Abolire il bicameralismo

Paolo Natale

Il risultato di questo tipo di sistema di voto è, paradossalmente, quello di contraddire il suo stesso obiettivo, quello, cioè, di favorire la governabilità di una forza politica regalandole la stabilità attraverso il premio di maggioranza in un lato del Parlamento, dal momento che gliela nega, di fatto, nell’altro ramo, a meno di un successo talmente straordinario foriero di vittoria con qualsiasi tipo di legge elettorale.

Dopo i risultati elettorali dell’ultima consultazione, che ha prodotto il consueto tasso di ingovernabilità, con maggioranza soltanto in uno dei due rami del Parlamento, torna prepotente il tema della modifica della legge elettorale attuale, meglio nota come “Porcellum”. È una legge che, come ben esprime il nomignolo coniato proprio da uno dei suoi promotori, il leghista Calderoli, sembra venir ora disdegnata da tutte le forze politiche, di destra o di sinistra, di maggiore o minor appeal elettorale, perfino dai suoi proponenti. E che, ovviamente, nessuno è riuscito a cambiare, nonostante i buoni propositi dichiarati. Ma sarà poi vero che questo sistema di voto produca soltanto nefandezze e non contenga forse qualche elemento positivo, o utile?
È forse opportuno fare un passo indietro preventivo per cercare di capire di cosa si parla quando si affronta il tema della legge con cui i cittadini sono chiamati alle urne. Tra i politologi e gli ingegneri elettorali, l’attuale dibattito sulle conseguenze dei sistemi elettorali sulla configurazione del Parlamento e sul tipo di Governo del Paese è, nel contempo, molto acuto e approfondito, ma poco noto e di ardua comprensione pubblica.
Così, nella vulgata politica e giornalistica, è forte la tendenza alla semplificazione concettuale. La più frequente di queste semplificazioni è così riassumibile: la governabilità di un Paese viene garantita da un sistema di tipo maggioritario, la rappresentatività si garantisce, viceversa, con quello proporzionale. Secondo questa ben nota classificazione di base, si potrebbe dunque affermare che nei sistemi maggioritari prevale l’obiettivo di governare, in quelli proporzionali quello di rappresentare.
Pur essendo utile per sottolineare gli obiettivi di fondo di ciascuno dei due sistemi, e per questo largamente utilizzata, la classificazione presenta numerosi problemi: innanzitutto, la sua incapacità di descrivere correttamente tutti i sistemi elettorali esistenti (molti Paesi adottano sistemi cosiddetti misti, come nel caso italiano nelle tre elezioni tenutesi tra il 1994 ed il 2001, il cosiddetto “Mattarellum”); in secondo luogo, la sua mancanza di chiarezza nel significato concettuale degli obiettivi stessi (ad esempio, cosa si intende per rappresentatività?, quella geografico – territoriale, quella socio – demografica, oppure unicamente quella “elettorale”? Per non parlare del concetto di governabilità, il cui significato può, ovviamente, essere molteplice); infine, ma non per ultimo, poiché non è affatto detto che i due sistemi siano realmente quelli che meglio garantiscono l’obiettivo di massima che ci si è prefissi. Numerosi e molto più importanti sono gli elementi che vengono introdotti in ciascuna legge elettorale, e sui quali le scelte adottate possono portare a risultati quasi antitetici rispetto a quelli previsti.
Così, ad esempio, proprio nel Porcellum, di fatto un sistema di tipo proporzionale, sono state introdotte tre importanti eccezioni proprio al proporzionale: il premio di maggioranza al partito o alla coalizione vincente, una soglia di sbarramento e, infine, un sistema differente per uno dei due rami del Parlamento, quello per il Senato, dove il voto è proporzionale, ma esistono tanti premi di maggioranza quante sono le regioni italiane.
Il risultato di questo tipo di sistema di voto è, paradossalmente, quello di contraddire il suo stesso obiettivo, quello, cioè, di favorire la governabilità di una forza politica regalandole la stabilità attraverso il premio di maggioranza in un lato del Parlamento, dal momento che gliela nega, di fatto, nell’altro ramo, a meno di un successo talmente straordinario foriero di vittoria con qualsiasi tipo di legge elettorale.
In verità, i termini del problema (governabilità vs. rappresentatività) sono in generale mal posti e, nella realtà empirica, non ci sono in alcun modo gli estremi per accreditare a ciascuno dei due modelli le potenzialità per raggiungere i propri specifici obiettivi, se non nel caso-limite del proporzionale puro (e anche in questo caso con alcune riserve).
Ma il sillogismo tra proporzionale e rappresentatività non è sempre del tutto evidente, come abbiamo visto nel caso del Porcellum. Entrano spesso in gioco altri elementi, capaci di indirizzare il tipo di conversione dei voti in seggi: la soglia di sbarramento, l’eventuale premio di maggioranza, il disegno delle circoscrizioni, la loro numerosità e la loro ampiezza, il numero di eletti in ciascuna circoscrizione e così via.
Anche rimanendo ancorati soltanto al nostro Paese, si è chiaramente notato, durante la prima Repubblica, che il proporzionale (quasi) puro non aveva come reale conseguenza l’ingovernabilità, riconducibile, molto spesso, ai litigi interni al partito-guida, la Democrazia Cristiana. Viceversa, il maggioritario di collegio di Mattarella ha avuto spesso una stabilità molto altalenante, come ben sa Prodi.
Gli anni del Porcellum, poi, un proporzionale con premio di maggioranza, hanno permesso una governabilità probabilmente maggiore della precedente e le crisi di Governo sono state, di fatto, la conseguenza di forti litigi interni (Berlusconi con Fini) o di una legge “monca” nella configurazione del Senato, che ha premi di maggioranza a livello regionale e non nazionale.
Al contrario dei sistemi maggioritari, che prevedono limitate possibili varianti, quelli proporzionali presentano una serie pressoché illimitata di differenziazioni, riguardanti:
il calcolo utilizzato per l’allocazione dei seggi;
l’introduzione di una “soglia di sbarramento” esplicita, sotto la quale i partiti non hanno diritto a partecipare all’assegnazione dei seggi;
la presenza della soglia di sbarramento a livello locale (in ciascun distretto) ovvero nazionale, oppure entrambe;
il possibile “apparentamento” tra diverse liste in un unico cartello;
la definizione del numero e dell’ampiezza dei confini dei distretti elettorali.
La combinazione di tutti questi elementi dà luogo a sistemi proporzionali che hanno conseguenze sull’esito del voto, in termine di allocazione dei seggi in Parlamento, tra loro affatto differenti. Proprio a causa di tutte queste possibili varianti, il proporzionale è il sistema maggiormente adottato nel mondo, come numerosità, ed è in seconda posizione come quantità di popolazione coinvolta.
Come sottolineavo prima, il Porcellum rappresenta proprio una delle possibili varianti del proporzionale e, tra l’altro, non era concepito come è attualmente. La sua formulazione originaria prevedeva il premio di maggioranza nazionale in entrambi i rami del Parlamento. È stata rigettata a causa dei rilievi avanzati da alcuni costituzionalisti di area di centro-sinistra, i quali hanno sottolineato come essa potesse essere considerata anti-costituzionale, dal momento che prevedeva un premio di maggioranza nazionale al Senato, che, invece, prevede l’elezione dei Senatori a livello regionale. Lungi dal cambiare un impianto che, al contrario del Mattarellum, favoriva chiaramente il centro-destra (notoriamente più debole nel maggioritario di collegio), il Governo Berlusconi dell’epoca introdusse dunque l’anomalia del premio a livello regionale, snaturando, di fatto, l’intero impianto.
L’aspetto dell’ingovernabilità del Paese è stato imputato alla legge elettorale, in conseguenza della crisi al Senato, dove i margini della maggioranza sono molto risicati. Questo elemento è certo ascrivibile al sistema di voto, ma proprio a causa della trasformazione del premio di maggioranza da nazionale a regionale. Alla Camera il premio di maggioranza ha permesso, in realtà, al Governo di legiferare tranquillamente pur in presenza di una vittoria, nel 2006 e nel 2013, anche di una sola manciata di voti.
Se si fosse votato allo stesso modo anche al Senato, si sarebbe formata una maggioranza identica. In caso di 2 o più coalizioni o partiti molto forti, c’è ovviamente il rischio che non sia la stessa a vincere sia alla Camera, sia al Senato. Ciò, però, accade non a causa della legge elettorale, ma perché il Paese è diviso. E nessuna legge può porvi rimedio, nemmeno quella tedesca: qui, qualche anno fa, sono stati costretti ad adottare il sistema di governo della Grosse Koalition. L’unica possibilità per evitare queste situazioni è quella di abolire il bicameralismo, dando semplicemente il premio di maggioranza alla coalizione vincitrice delle (uniche) elezioni.
Altri due aspetti sono stati favoriti dall’odierno sistema di voto: la maggiore rappresentatività in Parlamento delle diverse aree territoriali e la maggiore decisività di tutti i voti. Con il maggioritario di collegio, venivano esclusi dal Parlamento rappresentanti delle regioni nelle quali è prevalente una certa area politica (il centro-sinistra nelle regioni rosse, il centro-destra nel profondo Nord e in Sicilia). Inoltre, il voto appariva “utile” solamente nei collegi in bilico, quelli marginali; negli altri, il peso del voto individuale era praticamente nullo. Un’ultima conseguenza positiva è stata la semplificazione della scheda elettorale, che ha avuto l’effetto di diminuire drasticamente i voti bianchi e nulli.
Ovviamente, appare utile elencare anche gli elementi negativi. I principali sono, da una parte il ricordato premio di maggioranza regionale al Senato, dall’altra la mancanza di possibilità di scelta tra candidati. Per quanto riguarda quest’ultimo aspetto, occorre ricordare che anche precedentemente le liste al proporzionale erano bloccate, e quelle al maggioritario erano comunque decise dai partiti. È bene, in ogni caso, ripristinare il sistema delle preferenze anche locali, non foss’altro che per ridare slancio alla campagna elettorale.
Il problema vero risiede, a mio parere, non tanto nel sistema scelto, quanto nella configurazione dell’offerta politica esistente nei diversi Paesi, da una parte, e nei rapporti di forza delle diverse aree elettorali sugli elettori, dall’altra. Supponiamo che domani si torni alle urne; se si votasse di nuovo con il Porcellum e con un’unica Camera, avremmo sicuramente una maggioranza in grado di governare. Basta che alla coalizione vincente si applichi la clausola del 55% dei seggi.
Se, invece, si votasse con un maggioritario di collegio, con il modello francese, potremmo arrivare ad una situazione di stallo, di parità, con il centro-destra, il centro-sinistra e il Movimento 5 Stelle che si aggiudicano un terzo dei seggi ciascuno.
E chi vieterebbe poi la confluenza dei partiti minori (come quello che fa capo a Monti) in quelli più forti, con accordi di ingegneria politica, per vincere nei collegi incerti, salvo poi uscire da quella coalizione una volta eletti? Come è peraltro spesso accaduto quando si votava con il Mattarellum. Non siamo in Germania, o in Inghilterra, dove la cultura etico-politica inibisce questi comportamenti. Schroeder governò l’intera legilsatura, negli anni ‘90, con un solo seggio di maggioranza. In Italia sarebbe pressoché impossibile durare più di uno o due anni, tra continue e pressanti richieste dei gruppi minori, di cui il secondo Governo Prodi è facile testimone.
Dunque, il problema principale non è tanto il tipo di sistema elettorale da adottare, bensì quello di maturare una proposta politica chiara e condivisa, capace di attirare a sé la maggioranza (relativa o assoluta) degli elettori. Nel 2001 e nel 2008 Berlusconi avrebbe vinto con qualsiasi tipo di legge si fosse votato, grazie al forte consenso goduto nel Paese. Oggi, chi riuscirebbe nell’intento?

Paolo Natale
Professore Associato di Metodologia della ricerca, Analisi dei Sondaggi
e Tecniche della ricerca sociale Facoltà di Scienze Politiche dell’Università di Milano;
Collaboratore di IPSOS

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