Donne vittime della tratta: la storia di Joy “In strada mi è successo di tutto”

Fonte: www.savethechildren.it

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Ha occhi neri come olive, il sorriso accogliente e treccine setose che le cadono lucenti sulla fronte. Ma soprattutto Joy (nome di fantasia,ndr) ha un cuore grande. Quarant’anni, nigeriana (ora anche napoletana)  è stata vittima della tratta sul maledetto asse Niger-Castelvolturno.

La incontro nella sua casa colorata e piena di quadri etnici, sita nella periferia a nord di Napoli, dove vive con suo marito Ciro (nome di fantasia, ndr) e i loro tre figli, uno dei quali è una promettente star di un nostro grande sport nazionale. Mi accolgono con simpatia e disponibilità anche se per Joy (e suo marito) ripercorrere le ferite sul corpo e nell’anima che la strada le ha inferto fa ancora molto male.

La sua storia di sfruttamento è iniziata nel 1995, e non è come quella di tutte le altre. Joy in Nigeria ha studiato ed aveva un lavoro: un negozio di sartoria con personale alle sue dipendenze.

Lì al suo paese ha trentaquattro tra fratelli e sorelle. Suo padre ha avuto tre mogli – «perché nel nostro paese le leggi basate sulla consuetudine lo permettono» – e lei viveva con la madre prima di diventare, suo malgrado, una schiava del sesso.

«Ho sofferto molto per la condizione di mio padre» – mi racconta – «e scelsi, quando i miei si separarono, di stare con mia madre».

«Dopo essermi resa autonoma lavorativamente, conobbi un uomo di cui mi innamorai molto e andammo a vivere insieme. Trascorso un po’ di tempo, scoprì non solo che aveva una relazione con un’altra donna ma che questa persona era rimasta anche incinta.

«La notizia mi sconvolse soprattutto perché ero molto traumatizzata dalla situazione della mia famiglia di origine, quindi, decisi di cambiare radicalmente vita e di partire per un paese lontano come l’Italia, perché da noi il vostro è considerato un paese ricco e pieno di opportunità».

Qui, il tono della sua voce inizia ad affievolirsi leggermente.

«Mi rivolsi ad un’amica, e lei mi condusse da una donna che avrebbe dovuto farmi arrivare in Italia e procurarmi un lavoro, tipo baby-sitter, domestica e cose di questo genere.

Avrei dovuto fare un debito con lei, e scontarlo un po’ alla volta appena iniziato a lavorare».

Ciro, il marito di Joy, le si avvicina. Sa cosa sta per continuarmi a raccontare. Si pone alla spalle di sua moglie quasi a volerle offrire protezione da quei orribili ricordi.

«Arrivai con la mia amica  a Castelvolturno – continua – in una casa dove c’erano anche altre ragazze. Mi fecero dei documenti falsi. Io stavo lì, senza fare niente e nessuno mi diceva niente. Dopo alcuni giorni arrivò una signora a vederci e mi separarono dalla mia amica: io dovevo stare con questa signora e la mia amica andare invece con un’altra. In poche parole mi vendettero».

La voce di Joy diventa un filo sottilissimo. Si ferma. Prende un po’ di fiato. Ciro non si muove dalle sue spalle.

«Nella nuova casa, mi dissero che dovevo sistemarmi i capelli e farmi bella. La sera uno di loro mi comunicò lapidario: “Vieni con me, ti porto a lavoro”. A quel punto iniziai a capire qualcosa. Non potevo chiedere niente a quei signori perché facevano paura. Mi diedero dei vestiti e mi portarono sul marciapiedi».

Joy si interrompe di nuovo. Questa volta va in apnea. Ciro le pone delicatamente una mano sulla spalla. Riprende fiato. Gli occhi neri come olive sono un po’ lucidi. Aspetta. Le sorrido.

«Mi spiegarono che tutti i soldi guadagnati dovevo darli a loro. Ogni 10 giorni mi chiedevano l’equivalente di mille dollari. Per me non potevo trattenere niente. Se avevo un malore mi compravano le medicine, ma gli dovevo rimborsare la spesa. Eravamo finanche costrette a pagare l’affitto delle case di questi signori e delle altre ragazze».

«Soprattutto – prosegue –  mi era vietato di mandare soldi al mio paese. Se lo fai, possono uccidere un tuo familiare, infatti mi avevano minacciata. Ci ho messo due anni per estinguere il mio debito».

Le tensione di ogni fibra del corpo di Joy mi balza agli occhi come un lampo nel cielo scuro. Soprattutto quando le chiedo di raccontarmi cosa succedeva in strada. Lei si ferma per un attimo. Raccoglie le forze. Muove le labbra, ma le parole non escono. Poi trova il coraggio. Ciro è sempre accanto a lei.

«In strada mi è successo di tutto perché incontri chiunque. Non puoi mai prevedere cosa accadrà. Sono stata derubata, picchiata, mi hanno rotto la testa a sangue. Spesso si avvicinava una persona e dietro, subito dopo, ne sbucavano delle altre».

Altra pausa. La più lunga di tutte. Mi viene istintivo prenderle la mano. Non solo per consolare lei, ma anche per dare forza a me che ascolto non solo le sue parole, ma soprattutto il suo sguardo.

Lo sguardo di chi si vergogna di quella vita che non avrebbe mai voluto fare. Infatti Joy, una volta estinto il debito, ha un solo desiderio: fuggire dai suoi aguzzini.

«Tornare in Niger – mi dice – era inutile. Non avevo più nessun lavoro lì e poi ero clandestina. Così ho incontrato la Caritas napoletana che mi ha aiutata».

I sui nervi iniziano a distendersi, ed il sorriso forzato e imbarazzato di prima si trasforma in un piccolo raggio di sole. Intuisco che arriverà qualcosa di bello, dopo tanto dolore.

«Una notte, per l’ennesima volta, ero stata picchiata a sangue – mi racconta. Mentre uscivo da un vicoletto tutta insanguinata chiedendo aiuto, si ferma una macchina. Era Ciro (suo marito) che era andato a fare uno spettacolo di beneficenza, e si era perso per le strade domizie. Mi propose di andare a casa sua. Io inizialmente ebbi paura, poi capii che non voleva farmi del male. Dopo ritornai a Castelvolturno, e nel frattempo conobbi un avvocato che aiuta le donne vittime della tratta. Lui mi portò alla Caritas, e da lì mi portarono in una comunità a Roma. Ottenni il permesso di soggiorno e quando uscii, dopo poco, Ciro ed io andammo a vivere insieme».

Ormai il sorriso sul volto di Joy e di Ciro si è sciolto. Si tengono la mano.

«Dopo aver vissuto insieme, ci siamo sposati e sono venuti i nostri meravigliosi figli. Non potrò mai dimenticare quanto mi è successo, ma l’amore di Ciro e delle persone che mi hanno aiutata è stato fondamentale».

E fondamentale è raccontare la sua storia perché come la stessa Joy mi ha detto: «Gli altri devono sapere».

Oggi – mi spiega – le ragazze che  vengono in Italia, per una buona parte, fanno questo “mestiere” già in Niger. Lo fanno perché sono poverissime, vivono in famiglie numerose, e abitano in case malandate dove ci convivono con i topi. La scelta è consapevole, ma le loro condizioni di vita sono talmente pessime da portarle sulla strada.

Dunque, ci sarebbe molto da riflettere sulla spontaneità di questa scelta. E oggi, ma non solo oggi, che ricorre la Giornata europea contro la tratta degli esseri umani è una buona occasione per farlo.

di Ornella Esposito

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