Bisogna bonificare le coscienze oltre ai terreni infetti

Antonio Giordano

Soltanto attraverso un approccio serio, mirato e fatto di integrazione tra azioni politiche e sanitarie si può pensare di ripristinare la normalità in una terra dove rifiuti tossici e tumori sono aumentati in maniera esponenziale negli ultimi trent’anni

A Napoli l’allarme non è mai cessato. Va avanti da oltre trent’anni.
La questione riguarda la salute dei cittadini e non doveva essere sottaciuta per decenni.
Quella dei rifiuti è storia nota. Già nel 1975 mio padre, Giovan Giacomo, primario patologo dell’Istituto Tumori di Napoli, redigeva, in collaborazione con altri studiosi, il libro bianco: “Salute e ambiente in Campania”, edito da Politica Meridionale, nel quale evidenziava il forte inquinamento di Napoli e l’aumento della mortalità per cancro provando uno stretto rapporto cancerogenesi-ambiente.
Fa impressione la situazione globale campana con i suoi i milioni di tonnellate di rifiuti ma, soprattutto, si resta sgomenti di fronte al fatto che i provvedimenti concreti sono rimasti allo stato delle buone intenzioni, allora come oggi.
La mappa della nocività tracciata quarant’anni fa da mio padre, e da me aggiornate nel 2012 in collaborazione con il mio gruppo di ricerca italo americano, ha dato vita al testo:
“Campania, Terra di veleni”, edito da Denaro Libri. In esso viene descritta una situazione inquietante.
Si tratta di studi dai quali si può ricavare la certezza che i rifiuti tossici, nascosti illegittimamente sotto terra o dispersi in discariche abusive, sprigionano sostanze dannose alla salute, determinando un incremento nell’insorgenza di carcinomi e malformazioni congenite.
Nei rifiuti esaminati sono state trovate tracce di sostanze nocive come il cromo esavalente, che causa difficoltà respiratorie e danni alla cute, ai polmoni e ai reni, ma anche nichel, piombo, zinco, rame, cobalto e scarti di vernici.
È ormai storia giudizialmente accertata che dal Nord dell’Italia e dall’Europa abbiamo illegalmente importato tonnellate di rifiuti velenosi trasferiti a bordo di grandi camion.
Giunti nel nostro Sud, costipati nelle viscere della nostra terra, hanno inquinato le falde acquifere, avvelenato i nostri prodotti agricoli, il nostro bestiame, fino a porre in serio pericolo la nostra stessa salute.
Un minaccioso mare di rifiuti che, oltre a sprigionare dal ventre della terra odori nauseabondi, trasforma i nostri fertili campi in lande desolate e prive di speranza.
E i responsabili di questa catastrofe ambientale chi sono?
Senza dubbio la malavita organizzata, con la complicità di una classe politica corrotta, di tecnici collusi e di una classe medica che non ha denunciato l’evidenza.
È innegabile che, da anni, la politica e la Sanità vivano in un regime di reciproca interdipendenza. I politici hanno stabilito le nomine apicali dei medici ricevendone, spesso, l’edulcorazione della realtà relativa all’inquinamento ambientale.
Del resto, quando è capitato che qualcuno, con onestà, abbia opposto resistenza a questo stato di cose, l’effetto sortito è stato l’emarginazione dal sistema. È quello che è successo anche a mio padre il quale, in qualità di Direttore dell’Istituto Tumori di Napoli, denunciò irregolarità nell’ambito di un concorso per l’assunzione di personale presso l’ente che dirigeva.
Al termine dell’indagine furono arrestati il Vicepresidente e due componenti del Consiglio di Amministrazione dell’Istituto, tutti “referenti” delle varie correnti politiche dell’epoca.
Contestualmente, mio padre veniva rimosso “a divinis” dal proprio incarico di Direttore del Pascale di Napoli pagando così il prezzo della propria indipendenza e della propria autonomia scientifica, umana e politica.
Anche a me, nel corso di questa mia battaglia in favore dell’ambiente, è capitato di essere stato ostacolato o non supportato dai colleghi. Più volte mi hanno invitato a ripensare al problema e a volermi unire al coro istituzionale fatto di silenzi, di omissioni, più che di una sincera descrizione della realtà e del fenomeno.
Del resto, anche chi ha rappresentato le Istituzioni ai massimi livelli ha negato il nesso di causalità tra rifiuti tossici e mortalità in crescita in Campania.
A tale proposito mi basta ricordare la polemica apparsa su “Il Mattino” di Napoli in data 8 luglio 2011 in cui il Ministro della Salute, Ferruccio Fazio, minimizzava i dati pubblicati sulla rivista scientifica “Cancer Biology and Therapy” dal sottoscritto, dal Professor Ignazio Marino, da Maddalena Barba, da Alfredo Mazza e da Carla Guerriero e, in particolare, gli effetti tossici della diossina.
Questo studio, tra l’altro, evidenzia che trent’anni di rifiuti tossici non correttamente smaltiti costano all’area settentrionale della provincia di Napoli e a quella meridionale della provincia di Caserta un indice di mortalità superiore del 9,2% per gli uomini e del 12,5% per le donne.
In un altro studio epidemiologico che ho seguito in prima persona, pubblicato nel 2009 sulla rivista scientifica “Journal of Clinical Experimental Cancer Research”, abbiamo analizzato i dati ottenuti dall’archivio nazionale delle schede di dismissioni ospedaliere relative alla finestra temporale compresa tra il 2000 ed il 2005.
Il numero dei tumori mammari è risultato superiore a quello riportato dagli organi ufficiali. Oltre 40.000 i casi non censiti e statistiche sottostimate del 26,5%, soprattutto nella fascia d’età compresa tra i 25 e i 44 anni.
Nella stessa direzione anche il lavoro più recente sull’incidenza del cancro in Italia. Nel perfezionare la metodologia del precedente studio, estende il periodo di osservazione fino al 2008. I risultati scientifici confermano l’aumento significativo del numero delle quadrantectomie. Ancora emblematici gli incrementi delle quadrantectomie tra i 25 e i 39 anni e tra i 40 e i 44 anni, in età, cioè, di pre-screening. La situazione è talmente critica – anche per l’assenza di un registro tumori aggiornato – che ho potuto descriverla solo con un paradosso: o la vicinanza dei cittadini ai siti di rifiuti tossici determina patologie tumorali o i cittadini campani sono state vittime, negli ultimi anni, di un progressivo indebolimento genetico al punto da aver maturato un “DNA
colabrodo”.
La Campania, in sostanza, è diventata un laboratorio “a cielo aperto” di cancerogenesi nel quale le cavie sono i Napoletani e i Campani.
Le uniche soluzioni possibili sono le medesime individuate con lungimiranza da mio padre quarant’anni fa: bonifica e prevenzione.
A mio avviso, infatti, è necessario procedere con una bonifica dei territori inquinati, insistere nel monitoraggio del territorio creando, finalmente, un registro tumori, organizzare seriamente programmi di screening sulle popolazioni a rischio (per valutare, ad esempio, l’esposizione alle diossine) e incrementare gli studi epidemiologici sul territorio migliorando la scelta delle popolazioni di controllo. Risulterebbe necessaria, inoltre, anche una “bonifica” delle coscienze umane. C’è bisogno di un approccio serio e multidisciplinare, che integri le azioni politiche, l’educazione alla salute e un efficiente sistema sanitario. In Campania, tra l’altro, non esiste nemmeno una rete di tracciabilità degli alimenti vegetali. Considerato che ortaggi e verdure rappresentano un pericoloso veicolo di diffusione dei veleni che inquinano i territori campani, ciò sarebbe fondamentale.
Mentre le Autorità parlano di bonifiche, mai iniziate, ho deciso di continuare i miei studi in favore dell’ambiente e della salute dei cittadini con la certezza che la bonifica dei territori debba essere condotta congiuntamente all’educazione dei giovani.
Non posso però sottacere che, al problema dei rifiuti tossici e dell’aumento delle patologie tumorali, si unisce anche quello del finanziamento alla ricerca sul cancro il quale, ancora oggi, in Italia è assolutamente insufficiente.
L’investimento finanziario nella ricerca sul cancro è più basso rispetto a molti altri Paesi del Nord America e ad alcuni Paesi della Comunità Europea: una situazione a cui si deve aggiungere, spesso, l’uso improprio delle risorse. La loro distribuzione tra il Nord ed il Sud del Paese, oltre ad essere iniqua, non tiene in considerazione che, dietro questa disparità, vi sono proprio delle vite umane.
La maggior parte dei proventi raccolti durante le maratone televisive o nel corso delle campagne di sensibilizzazione nelle piazze di tutto il Paese rimpinguano, per la maggior parte, gli enti di ricerca del Nord.
Il risultato è che, per trovare una cura, ogni anno, un milione di persone ammalate, campane, siciliane e calabresi, sono costrette a migrare verso le strutture ospedaliere del Nord per essere curate e ottenere quel diritto loro negato nella Regione di origine con costi elevati per la Sanità pubblica e per le famiglie.
Una situazione drammatica, quella sanitaria in Italia, determinata da una serie di fattori, ma che non deve mai condurci alla disperazione. Se in Grecia ci si dispera immaginando il futuro, nella Terra dei Fuochi e dei veleni ci si dispera per la paura di essere colpiti da una malattia inguaribile. I dati che registrano un aumento di suicidi, di tossicodipendenze e, addirittura, i pochi casi di persone giunte al punto di autoinocularsi il virus dell’Hiv devono farci riflettere. Il primo nemico dell’uomo è la disperazione. Guai a lasciarla scatenare.

Antonio Giordano
Oncologo, Direttore dello Sbarro Institute for Cancer Research and Molecular Medicine di Philadelphia
Presidente del Comitato Scientifico della Human Health Foundation Onlus, Professore di Anatomia e Istologia Patologica presso il Dipartimento di Medicina, Chirurgia e Neuroscienze – Laboratorio di Tecnologie Biomediche ed Oncologia Sperimentale dell’Università di Siena

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