Il progresso attraverso antichi modelli

Adelfio Elio Cardinale

Occorre ricomporre i saperi e ricondurre il malato da numero a individuo, con una maggiore percezione dei bisogni dei pazienti. Riposizionare la persona al centro della relazione di cura, con un recupero autentico delle antichissime radici umanistiche della medicina, fondate su rispetto, ascolto, spirito critico, speranza, solidarietà.

Un linguaggio nuovo che vuole apparire moderno e aggiornato. Oggi i cittadini – e anche le matricole di medicina e professioni sanitarie – prendono conoscenza e impattano con parole nuove che inondano il campo dell’«arte» di Ippocrate, ma che in realtà appaiono quasi sempre estranee e fuori posto.
Il paziente è chiamato utente o consumatore; i camici bianchi divengono provider; gli ospedali aziende, con a capo un manager; si propone la medicina dei tagliandi. Parole incomprensibili ai più, come day-surgery, triage, stroke unit, stakeholder.
La relazione medico-paziente è frantumata e la scienza medica si trasforma in una specie di transazione commerciale. Il sanitario appare quasi come un commerciante rivenditore e il malato un acquirente compratore.
Ma questa è medicina? Si vuole un ritorno alla medicina paternalistica? Certamente no. Ma, di sicuro, questa nobile e antichissima professione, non può essere ridotta ad algidi algoritmi, tecnologie e procedure amministrativo-ragionieristiche, attraverso prefissati manuali operativi.
Ha affermato di recente Vladimiro Zagrebelsky su La Stampa che “Il diritto alla salute – intesa come il più elevato livello dello stato di salute raggiungibile dalla persona – è l’unico diritto che la Costituzione qualifica come fondamentale”. La salute si consegue e si tutela in un complesso di realtà diversificate, evidenze scientifiche e cooperazione sociale. Il tutto concretizza diversi aspetti del concetto “salute”, ove si integra il valore aggiunto di soddisfazione psicologica, effettiva efficacia ecologica, di incremento di quel generale stato di “completo benessere fisico mentale e sociale” della popolazione, che, secondo la targa posta dinanzi al Ministero costituisce l’essenza stessa della salute.
Una sanità frazionata e tecnocratica. Negli ultimi decenni la medicina è evoluta in organizzazioni sempre più complesse. Nel nostro Paese, oltre i medici e chirurghi, esistono 29 professioni sanitarie, 64 tra specializzazioni e discipline di perfezionamento, onerose catene gestionali e amministrative.
La ricerca scientifica biomedica ha raggiunto straordinari traguardi di sviluppo tecnico, chimico-fisico, elettronico, informatico, genetico, nano-sperimentale. L’epoca del post-umano, con una vera e propria medicalizzazione dell’esistenza. Il corpo considerato, in maniera riduzionistica, un assemblaggio di meccanismi che si possono riparare, ove il complesso spirituale dell’uomo viene spesso considerato menzogna o eccedenza.
Occorre ricomporre i saperi e ricondurre il malato da numero a individuo, con una maggiore percezione dei bisogni dei pazienti. Riposizionare la persona al centro della relazione di cura, con un recupero autentico delle antichissime radici umanistiche della medicina, fondate su rispetto, ascolto, spirito critico, speranza, solidarietà.
Vien d’obbligo porsi la domanda se gli attuali metodi di formazione del medico, rappresentino sempre un progresso, e se i corsi di studio risvegliano – specie nelle nuove generazioni – l’attenzione verso il mondo della sofferenza, costruendo un medico sapiente e generoso, sensibile alla sofferenza altrui in forza di una reciproca plurimillenaria alleanza con il malato, attraverso il dialogo e l’ascolto.
Il malato è una persona la cui dignità e libertà vanno costantemente rispettate ed amate. La medicina contemporanea, quasi sempre intesa e praticata come professione veloce e intensa, finisce troppo spesso per essere inquadrata nell’ottica del business, considerata in una visione piuttosto mercantilistica. La salute entra nel paradigma del profitto. Dunque una medicina senz’anima.
Una malattia è come un labirinto senza uscite, nel quale ci si perde. Ma quando l’appello viene direttamente dal medico – che misura la forza di un paziente anche solo in uno sguardo e che della capacità di ascoltare e capire ha fatto una disciplina scientifica – ecco che si può mettere in moto un meccanismo dagli effetti straordinari. La speranza, quella che si accende o si spegne in ognuno di noi. La speranza non è solo un sentimento: è anche una cura. L’esito di una malattia è sempre incerto e, in questa incertezza, bisogna alimentare una reazione positiva.
Ora, anche una ricerca dell’Università di Boston cerca di modificare la prassi dei medici anglosassoni, rilevando che, nel malato, la speranza può divenire assai importante come terapia, in quanto voglia di reagire e ottimismo innescano processi di miglioramento.
A conferma di queste necessarie modifiche per una buona medicina, fondata anche sulle medical humanities, emergono prassi e settori nuovi: medicina personalizzata, medicina di genere, medicina di iniziativa, medicina narrativa.
Oggi l’alleanza plurimillenaria tra medico e malato si è rotta. Malattia e dolore sono un tema globale e simbolico, non soltanto anatomo-patologico. L’accompagnamento umano, psicologico, affettivo e spirituale (che si sintetizzano nella parola empatia) è primario. È necessario il ritorno alla medicina umana.
Ricordiamo il profondo e sapiente ammonimento di Jacques Maritain, capace di rappresentare la bussola perenne nell’arte medica e nel rapporto con il paziente, debole, sofferente, indifeso. L’uomo – affermava il filosofo – non è soltanto un mezzo, ma è ben più un fine. La dignità della persona umana non vuol dire nulla se non significa che, per legge naturale, la persona umana ha il diritto di essere rispettata, è soggetto di diritto e possiede diritti. Vi sono cose che sono dovute all’uomo per il fatto stesso che è uomo.
Il cittadino infermo, l’uomo fragile e indifeso è e rimarrà sempre il principale attore all’interno del percorso medico e sanitari.

Adelfio Elio Cardinale
Sottosegretario di Stato Ministero alla Salute

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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