Vanderbourg

Pina Lalli

Dal mio piccolo, modesto punto di osservazione guardo talora impotente l’impoverimento progressivo delle risorse che socialmente investiamo nella formazione e quindi nel rinnovamento della nostra comunità.

“L’indigenza umilia, la grandezza ubriaca. Lontano dalle stalle e dalle corti, alla saggezza piace la vita”

Il mio lavoro di docente universitaria mi garantisce il privilegio di incontrare ogni giorno, ogni anno, ogni settimana, decine e decine di giovani studenti, dotati di aspirazioni ed atteggiamenti diversi, il più delle volte accomunati dalla voglia di fare ed imparare. Da loro imparo io stessa, ascolto con interesse nuove idee e suggerimenti critici e, soprattutto, cerco di trarre energia per comprendere se e come riuscire a svolgere meglio il mio lavoro. Così, mi sento offesa io per prima quando la stampa riprende, quasi con sadico piacere, le parole avventate di qualche politico “bamboccioni”, “schizzinosi”, come se si trattasse di colpa individuale o di una coorte d’età! Altrettanto ipocrite e fittizie appaiono – almeno a me – le espressioni in apparenza opposte diventate mainstream mediatico circa le soluzioni presentate quale panacea di tutti i mali e relative al ringiovanimento necessario delle classi dirigenti ed imprenditoriali, quasi fosse – di nuovo – solo una questione di coorte d’età.
Dal mio piccolo, modesto, punto di osservazione, guardo talora impotente l’impoverimento progressivo delle risorse che socialmente investiamo nella formazione e quindi nel rinnovamento della nostra comunità. Risorse non solo finanziarie, ma anche culturali. Sebbene, per me, i giovani studenti rimangano uno dei pochi aspetti capaci di motivare o dare un senso al lavoro che per mia fortuna svolgo, da qualche tempo assistiamo ad un preoccupante calo di interesse effettivo per questa funzione didattica. Da una parte, sembrerebbe il contrario: nelle grandi dichiarazioni pubbliche lo studente sembra essere diventato il nuovo centro delle nostre organizzazioni accademiche e si moltiplicano i meccanismi e le noiose ed assillanti procedure di valutazione e di customer satisfaction le quali, inseguendo le mode manageriali, diventano anche indicatori di performance utili per la distribuzione delle risorse. Dall’altro, i docenti fanno fatica a capire quale sia davvero il loro lavoro, stretti fra le morse di compiti talvolta persino contrastanti, i quali sul piano quantitativo aumentano e su quello qualitativo finiscono spesso per smarrire quei significati complessi che i numeri certo non traducono. Finiscono talvolta anch’essi per condividere l’idea, perniciosa, che i giovani non vogliano più studiare e che l’Università sia diventata una fabbrica distributrice al tempo stesso di crediti (numerici, a loro volta) e di disoccupati, specie perché i giovani che abbiamo di fronte apparirebbero troppe volte annoiati, privi di voglia di studiare, un po’ imbroglioni quando cercano di copiare durante un esame o scaricare da Internet le loro tesine, renitenti a pensare, e così via. In sostanza, il “merito” (se non “l’eccellenza”), in un caso come nell’altro, diventerebbe l’unico criterio che si vorrebbe condividere (e misurare), certi che, in un modo o nell’altro i pochi “meritevoli” siano comunque capaci di trovare da soli un posto di lavoro più o meno all’altezza delle loro “meritate” competenze.
Abbiamo forse smesso di pensare in termini di collettività? Quel che conta è solo l’eccellenza o l’essere/apparire brillanti e “performanti”, competitivi, flessibili ed agili nel cogliere le opportunità migliori?
Quel che invece colpisce, nella mia modesta quotidianità di mediocre docente, ma anche nelle scelte operate da questo piccolo gruppo di giovani studenti che hanno partecipato all’inchiesta sulla disoccupazione promossa dal nostro laboratorio redazionale, è il diritto ad una normalità media, in cui non si vincano chissà quali premi d’eccezione, ma si possa, semplicemente, acquisire il diritto di partecipare ad una rete di relazioni e di bisogni condivisi col gruppo dei propri simili: l’idea, ad esempio, di avere una propria famiglia, una casa, dei figli, uno spazio di vita fiero di essere tale. Quanto sono lontani i miti imposti dalla subdola legge del liberismo ideologico di cui siamo impregnati in questo immaginario di crisi globalizzata in cui ci hanno immerso politici e managers, complice forse inconsapevole un certo giornalismo a caccia di episodi di mala-amministrazione e privo di attenzione per la vita “normale” di persone “normali” (se non nei cosiddetti real show, nei quali li si erge a stereotipi di protagonismo)!
Ma perché mai dovremmo inseguire soltanto le correnti della concorrenza competitiva in cui solo pochi riescono, dimenticando l’esistenza di una collettività, il diritto di tutti e non solo dei pochi supposti meritevoli (o potenti)? L’antico poeta Orazio aveva cantato il valore e l’importanza essenziale di un’aurea mediocritas, preziosa saggezza che aiuta a tenerci lontani tanto dallo squallore della povertà quanto dalla ricchezza di una reggia che suscita invidia. Prezioso valore che ci rende forti e coraggiosi di fronte alle avversità, suggeriva Orazio, e come commenta, significativamente, la nostra giovane cinese nel suo testo.
L’espressione di Vanderbourg ispirata ad Orazio posta a titolo di questo breve contributo racchiude forse l’insegnamento che gli studenti in questi anni mi hanno regalato nel contesto di un’Università pubblica ed aperta: al di là del persistere dei privilegi in nome dell’eccellenza meritevole o delle relazioni di forza, dateci l’opportunità di poter vivere una vita degna di questo nome.

Pina Lalli
Professore Ordinario Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali,
Università Alma Mater Studiorum di Bologna

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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