Un problema di giustizia

Maria Antonietta Farina Coscioni

I sei Ospedali Psichiatrici Giudiziari (OPG) esistenti in Italia sono – non c’è altra definizione – discariche nelle quali ci si libera di persone ritenute fastidiose, emarginati tra gli emarginati, condannati a pene che possono non estinguersi mai.

Credo che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, abbia ben “fotografato” la situazione quando, nel corso del convegno intitolato “Giustizia! In nome della legge e del popolo sovrano”, tenutosi il 28 luglio scorso, ha denunciato, con la forza della sua autorevolezza e la solennità del luogo (la sala Zuccari del Senato), una realtà, quella carceraria, che “ci umilia in Europa e ci allarma per la sofferenza quotidiana di migliaia di esseri umani”. Ha espresso anche un sentimento carico di misericordia quando ha parlato dell’“estremo orrore dei residui ospedali psichiatrici giudiziari”, strutture “pseudo-ospedaliere che costituiscono una realtà inconcepibile in qualsiasi Paese appena civile”. Questa realtà è stata ignorata per anni. Volutamente. Colpevolmente. I sei OPG esistenti in Italia sono – non c’è altra definizione – discariche nelle quali ci si libera di persone ritenute fastidiose, emarginati tra gli emarginati, condannati a pene che possono non estinguersi mai: dipende, infatti, dalla valutazione del magistrato stabilire se quella persona abbia superato e vinto i suoi problemi mentali e si possa avviare un percorso di reinserimento nella società. Il magistrato, di sei mesi in sei mesi, può stabilire che quella persona debba continuare a restare ristretta, anche se le perizie dei medici sanciscono che quel percorso può essere avviato. Nelle mie visite ispettive periodiche all’interno degli OPG, ho incontrato persone condannate per ubriachezza, rissa, schiamazzi – reati che, solitamente, comportano pene di qualche mese – ristrette da anni. Peggio: alcuni giorni fa, visitando l’OPG di Montelupo Fiorentino, ho appreso di pazienti-detenuti di origine ligure che dovrebbero essere dimessi, ma non lo sono “semplicemente” perché la Regione Liguria sostiene di non disporre delle risorse economiche per assicurare loro l‘assistenza necessaria in una struttura sanitaria o in una comunità.

Oppure – e qui si rasenta l’assurdo – ho ritrovato un paziente che ha lui stesso preferito tornare nell’OPG: era stato dimesso, gli avevano trovato un posto in una comunità in Liguria, la sua Regione, ma, dopo qualche giorno, ha fatto richiesta di essere internato un’altra volta: a Montelupo si sentiva più libero! Le regole ferree della comunità erano insopportabili, gli impedivano, persino, di fumare una sigaretta! Nel corso della presentazione del mio libro, “Matti in libertà”, nel quale racconto come il percorso interrotto della legge Basaglia sia ricaduto sulle vittime innocenti di un iter legislativo che non ha cancellato gli OPG, e raccolgo storie e sofferenze di internati, delle loro famiglie e anche degli operatori, credo che Adriano Sofri abbia colto un punto importante: il 23 marzo di quest’anno, il Ministro della Salute, Ferruccio Fazio (un medico, peraltro), rispondendo ad una delle tante interrogazioni presentate in materia, ha illustrato “i primi provvedimenti” adottati; ha aggiunto che “prevedono un primo sfoltimento del carico di riferimento”. Ripeto, perché c’è da rimanere increduli, anche a voler tener conto della “fantasia” (chiamiamola così) che il “burocratese” dimostra di possedere: “carico di riferimento”. Così vengono definiti, in un atto ufficiale del Governo quale è la risposta ad un’interrogazione, le persone rinchiuse in una cella di OPG.

Quelle persone non vengono solo ristrette in celle spesso umide, fatiscenti, nelle quali non dovrebbero essere tenute neppure le bestie, in una promiscuità intollerabile ed incredibile. Non solo sono affidati all’assistenza, ammirevole, offerta da sanitari e volontari con i pochi mezzi a disposizione. Sulla loro e sull’altrui incolumità vegliano agenti di custodia mandati anche loro allo sbaraglio: non possiedono alcuna preparazione e imparano sul “campo” come gestire una persona che presenta disagi mentali. Queste persone vengono letteralmente spossessate della loro identità, non sono più donne e uomini, ma “carico di riferimento”. Le parole, l’Italiano, non sono “solo” parole e “solo” Italiano: riflettono e rivelano abiti mentali, approcci, sensibilità ed indifferenze. Quel “carico di riferimento” costituisce davvero un elemento che spiega come poi gli OPG siano quello che sono.

Di recente, una delegazione di Psichiatria Democratica, guidata dal segretario Lupo e dal presidente Attenasio, ha formulato alcune proposte, “semplici” e precise:
– il Governo deve fissare il termine massimo entro il quale chiudere gli OPG;
– il Presidente della Conferenza Stato-Regioni deve diventare il punto di raccordo e garanzia per la piena attuazione dei programmi di dismissione;
– devono essere individuate risorse adeguate affinché questo programma di dismissione possa essere portato avanti;
– in ogni OPG si devono costituire speciali equipe che garantiscano questo processo.

Non sarà né semplice, né facile. Tanti, e spesso imprevisti, sono gli ostacoli da rimuovere ed i problemi da risolvere. Ma è da qui che bisogna cominciare per porre fine, finalmente, a quell’“estremo orrore” di cui ha parlato il Presidente della Repubblica.

Maria Antonietta Farina Coscioni
Deputato, componente della XII Commissione Affari Sociali della Camera dei Deputati.

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