Diciamo stop al “biocidio”

Viviana Graniero

Bisogna mettere un freno a ciò che sta accadendo in Campania e che, oltre a devastare la salute dei cittadini, sta mortificando anche l’economia locale

fuochiVorrei fornire un contributo informativo su una tematica di grande importanza e fortemente contemporanea, qual è appunto la Terra dei Fuochi, attraverso una serie di tasselli chiave particolarmente significativi. Esordirò assegnando una collocazione geografica al territorio interessato dallo smaltimento illecito e criminale dei rifiuti.
Parliamo, soprattutto, di scorie tossiche molto pericolose. Desidero, poi, specificare quali tipologie di rifiuti sono state smaltite effettivamente in Campania e precisare il tipo di avvelenamento derivatone, sottolineare le responsabilità, ove possibile ipotizzarle, e tracciare i contorni delle gravissime conseguenze provocate. Vorrei, infine, esaminare le proposte avanzate per affrontare la situazione ed accennare a ciò che di bello sta accadendo sul territorio: riguarda la coscienza popolare, il risveglio della gente e le tante battaglie condotte dalla cittadinanza attiva, con mobilitazioni molto sentite, come quella del 16 novembre scorso a Napoli, forte di oltre 100.000 persone scese in piazza.
Per cominciare, di che area territoriale stiamo parlando? Non ci riferiamo all’intera Campania, ma alla zona compresa tra le province di Napoli e Caserta. La definizione “Terra dei Fuochi” è nata con la stampa e con la letteratura: la problematica dello smaltimento dei rifiuti è stata portata all’attenzione nazionale ed internazionale dai libri di Roberto Saviano e dalle numerose inchieste giornalistiche precedenti. La definizione sta, tuttavia, un po’ stretta al territorio perché l’avvelenamento messo sotto accusa non è soltanto quello derivante dai roghi dei rifiuti, ma anche quello conseguente al loro interramento.
Partiamo da questo concetto: la doverosa distinzione tra i tipi di avvelenamento subiti per oltre venti se non addirittura trent’anni da questa fetta di territorio così vasta, trasformatasi in drammatica vittima di un traffico criminale di notevole entità. Legambiente ne ha recentemente tracciato le rotte con uno degli ultimi dossier, il dizionario dell’Ecocidio nella Terra dei Fuochi, e ha trasformato in numeri le tante inchieste su questo traffico criminale.
Purtroppo, ad emergere è un quadro che vede coinvolto l’intero Paese, tutta l’Italia, dimostrando che il problema non è dunque relegato unicamente alla sfera locale e alla sola Campania.
A portare qui i rifiuti tossici sono state soprattutto le aziende operanti nel Centro-Nord. Aziende che hanno stretto accordi con la camorra, con i clan del Napoletano e del Casertano e che hanno cosi smaltito gli scarti delle proprie attività in maniera criminale e senza scrupoli. Parliamo di scorie molto tossiche, quali fusti di liquami contaminati da metalli pesanti come l’amianto e, addirittura, materiali di scarto radioattivi. In realtà, questo dev’essere ancora sottoposto a verifica giacché legato a dichiarazioni di pentiti tutte da verificare. È, tuttavia, certo che rifiuti tossici sono stati trovati in alcune zone nelle quali si è scavato. Legambiente parla addirittura di oltre dieci milioni di tonnellate di rifiuti tossici giunti dal Centro-Nord e sversati nel Napoletano e nell’Aversano. Una mole di rifiuti enorme sotterrata nei campi e, in alcune occasioni, in laghi, corsi d’acqua e tratti sottostanti alle statali o alle autostrade. Un avvelenamento che riguarda, dunque, un’area molto vasta e che richiede adesso una mappatura rapida e certa dei siti contaminati per poterli circostanziare e poter scongiurare il pericolo che l’avvelenamento rechi danni ancora maggiori alle coltivazioni e alle persone che vi abitano. Più di quanto non sia già accaduto.
Un’altra parte dell’avvelenamento riguarda lo smaltimento illecito dei rifiuti attraverso la pratica del rogo. Questo tipo di smaltimento interessa soprattutto lo scarto industriale delle fabbriche, anche locali, che lavorano in regime di evasione fiscale. Lo scarto, pertanto, non può essere smaltito legalmente.
Così come è illecita la lavorazione del prodotto, anche il suo smaltimento deve avvenire nell’illegalità, quindi con lo sversamento in qualche discarica abusiva a cielo aperto, a bordo delle strade, nelle campagne o in qualsiasi luogo si riesca a scaricare in maniera nascosta. A queste scorie viene, infine, dato fuoco attraverso altro materiale da smaltire illegalmente, come solventi e vernici. Un mix di veleni micidiali. Una volta in fiamme, crea nubi tossiche che avvelenano tutta l’aria circostante provocando enormi danni alla salute pubblica e disagi anche per l’odore sprigionato, acre e nauseante. Legambiente afferma che sono 6.000 i roghi appiccati nell’arco dell’ultimo anno e mezzo.
Parliamo, tuttavia, dei soli roghi censiti, quelli oggetto di segnalazione ai vigili. Ricordiamo, però, che non è sempre possibile segnalare un rogo: quando questo divampa di notte, identificarne l’origine risulta pressoché impossibile.
Mi preme sottolineare, inoltre, come, nel caso sia dei rifiuti interrati, sia dei roghi tossici, non si tratti mai di rifiuti solidi urbani, ma di residui di lavorazione industriale. Con questa definizione si fa specifico riferimento a rifiuti altamente tossici, come gli scarti delle industrie chimiche o petrolchimiche, e ci si riferisce, altresì, ai semplici scarti di lavorazione di concerie o di aziende che realizzano prodotti contraffatti.
Reato su reato. Quella delineata non è una situazione facilmente liquidabile incolpando i Campani, rei di non saper effettuare la raccolta differenziata o che gettano con incuria il sacchetto dell’immondizia. Non si tratta di questo tipo di emergenza rifiuti, ma di veleni.
Lo sottolineo perché, spesso, si cita proprio questa come causa del problema.
Troppe volte si sente la frase “siete incivili”, ma non è certamente questa l’emergenza così allarmante di cui tanto si sta discutendo. Emergono, piuttosto, le responsabilità della criminalità organizzata. Questo passaggio merita un approfondimento. Il sistema criminale ha avviato questo grande business, del valore di miliardi di euro, paragonabile, secondo qualcuno, addirittura al traffico internazionale di droga per gli enormi interessi in ballo. Le responsabilità vanno anche imputate a quella fetta di imprenditoria senza scrupoli che, per profitto personale, ha effettuato smaltimenti in maniera criminale tramite i clan. Ovviamente, tutto questo non è ipotizzabile senza la collusione delle istituzioni, le quali, come minimo, hanno omesso i controlli vivendo nell’inerzia. Non è pensabile che, in vent’anni, oltre 400.000 tir carichi di rifiuti tossici – numero fornito da Legambiente nel suo dossier – abbiano attraversato l’Italia in maniera cosi indisturbata e senza che nessun ente preposto al controllo se ne accorgesse. Certo, sono arrivate le prime inchieste, le indagini, i processi.
Ma prima ci sono stati oltre vent’anni di sversamenti incontrollati. È chiaro che le responsabilità debbano essere individuate a tutti i livelli. Si spera che, prima o poi, i colpevoli paghino. Non si può mettere seriamente un punto sul problema se permane anche solo il minimo rischio che chi ha inquinato e chi ha voltato la faccia davanti all’evidenza possa, addirittura, riciclarsi in ruoli strategici o mettere le mani sull’affare delle bonifiche, punto delicatissimo da condurre con assoluta trasparenza e sotto il controllo di esperti meritevoli della fiducia dei cittadini coinvolti.
Esperti esterni, indipendenti. Oggi il popolo non ha più fiducia in uno Stato da cui si stente tradito.
Quali sono le conseguenze di questo dramma vissuto da una parte del territorio campano? È piuttosto facile immaginarle. La prima, la più diretta, è stata l’aumento delle patologie tumorali, di alcune in special modo. Non solo quelle, ma anche malattie dell’apparato respiratorio e cardiocircolatorio.
Un aumento di mortalità per malattie molto gravi. La comunità scientifica sostiene che, in realtà, il nesso tra avvelenamento da rifiuti e insorgenza di tumori non sia ancora stato provato, ma possiamo comunque affermare che qui la percezione generale è proprio quella. L’aumento di tumori è stato, infatti, registrato anche in fasce di età in cui non è normale: tanti bambini, comunque giovanissimi, ammalati. Vi è sempre maggiore richiesta nelle asl di esenzione del ticket per patologie tumorali. Raddoppia, aumenta di anno in anno.
Anche i medici di base sostengono che qui, evidentemente, il problema esiste ed è enorme. Va immediatamente istituito un Registro Tumori, non presente in Campania o, comunque, incompleto.
Anche questo è assurdo. Proprio qui, dove sussiste un picco di patologie tumorali, proprio qui non c’è ancora documentazione chiara sull’aumento di queste malattie. Anche questo aspetto ha condotto ad un grande risveglio popolare. Le inchieste giornalistiche e della magistratura sono iniziate prima della fine degli anni ‘90, le prime denunce su ciò che stava avvenendo in Campania risalgono addirittura alla fine degli anni ‘80. Adesso c’è un’enorme mobilitazione popolare: in questo preciso momento, la gente il dramma lo vede in maniera chiara attraverso le morti che, purtroppo, si trova ad affrontare.
Si dice che qui non ci sia più una famiglia senza un caso di tumore. Come mai? La gente si interroga sul motivo per cui qui succede più che altrove, cerca le risposte e le cerca contattando le realtà territoriali che, negli anni, hanno combattuto per la tutela dell’ambiente e, magari, sono state represse in maniera dura. Oggi non sono più singoli gruppi a combattere contro una discarica gestita in maniera poco chiara o contro l’ennesimo rogo appiccato. Oggi la battaglia è globale e coinvolge tutte le realtà in lotta, finalmente unite.
Proprio l’unione di queste battaglie si è tramutata in una bellissima mobilitazione che a metà novembre ha travolto Napoli con una grandissima marcia da Piazza Mancini a Piazza del Plebiscito.
Una marcia voluta inizialmente da un gruppo sparuto di giovanissimi studenti napoletani: hanno contattato tutte le strutture in lotta per la tutela della salute pubblica e dell’ambiente nelle province di Napoli e Caserta, hanno messo insieme i saperi e le esperienze di queste realtà e, grazie all’unione di tante forze, hanno creato un grande movimento e una piattaforma di dieci punti contro quello che viene definito, con un neologismo, il biocidio. I punti riguardano il modo in cui si deve contrastare l’avvelenamento, le mappature necessarie, le bonifiche da eseguire sotto controllo popolare e anche le strategie per evitare che il danno causato sia devastante. Emerge, dunque, la necessità di arginare il problema circostanziando i siti inquinati con le interdizioni sui terreni su cui non si può coltivare e con la chiusura dei pozzi inquinati, ma anche attraverso il rilancio delle eccellenze, soprattutto agroalimentari. Non tutti i prodotti risultano inquinati e sono, invece, tante le aziende che operano nella legalità e nella trasparenza, pur avendo subito un calo enorme nelle vendite. Il danno inizia, dunque, ad essere anche economico e la Campania non se lo può permettere. Da un lato è normale che la gente abbia paura, ma tanti prodotti sono, di fatto, di ottima qualità. Bisogna quindi agire rapidamente nel mappare i territori perché la confusione genera danno all’economia.
Vanno, poi, fornite risposte certe ai cittadini campani e al resto dell’Italia per tutelare al meglio sia noi, sia chi compra i prodotti campani anche all’estero.

Viviana Graniero
Giornalista del Quotidiano on line NapoliToday

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