prova, l’estinzione del reato”. Il periodo massimo di sospensione è di un anno e ha inizio quando il giudice chiede al servizio sociale di formulare un progetto d’intervento, in base alle conoscenze acquisite attraverso l’indagine socio ambientale e della personalità del reo. Il progetto deve essere condiviso, nel rispetto dell’autodeterminazione e della volontà delle persone al cambiamento, adeguato, perché corrispondente alla personalità del ragazzo, fattibile, dal momento che dovrà poi avere dei riscontri concreti, e flessibile, perché modificabile in base all’andamento dei fatti. Questa soluzione viene applicata in misura sempre maggiore. Ci si è resi conto che, offrendo una nuova opportunità al giovane reo, la reazione è concretamente positiva. Come ha affermato Victor Hugo “Essere santi è un’eccezione, essere giusti è la regola. Errate, mancate, peccate, ma siate giusti”. Prima lo si impara, meglio è.

di Francesca Chiades
collaboratrice di SocialNews.

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