Sono tutti figli del ‘68

La meritocrazia è da sempre sinonimo di democrazia. La prima è uno dei corollari della seconda. La classe dirigente italiana ha in media 60 anni. Questo vuol dire che coloro che hanno il potere in questo Paese sono stati protagonisti della “Rivoluzione del ’68” o hanno vissuto il “Movimento del ’77”. Hanno combattuto il potere, ma ora ci restano saldamente ancorati. Anzi, lo hanno trasformato in casta e privilegio. Il ’68 idealista, quello che combatteva i padri, ora sistema i figli e le fidanzate dei figli. Hanno prodotto ricchi sempre più potenti e potenti sempre più ricchi. Pur essendo estremisti in ogni loro manifestazione, hanno persino fatto proprio l’aggettivo democratico, affiancandolo ai “Collettivi” che non potevano che essere democratici, così come nelle loro famose assemblee, rigorosamente democratiche. Hanno distrutto l’immagine di un paese borghese nel portafogli e nei modi di vivere. Ora, nella loro agenda politica, intendono aiutare chi non arriva a fine mese. Per vergogna ed incoerenza ideologica non hanno il coraggio di chiamarli borghesi: adesso è “ceto medio”. Gli hanno cambiato il nome. Una generazione che ritiene di essere eternamente giovane, di adeguarsi ai tempi perché loro hanno fatto il ’68, la rivoluzione. Generazione di potere arrogante e prepotente. Molti di costoro provengono da studi mediocri, senza concorrenza, con esami fatti durante le occupazioni, urlando, contestando ogni giudizio. Salvo poi, a distanza di 40 anni, farsi giudici del destino di un’intera generazione. Gruppo autoreferenziale. Nessuno ha potuto giudicarli quando sono entrati nelle Istituzioni, nei posti di potere, con infornate di assunzioni senza concorsi e senza merito. L’unico pregio che a quarant’anni di distanza si possa dare a questa generazione è di non aver imbracciato le armi. C’ha pensato il movimento del ’77. Anch’essi, ora, al potere. I contestatori per eccellenza, fino ad arrivare agli omicidi, alle stragi, ai sequestri. Hanno privato il nostro tempo degli uomini migliori.

Accusano noi quarantenni della mancanza di iniziative, di battaglie: se mai fosse vero, è il frutto di uno scippo perpetrato ai nostri danni. Scippo che perdura. Il nostro futuro è la loro attualità. Inamovibili dalle loro postazioni, non permettono un vero ricambio generazionale, non consentono, col blocco delle assunzioni, l’ingresso nelle scuole, nelle amministrazioni, nelle Università. Nemmeno in politica. Devi essere parte, servile, dell’ingranaggio. La politica è un’attività indispensabile, ma non può essere un mestiere per tutta la vita. Da Gonzales a Gorbačëv, da Tony Blair ad Al Gore, tutti hanno abbandonato il loro, non modesto, posto di potere, per fare altro e lasciare il campo. In Italia è diverso. Sono ancora in trincea a combattere per le loro idee (ce la spacciano così). Fin quando non ci sarà un ricambio generazionale, resterà “l’istituzionalizzazione del non merito”. Perché, è opportuno specificarlo, il termine meritocrazia è un’invenzione giornalistica, forse un auspicio. Il non merito, invece, è nelle leggi dello Stato. A cominciare da quella elettorale, che non consente di indicare una persona, ma una lista. Significa che il merito personale non esiste; come quando le specifiche richieste per un posto messo a concorso sono precise e inequivocabili di un solo candidato. Progredire nella professione solo con l’anzianità di servizio non è merito. Per non parlare delle assunzioni, dirette e parentali, negli enti locali. Ma è tutto legittimo. Ha forza di legge. Sdoganiamo il merito. Rendiamolo istituzionale. Legiferiamo orientando il fine della legge al premio del talento del migliore. Bisogna riscrivere le regole del sistema, scoraggiare il servilismo, l’opportunismo, l’uso e l’abuso nell’amministrazione statale di regole volte a consentire l’inganno, il raggiro, lo svilimento delle procedure e di chi crede in esse. Costoro non consentono alle generazioni future di subentrare. Almeno, si riabilitino agli occhi della storia con una vero cambiamento. Se è vero che sono rivoluzionari ce lo dimostrino coi fatti. Ce la possono ancora fare. La vita si è allungata.

Roberto Casella
Avvocato

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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