La grande paura

C’è bisogno di ragione, dialogo, pace. Non di odio e contrapposizione. Proprio questa appare la grande preoccupazione di Benedetto XVI agli inizi di questo nuovo anno.

C’è un passaggio del discorso di Benedetto XVI al Corpo diplomatico accreditato presso la Santa Sede, tenutosi il 10 gennaio 2011, che è sfuggito all’attenzione mediatica. Descrivendo alcuni principi fondamentali ed ispiratori dell’attività della diplomazia vaticana, finalizzati a promuovere il diritto fondamentale alla libertà religiosa, il Papa ha citato «in primo luogo, la convinzione che non si può creare una sorta di scala nella gravità dell’intolleranza verso le religioni». «Purtroppo – ha aggiunto – un tale atteggiamento è frequente, e sono precisamente gli atti discriminatori contro i Cristiani che sono considerati meno gravi, meno degni di attenzione da parte dei governi e dell’opinione pubblica». Ratzinger ha quindi riconosciuto un dato di fatto, evidente a tutti: tre quarti delle persone discriminate o perseguitate per motivi religiosi nel mondo sono oggi Cristiane, ma questo non si traduce affatto in un’attenzione commisurata dell’opinione pubblica. Sia ben inteso: quando si chiede attenzione per queste situazioni difficili, non lo si deve fare con l’intenzione di ravvivare scontri di civiltà e presentare le religioni una contro l’altra. C’è bisogno di ragione, dialogo, pace. Non di odio e contrapposizione. Proprio questa appare la grande preoccupazione di Benedetto XVI agli inizi di questo nuovo anno.

Il Papa, con coraggio, ha annunciato di voler ripetere il prossimo ottobre i gesti che, nel 1986 e nel 2002, compì Giovanni Paolo II, riunendo le religioni mondiali ad Assisi per invocare la pace. Questo duplice sforzo nel mantenere alta e viva l’attenzione verso i Cristiani perseguitati (come pure verso tutti i perseguitati) e di togliere ogni giustificazione religiosa all’uso della violenza, appare sempre più necessario e urgente, visti i terribili avvenimenti degli ultimi mesi. La fine dell’anno è stata infatti caratterizzata da attacchi e attentati, come quelli avvenuti in Nigeria, dove gli estremisti islamici, il 25 dicembre, hanno assaltato tre chiese di Maiduguri, nel nord-est del Paese, provocando la morte di cinque fedeli e di un sacerdote. A Jos, capitale dello stato centrale di Plateau, teatro di frequenti scontri tra Cristiani e Musulmani, alla vigilia di Natale ci sono stati 32 morti e 74 feriti per l’esplosione di sette bombe. Gravi episodi di violenza sono avvenuti nei giorni di Natale anche nelle Filippine. Una bomba è esplosa sul tetto di una chiesa cattolica dell’isola di Jolo durante la messa natalizia, ferendo sei persone. L’attacco più grave è stato però quello accaduto in Egitto, ad Alessandria: l’esplosione di un’auto carica di cento chili di tritolo e parcheggiata in via Khalil Hamada, di fronte alla chiesa copta dei Santi (Keddesin), a mezzanotte e venti minuti del primo gennaio, al termine di una funzione religiosa in occasione delle celebrazioni di fine anno a cui partecipavano circa mille fedeli. La deflagrazione ha investito la folla causando 22 morti e 79 feriti, di cui 40 versano in gravi condizioni.

Anche in Iraq, purtroppo, continuano le violenze contro i Cristiani e non si può fare a meno di ricordare quanto profetiche fossero le parole di Giovanni Paolo II, quando, già anziano e malato, scongiurò con tutta la forza che aveva ancora in corpo i governi occidentali ad imbarcarsi nella seconda guerra del Golfo e invadere l’Iraq. Ora, col senno di poi, si dovrebbe riconoscere che Papa Wojtyla aveva ragione. L’Iraq è diventato la sentina di tutti i terrorismi. I Cristiani iracheni, una comunità antichissima che ha sempre vissuto in quel Paese e convissuto fianco a fianco con i Musulmani, viene oggi fatta oggetto di attacchi. E alcuni strateghi vorrebbero creare un’enclave cristiana nel Nord dell’Iraq, sradicando le famiglie e le comunità dalle loro città. Ma il futuro dei Cristiani nell’area non può essere quello di venire imprigionati nelle riserve. Di fronte a tutto questo, Benedetto XVI ha parlato per la prima volta di una chiara «strategia di violenze che ha di mira i Cristiani». Lasciando dunque intendere che non siamo soltanto in presenza di attacchi isolati o relegabili alle situazioni dei rispettivi Paesi. C’è una strategia, e si tratta di una strategia che finisce per ritorcersi contro lo stesso Islam. Certo, non bisogna perdere la speranza. Ed è positivo che proprio dall’Iraq arrivino notizie come l’offerta concreta di aiuto ai Cristiani da parte dell’amministrazione di una regione irachena, quella di Najaf, la città santa degli Sciiti che sorge 160 chilometri a sud della capitale: «Abbiamo chiesto ai Cristiani di non abbandonare il Paese emigrando all’estero – ha detto lo sceicco Faid al-Shamri, presidente del consiglio regionale di Najaf -. La nostra amministrazione ha inviato una circolare a tutte le province affinché consentano a tutti i cittadini cristiani di trovare casa e lavoro nella zona». In sostanza, per la prima volta, una regione irachena prende ufficialmente posizione a favore dei connazionali cristiani perseguitati dai terroristi islamici di Al Qaeda, offrendo loro rifugio in nome dell’unità nazionale, valore che viene così posto al di sopra delle differenze religiose. C’è da sperare che questi gesti lungimiranti si moltiplichino e si ripetano. Perché è di questo che c’è bisogno per sconfiggere il fondamentalismo.

Andrea Tornielli
Vaticanista del quotidiano “Il Giornale”

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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