Il malato di SLA è libero di vivere?

Un corpo malato, disabile, non può diventare in nessun caso un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute, di disabilità, rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale.

La Sclerosi Laterale Amiotrofica è una grave malattia neurodegenerativa che comporta la completa paralisi dei muscoli volontari delle persone che ne vengono colpite. I 5.000 malati che in Italia attualmente convivono quotidianamente con la Sla, dunque, perdono progressivamente la loro capacità di muoversi, nutrirsi, comunicare e respirare in maniera autonoma, fino alla morte per insufficienza respiratoria. In queste fasi, però, le funzioni cognitive del malato vengono risparmiate, rimanendo così intatte. Attualmente, non sono conosciute con certezza né le cause della Sla, né, purtroppo, una terapia efficace. Da questa sintetica descrizione si evince, pertanto, come sia davvero significativo l’impatto che la malattia ha sulla qualità della vita del paziente e dei suoi familiari. La loro vita, dal momento della comunicazione della diagnosi, viene radicalmente modificata. Ecco perché uno degli aspetti più importanti, se non addirittura il più importante in assoluto, è proprio la costruzione di un adeguato percorso di continuità assistenziale per una corretta presa in carico del malato e della sua famiglia, che non vanno lasciati soli nell’affrontare la complessa gestione della malattia. La ricerca tecnologica mette oggi a disposizione del paziente Sla ausili che, seppur in maniera differente rispetto a prima, gli consentono di poter continuare a muoversi, nutrirsi, respirare e comunicare, mantenendo una qualità di vita accettabile.

Esistono poi, a livello locale, regionale e nazionale, misure legislative e fiscali di supporto economico al malato e alla famiglia. Ma un altro dei fattori determinanti è l’informazione, spesso non sufficientemente esaustiva. Non sempre, infatti, il malato e la famiglia sono informati in maniera completa e chiara su queste possibilità, così come sull’evoluzione della malattia. La Sla evolve infatti in maniera non costante e i bisogni del paziente possono variare più o meno rapidamente.Affinché essi possano venire effettivamente affrontati in maniera consapevole e soddisfatti pienamente, il malato e la famiglia devono essere i beneficiari finali di una catena assistenziale che vede coinvolto il medico di medicina generale, un’équipe multidisciplinare di specialisti ospedalieri, i servizi sociali, socio-assistenziali, le Aziende Sanitarie Locali e le associazioni di volontariato. La speranza di reperire al più presto una cura ed una terapia efficaci sono riposte nella ricerca scientifica, che negli ultimi anni ha fatto notevoli passi in avanti, come testimonia anche il numero, sempre crescente, degli studi inerenti la Sla pubblicati negli ultimi anni sulle riviste specializzate. L’obiettivo deve essere dunque quello di una ricerca translazionale, capace cioè di trasferirsi effettivamente dal laboratorio al letto del malato. In altre parole, è indispensabile non disperdere cervelli e risorse economiche.

Le varie capacità e professionalità, così come il perfezionamento e la condivisione delle strategie terapeutiche e riabilitative, sono necessarie per garantire al malato le attese ricadute positive in termini di cure e di qualità della vita. E per rendere la Sla una malattia sempre meno “orfana”. Attraverso un’adeguata assistenza, si può evitare che lo scafandro in cui si trasforma il corpo di chi ha perso le proprie funzioni motorie imprigioni un’anima che, nonostante tutto, può e vuole continuare a volare. È questo il messaggio che una società che ambisca realmente ad essere a misura d’uomo deve raccogliere e recepire. Un corpo malato, disabile, non può diventare in nessun caso un fattore di isolamento, esclusione ed emarginazione dal mondo. È inaccettabile avallare l’idea che alcune condizioni di salute o di disabilità, rendano indegna la vita e trasformino il malato o la persona con disabilità in un peso sociale. Si tratta di un’offesa per tutti, ma in particolar modo per chi vive una condizione di malattia; questa idea, infatti, aumenta la solitudine dei malati, dei disabili e delle loro famiglie ed introduce nelle persone più fragili il dubbio di poter essere vittima di un programmato disinteresse da parte della società.

Mario Melazzini
Presidente dell’Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica nazionale

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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