Evasione fiscale – parola alla difesa!

Giuseppe Incarnato

È necessaria un’armonizzazione fiscale mondiale coerente alla restante impalcatura socio-economica. È urgente mantenere i livelli di ricchezza delle Nazioni, a meno di non puntare ad una “decrescita felice”, come vagheggiato da qualche politico italiano.

Mi fa ancora una certa impressione essere citato in articoli da prima pagina dei principali quotidiani nazionali come uno dei massimi esperti di evasione fiscale.
Ma tant’è. I libri servono a questo, a trasferire e storicizzare il proprio pensiero e sottoporlo al giudizio dei lettori, che lo approvano o meno, condividendolo con gli acquisti del libro stesso.
Finalmente, anche in Italia viene portata all’attenzione dell’opinione pubblica, da “Il Sole24 ore” tramite lo splendido editoriale di un personaggio del calibro di Guido Rossi, il vero problema dell’”evasione fiscale legale”. Questo ha tutt’altre dimensioni delle infrazioni “stile Cortina”, nel libro strategicamente distinte tra evasione dei “poveri e ignoranti” ed evasione dei “ricchi e colti”
In “Evasione fiscale – parola alla difesa!” avevo posto all’attenzione del lettore come l’evasione fiscale dovesse vivere un’evoluzione di perimetro, non potendosi più associare all’infrazione di legge sic et simpliciter (omissione scontrino, fatture false, corrispettivi in nero, ecc.) quanto, piuttosto, includere nelle manovre evasive anche tutte quelle tecniche di elusione ed elisione rese possibili da un mancato aggiornamento organico dell’impianto impositivo fiscale italiano.
Problema, per la verità, comune a molti altri Paesi in Europa, comunitari ed extracomunitari, che si sono trasformati, talvolta inconsapevolmente, in autentici paradisi fiscali senza neanche la “mela del peccato” di essere nella lista nera/grigia OCSE.
Nei capitoli specifici del libro, veniva, appunto, disaminata la riperimetrazione della base imponibile su cui effettuare il prelievo, le tecniche di neutralizzazione delle manovre evasive, elusive ed elisive, e posto non più l’obiettivo di “stanare” l’evasione in quanto tale quanto quello di organizzare la macchina statale del prelievo in maniera che Agenzia delle Entrate, regole giuridiche, sistemi di controllo coattivo – Guardia di Finanza e derivati – riuscissero a spostare il focus non tanto sull’infrazione quanto sulla “tassazione obiettivo” che si desidera raggiungere sul contribuente.
Se ci fosse tale evoluzione, allora si potrebbe stabilire un nuovo sistema di vigilanza sulla tassazione senza sbagliare con le parole e qualificare o coniare “l’evasione fiscale legale”, una contraddizione in termini.
Sulla dimensione del fenomeno di “ottimizzazione” della tassazione mediante atti assolutamente legali ed arbitraggi fiscali cross-country, altrettanto legali, occorre dire che ciò assume caratteristiche di gran lunga superiori – in termini di gettito mancato – rispetto all’evasione fiscale tradizionalmente intesa. Per fare un rapporto di gettito mancato alle casse Statali, siamo in una proporzione, apprezzata per difetto, di 120 a 1. Quindi, in soldoni, stiamo parlando di imposte, legalmente non dovute sulla base del nostro sistema impositivo, di circa € 1.200.000.000.000 (milleduecentomiliardi di euro) considerando che il PIL che scappa è quota parte del gettito che va a favore di altri Paesi e sistemi. In sostanza, non manca solo il gettito, ma proprio la base imponibile! (l’oggetto della tassazione) molto spesso definitivamente, generando una povertà strutturale: disoccupazione, emigrazione, minori consumi, trasferimenti verso l’estero di capitali e quanto legato al fenomeno.
L’arbitraggio fiscale tra Paesi concorrenti, l’ottimizzazione fiscale su gruppi di imprese e tutto quanto chiaramente indicato nella parte delle tecniche utilizzate dalla grandi imprese per fare tax planning si configura ancora come evasione?
Una domanda legittima, complessa e i pochi spazi di un articolo possono soltanto lasciare lo spazio a spunti invero ampiamente sviluppati nel libro che ho scritto.
Può esistere un’”evasione fiscale legale”? O è una contraddizione in termini?
A parere di chi scrive, ed ha scritto sull’argomento, un’evasione fiscale legale non esiste. L’evasione è illegale oppure no.
Se ci sono “falle” nei sistemi tributari, non è colpa dei contribuenti che legittimamente e doverosamente ottimizzano la leva fiscale quanto dei Governi nazionali che si sono preoccupati di regolare tutto, dal commercio mondiale (WTO) ai diritti umani, dai regolamenti finanziari alle regole agricole ed alle politiche monetarie, ma non hanno mai voluto coordinare le proprie politiche fiscali nell’assurdo convincimento che tali elementi siano una parte della gelosa sovranità nazionale sostanzialmente a “camera stagna” che non influenza o non è influenzata da tutto il resto.
Valga un esempio lampante:
Se un Paese ha una tassazione del 70% sul reddito prodotto dalla industrie manifatturiere sul proprio suolo, di primo impatto uno potrebbe considerare il carico fiscale eccessivo. Ma se poi i diritti umani e sindacali sono inesistenti, le norme antinquinamento pure, le regole di diritto societario anche, finisce per diventare “la fabbrica del mondo”… Viceversa, una Nazione con una tassazione del 15% del reddito di impresa può sembrare conveniente, ad una prima valutazione. Ma poi, se la scuola è privata e la deve pagare l’impresa se vuole competenza nelle maestranze, la normativa antinquinamento è la più rigorosa del mondo, i lavoratori non possono lavorare più di 24 ore settimanali ed hanno diritti parentali per 45 gg l’anno, finisce per essere teatro di delocalizzazione e desertificazione strutturale alla faccia di libertè, egalitè e fraternitè.
Quindi, la necessità di un’armonizzazione fiscale mondiale coerente alla restante impalcatura socio-economica è urgente ed esiziale per mantenere i livelli di ricchezza delle Nazioni, a meno di non puntare ad una “decrescita felice”, come vagheggiato da qualche politico italiano.
Il caso della Apple, eclatante, ma del tutto comune alle aziende multinazionali, anche tascabili, non potrà essere mai sanzionato.
Va studiato, e ancora una volta gli USA riescono a darci una lezione di approccio metodico, Democrazia e meritocrazia. Il Senato degli Stati Uniti d’America, nell’interesse della Patria, si è messo a “nudo” di fronte al gigante produttivo della Apple ed ai suoi manager e si è fatto coscientemente umiliare prendendosi una lezione di economia globale.
Ad avviso di chi scrive, i senatori interpellanti l’hanno fatto consapevolmente per puro patriottismo.
La loro umiliazione ha fatto partire il dibattito sulla necessità che si affronti il tema di un adeguamento planetario dei sistemi fiscali non paradisiaci, ma semplicemente alla base di Stati più efficienti.
Il tema è quello dell’incompetenza della burocrazia degli Stati rispetto alle dinamiche dell’economia ed a comprendere il “comportamento razionale del produttore”. Un testo base di microeconomia ben assimilato costituirebbe un’ottima partenza per i politici.
Oggi, gli Stati, tutti gli Stati, per poter tassare a piacimento nell’economia globalizzata, devono prima considerare il “punto fuga” dell’economia, l’oggetto della tassazione.
Se l’economia produttiva si muove e fugge dagli Stati con regime impositivo penalizzante, il gettito sarà nullo. Meglio incassare una cifra ragionevole che perdere la base imponibile e non incassare nulla.
Per tornare alle cose di casa nostra, in Italia il sistema tributario risale al 1973, con successive, parziali ed illogiche variazioni che hanno reso la materia molto complessa e, soprattutto, hanno fatto perdere organicità al sistema impositivo creando incertezze al contribuente. Basti pensare che l’80% delle verifiche fiscali avvengono per errori materiali. Nessun dolo. Siamo, quindi, bravi contribuenti, alla fine, e desideriamo vivere tranquilli.
Le norme comunitarie hanno finito per spostare l’analisi del punto fuga non più ad un confronto tra Stati comunitari, ad esempio Francia nei confronti dell’Italia, ma alla possibilità che imprese ed imprenditori si spostino su teatri extraeuropei in cerca di nuove ricchezze.
In poche parole, la globalizzazione ha portato a coordinate nuove per la tassazione che non possono non essere considerate: 1) abbattimento delle barriere linguistiche anche in Paesi prima considerati esotici; 2) stabilità politica in vaste aree del pianeta; 3) quadro giuridico anglosassone (pensato, cioè, per esaltare l’iniziativa privata ndr) in Paesi prima arretrati; 4) modelli sociologici e comportamentali sempre più uniformi che facilitano il trasferimento di persone. L’area CIVETS e la BRIC presentano realtà consolidate nelle quali nessun imprenditore ha paura di investire con profitto, né di viverci nel quotidiano. La crescita dei mercati interni di tanti Paesi prima poveri e la lotta leale degli Stati ad attrarre investitori esteri creano condizioni favorevoli all’intrapresa.
Con questi nuovi punti cardinali, gli Stati occidentali entrano inesorabilmente in crisi allorquando pretendono di mantenere il welfare esasperando la leva fiscale senza eliminare gli sprechi pubblici, pensando che le casse dello Stato siano autonome rispetto all’economia dello Stato stesso.
In Italia, questo sinallagma si è totalmente perso e va recuperato rapidamente prima di vivere momenti di disperazione ellenica.
L’altro grande fattore di costrizione a pensare ad un “nuovo ordine fiscale mondiale” oltre alla globalizzazione, è la velocità del cambiamento che, nell’era della internet generation, ha assunto una nuova dimensione.
Evasione, tassazione, globalizzazione: la necessità di un’evoluzione culturale nella lotta all’evasione fiscale appare quanto mai impellente. L’economia reagisce con un’esportazione dei sistemi di produzione in altri Paesi. In Italia, la delocalizzazione è tornata prepotente.
Oggi, però, non siamo più di fronte ad una delocalizzazione produttiva, ma ad un vero flusso migratorio stabile verso Nazioni come Lettonia, Romania, Marocco e simili, che mantengono condizioni produttive molto più favorevoli.
In Italia, inoltre, si sta vivendo anche una “delocalizzazione da complessità” con emigrazione di imprese ed imprenditori soprattutto verso Gran Bretagna, Irlanda, Svizzera, Austria e Spagna.
Molti imprenditori dei servizi finanziari italiani sono emigrati a Londra e svolgono attività in Italia facendo i pendolari e vivendo totalmente a Londra e dintorni.
Sono centinaia i banker e gli immobiliaristi italiani che vivono a Londra ed in Italia non mettono più piede, se non per far visita alle vecchie madri. Sottraendo non solo gettito, ma ricchezza tout court.
Nella manifattura leggera, il fashion, l’Eldorado, è senza dubbio la Svizzera, nella quale molte case di moda hanno trasferito il proprio quartier generale.
Si intenda che le tasse si pagano in misura quasi equivalente a quella italiana, ma con sistemi cosi semplici e certi da permetterti di rilassarti e di non essere ostaggio di magistrati, Guardia di Finanza ed Agenzia delle Entrate perché manca un quadro di regole certe che consente sconfinamenti e degenerazione di potere.
Tutto ciò porta alla necessità ed all’urgenza di compiere un salto in avanti nella lotta all’evasione che passa attraverso tre cardini irrinunciabili:
1. riduzione della tassazione;
2. semplificazione della tassazione;
3. certezza del diritto fiscale;
La riduzione della tassazione è senza dubbio l’arma più potente per ridurre l’evasione fiscale in tutte le forme perché spinge il cittadino a considerare ragionevole il tributo dovuto e versato allo Stato.
Un riduzione di 20 punti percentuali di tassazione, ad avviso di chi scrive, porterebbe ad un aumento di gettito doppio in quanto stimolerebbe i consumi e gli scambi e per diretta via farebbe crescere in maniera esponenziale il gettito IVA.
In via indiretta, uno shock di tale manovra “scongelerebbe” i risparmi con un aumento netto della propensione al consumo di beni durevoli da parte della popolazione, alimentando un nuovo gettito di imposte dirette ed indirette.
Sarebbe una manovra che ridurrebbe anche comportamenti evasivi in quanto il “punto fuga” si allontanerebbe inesorabilmente, e con esso la necessità di pianificare azioni di difesa contro l’oppressore feudale che non sarebbe più tale, del resto.
Ma occorre una riduzione non simbolica. Vera e consistente. Finanziata da subito con l’ampliamento della base imponibile di attuali pezzi di economia italiana esclusi incredibilmente dalla tassazione ed oggi legittimamente esentasse! Cosa che ha dell’incredibile. Nei dettagli di tali elementi, vi è un’ampia dissertazione nel mio recentissimo libro “Evasione fiscale – parola alla difesa!” di quali pezzi di economia oggi esclusi vadano, invece, aggregati alla base imponibile per aumentare il gettito fiscale ed alleggerire gli attuali contribuenti.
La semplificazione della tassazione rappresenta, probabilmente, la vera rivoluzione che in Italia potrebbe cambiare le sorti del rapporto cittadino-Stato. Potrebbe essere realizzata con una semplicità sconcertante in virtù di una considerazione, invero, assai banale. Il percorso che ha portato all’attuale sistema impositivo ha fatto si che con “tre” imposte si realizzi il 98% del gettito fiscale. Quindi, le restanti 334 accumulano il 2% di gettito. Oltretutto, gli oggetti tassati sono solo “tre”: patrimonio, reddito e scambi. Il resto sono oneri concessori, talvolta inspiegabili, imposte di registro ed una selva di addizionali che sfiorano il ridicolo per la vetustà del motivo impositivo e per la forma arcaica di prelievo. Sono, quindi, inefficaci.
Il gettito di molte di queste 334 imposte, se non di tutte, è di gran lunga inferiore al costo di imposizione (uffici dedicati, conti di tesoreria, truppe repressive, ecc.). Una perdita secca per lo Stato.
Basterebbe accentrare in queste tre imposte il nostro sistema impositivo ed otterremmo più “gettito netto” a favore dello Stato, realizzando una poderosa semplificazione che potrebbe, a sua volta, consentire una riduzione della spesa pubblica e, quindi, del fabbisogno statale.
La semplificazione della tassazione porta come conseguenza un altro cardine del rapporto tra cittadino e Stato: la certezza del diritto fiscale.
Difficile parlare di certezza del diritto fiscale in Italia quando non vi è certezza del diritto tout court. Qui occorre dire che, oltre al legislatore, spesso distratto e mai voglioso di generare riforme organiche, la giurisprudenza, nel corso del tempo, ha allargato all’inverosimile le fattispecie su cui agire e punire mediante i lavori di analogia giuridica e concorso, fino ad arrivare ad un quadro giuridico del tutto alla mercé degli addetti ai lavori dove non v’è certezza di nulla. In campo civile, penale e, naturalmente, fiscale.
Tuttavia, l’ardire e l’ambizione di proporre soluzioni operative mi portano ad affermare che, nel fisco, si può raggiungere rapidamente il concetto di certezza nel momento in cui si fissano con precisione percentuali, tempi e sanzioni dell’imposizione e delle multe ad esso connessi. Semplice se si eliminasse l’interpretazione dell’Amministrazione Finanziaria cosi come è stato fatto per la compilazione delle dichiarazioni dei redditi. Estendere tale tecnica vincente per chiarezza ed univocità a tutte le tasse che si pagano, o che si dovrebbero pagare, in Italia rappresenterebbe il miglior modo per abbattere non solo il contenzioso che si genera, ma anche quel senso di “sevizia” e “abuso di potere” che spesso esercitano, senza alcun risultato apprezzabile, i dipendenti pubblici che agiscono per combattere l’infrazione (Agenzia delle Entrate, Equitalia, Guardia di Finanza).
Mi viene in mente sempre la scena dello yacht di Flavio Briatore quando vi sono saliti i militari della Guardia di Finanza per effettuare una “verifica” ed hanno accertato non si capisce cosa precisamente.
Non sarebbe stato più facile decidere che “il parcheggio” dei natanti costa “x” euro al giorno, come si fa per le strisce blu nelle città e risolvere all’origine il problema senza violare diritti fondamentali dei cittadini che si vedono entrare militari in casa senza motivo, come all’epoca della dittatura Mussoliniana?
Riduzione delle tasse, semplificazione e certezza del diritto fiscale potrebbero consentire all’Italia di beneficiare della globalizzazione e diventare teatro di nuovi investimenti esteri riducendo l’esecrabile fenomeno dell’evasione fiscale, che non è la causa dei nostri mali, ma solo uno dei tanti effetti distorsivi di una macchina statale ormai insostenibile.

Giuseppe Incarnato
Amministratore Delegato FSA Holding

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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