Quando Napoli era solo l’inizio

Mario Casonato

Il capoluogo campano si è rivelato semplicemente il coperchio di un drammatico vaso di Pandora votato al business dei rifiuti gestito dalla camorra per oltre trent’anni

Chi si ricorda di quando, nel 2008, esplose la cosiddetta «emergenza rifiuti» a Napoli? Le immagini in televisione e i titoli dei giornali illustravano un contesto di assoluto degrado urbano, insinuando implicitamente che gli abitanti non fossero capaci di operare la raccolta differenziata e si opponessero a qualsiasi soluzione picchettando le entrate delle discariche e dei termovalorizzatori.
Ebbene, stando ai media, quella crisi si risolse con il provvidenziale intervento dell’allora premier Berlusconi, il quale, con uno schioccar di dita, fece sparire i rifiuti da sotto il naso dei cronisti.
Nella nostra società mediatica, se il problema non si vede, allora non c’è. Tutto questo fu, poi, chiaramente, sfruttato in campagna elettorale.
Sarebbe bello pensare che sia andata effettivamente così. L’emergenza rifiuti in Campania non è, però, un fenomeno circoscritto, come fu dipinta la crisi di Napoli sulle prime pagine dei quotidiani.
Napoli era solo la punta dell’iceberg.
In questi mesi, infatti, agli onori della cronaca è salita la «Terra dei Fuochi». Scorrendo le notizie, ci si rende conto di fronteggiare un dramma ben più articolato, le cui trame si intrecciano e si perdono tra fiumi carsici di immondizia sepolta, ecomafie ed irresponsabilità istituzionale. Tutto ricade sulle spalle del territorio e dei suoi abitanti.
Ma perché «Terra dei fuochi»? Il tetro nomignolo va ricondotto alla prassi illegale della camorra consistente nel bruciare i rifiuti (tossici e non) nelle aree del Casertano e del Napoletano, con conseguente sprigionamento di polveri venefiche e diossina, senza dimenticare la suggestiva immagine da panorama post-apocalittico che il nome evoca.
Se immaginiamo l’emergenza rifiuti in Campania come un bidone di immondizia in cui frugare, parlando di ecomafie, non abbiamo nemmeno tolto il coperchio.
Grazie anche alle dichiarazioni del pentito Carmine Schiavone, desecretate di recente, dopo 15 anni, viene infatti alla luce il business dei rifiuti gestito dalla camorra a partire dalla fine degli anni ‘80.
La Campania, soprattutto le sue zone più soggette a disagio economico/sociale, fu scelta dalla criminalità organizzata per lo smaltimento illegale dei rifiuti urbani, tossici e nucleari in virtù dell’orografia del terreno (presenza di grotte e terreni di proprietà dei clan) e dell’infiltrazione mafiosa già presente in società di costruzione e nelle amministrazioni locali.
Le famiglie organizzano una complessa rete di società titolari degli appalti dello smaltimento e stringono relazioni commerciali con svariate industrie inquinanti del Nord Italia e della stessa Europa. Con l’acquiescenza degli amministratori procedono all’intombamento dei rifiuti nelle cave, nelle grotte e nei cantieri per un ventennio.
In questo contesto, le amministrazioni locali e regionali sono manovrate dai Casalesi, secondo le parole stesse di Schiavone. Le istituzioni nazionali rispondono in modo inadeguato, commissariando la gestione dei rifiuti e decretando lo stato di emergenza. Questo, tuttavia, riorganizza l’aspetto giuridico dello smaltimento perpetuando il ruolo prominente degli appaltatori nell’apertura di discariche e termovalorizzatori e privando, così, gli abitanti e le comunità urbane di voce in capitolo.
Questo rapido cenno ci permette di analizzare in modo un po’ più consapevole il contesto di violazione dei diritti creatosi nella «Terra dei Fuochi».
È abbastanza evidente che uno sversamento di rifiuti tossici nel sottosuolo delle aree agricole protrattosi per vent’anni abbia contaminato irreversibilmente il territorio. Negli anni, infatti, si sono ripetuti allarmi su prodotti agricoli contaminati da sostanze chimiche o mozzarelle alla diossina. I rifiuti interrati nelle cave o in vasche appositamente scavate hanno suppurato dei liquami che hanno gradualmente raggiunto e contaminato le falde acquifere.
Numerose fonti confermano l’aumentare di linfomi e sarcomi, dei tumori delle vie respiratorie e del tratto intestinale. Questo avviene in misura sempre maggiore. Ciononostante, l’Arpa della Regione Campania ha respinto la richiesta popolare di aprire un registro regionale dei tumori, impedendo, così, l’uso di un importante strumento scientifico nell’accertamento di causalità tra aree inquinate e insorgenza del cancro. Questa situazione allarmante di aumento dei tassi di insorgenza tumorale sembra quasi voler confermare la cupa profezia del pentito Schiavone, quando affermò che al Sud sarebbero morti tutti.
Lo scenario fin qui mostrato è foriero di gravissime violazioni delle norme ambientali nazionali ed europee e, di conseguenza, dei diritti fondamentali dell’individuo, in particolare del suo diritto di vivere in salute in un ambiente salubre. Tuttavia, a scioccare è anche come la collaborazione di Schiavone abbia largamente fatto luce sul traffico mafioso di rifiuti al Sud eciononostante, dieci anni dopo le sue dichiarazioni, così poco fosse stato fatto per bonificare l’area ed eliminare il fenomeno, contravvenendo allo stesso articolo 32 della Costituzione sul diritto alla salute.
Questa condotta dei Governi succedutisi e delle istituzioni nazionali, indifferenti davanti al dramma, generano l’assurdità stridente del rammarico dello stesso Carmine Schiavone nel constatare la pressoché inesistente ricaduta pratica della sua collaborazione.
Le invocazioni al rispetto dei diritti umani cozzano con una realtà in cui perfino un pentito di mafia si rattrista per l’indifferenza delle istituzioni.
L’ovvia connessione, come la definisce John H. Knox (esperto indipendente dell’ONU su ambiente e diritti umani) tra valori panumani e norme ambientali, viene a mancare gravemente in un contesto come quello campano. È chiaro che non si può ritenere la mafia responsabile di mancata attenzione alle tematiche dei diritti umani, ma che dire delle istituzioni che dovrebbero rifarsi, innanzitutto, ai principi costituzionali che garantiscono i diritti fondamentali dei cittadini? In questo caso, la responsabilità va ricercata nella collusione delle amministrazioni locali con le organizzazioni camorristiche o è possibile rivolgersi ai Governi e alle istituzioni nazionali per un intervento “dall’alto”?
Effettivamente, le istituzioni si sono rese colpevoli del ritardo e dell’apatia con cui si è fatto fronte all’emergenza, senza mai sradicare il problema e preparando il terreno all’insorgenza di nuove crisi. Esempi di questa inadempienza sono la bocciatura del registro regionale dei tumori, la mancata bonifica delle aree indicate da Schiavone e, da ultima, la colpevole indifferenza dimostrata di fronte alle analisi multimilionarie fornite dal comando della marina militare americana di stanza nella zona.
Tramite la procedura del commissariamento della gestione dei rifiuti, inoltre, si sono estromessi i cittadini dal processo decisionale, violando i loro diritti civili alla partecipazione politica e all’autodeterminazione, per non parlare della conseguente militarizzazione dell’area, causa del clima di esacerbato conflitto tra la polizia e i movimenti della società civile contro il cosiddetto biocidio.
Il panorama che si profila, dunque, oltre alle agghiaccianti esternalità dell’inquinamento, porta con sé una serie di violazioni causate dal malgoverno e dall’abuso di potere perpetuati nel corso degli anni attraverso il meccanismo dello stato di emergenza, mai foriero di buone notizie per i diritti fondamentali.
A chi devono fare appello i cittadini? A chi, ormai, compete la questione del biocidio al Sud? Recentemente è stata approvata alla Camera una mozione per un tempestivo intervento di bonifica delle aree colpite. Questo è sicuramente il risultato della pressione mediatica conseguente alla ritrovata attenzione per la tematica. Tuttavia, nulla è certo sull’attuabilità di questa bonifica e sul fatto che, in Campania, le cose possano effettivamente cambiare.
Sfortunatamente, un qualsiasi appello ad organismi sovranazionali, come la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, condurrebbe, molto probabilmente, ad una sanzione pecuniaria assolutamente inutile nella situazione contingente. Dall’Italia, però, dovrebbe partire l’iniziativa per la normazione del traffico dei rifiuti tossici a livello europeo, poiché, come rivelano i collaboratori di giustizia, una parte imponente del materiale smaltito illegalmente proviene dal resto d’Europa.
Poco si può fare, ormai, a titolo preventivo per la protezione degli abitanti della zona, anche se la violazione dei loro diritti dovrebbe essere portata come atto di accusa ad un modello di sviluppo che specula su zone depresse e popolazioni disagiate per una massimizzazione del profitto scissa dalle conseguenze e dalle esternalità negative delle proprie scelte.
Nelle mozioni proposte in Parlamento si deve, comunque, rilevare l’intenzione di cambiare la dinamica che ha fatto aggravare a tal punto la situazione e procedere a quello che sembrerebbe un salvataggio in extremis.
Si propone, infatti, di procedere tempestivamente alle bonifiche improrogabili e che sia finalmente incoraggiata la partecipazione di tutti i cittadini membri dei comitati di difesa del territorio. Ciò sarebbe possibile attraverso tavoli tecnici coordinati dal Ministero dell’Ambiente di concerto con esperti e rappresentanti locali, anche se il capitolo spese, come al solito, solleva le criticità. In un periodo segnato da crisi e mancanza di risorse, però, gli enti locali spingerebbero per una forzatura del patto di stabilità.
Gli elementi dell’emergenza sembrano essere tutti sul tavolo, anche se, purtroppo, per la natura particolarmente complessa di questo disastro ambientale e per il possibile lungo strascico dello stesso, la catastrofe umanitaria che tuttora continua in Campania non vanta l’eco delle crisi che si possono risolvere con un ultimatum.
Per osservare i primi risultati si dovrà agire tempestivamente ed efficacemente e il lavoro da compiere sarà di lungo periodo.
L’attuazione dei principi fondamentali e dei diritti umani dovrà procedere di pari passo con l’applicazione della legge ordinaria dello Stato contro le mafie, istanza, questa, che appartiene all’onorata stirpe di quelle più facili a dirsi che a farsi.

Mario Casonato
Studente Università di Padova

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