Meritocrazia, Pubblica Amministrazione e gavetta

Se l’assunzione ai posti di lavoro che richiedono specifiche e qualificate attitudini avvenisse solo per raccomandazione comparirebbero rapidamente disastri. Poiché non è così è possibile che chi viene chiamato a decidere un’ assunzione, o una promozione, valuti non tanto il merito dei candidati quanto l’ appartenenza (al partito, alla lobby …), anche attivando un meccanismo di scambio.

Nel libro di testo che ho studiato per sostenere l’ esame di diritto amministrativo, parecchi anni fa, era illustrato il c.d. principio della gavetta. Significa che al dipendente della P.A. il quale abbia dato prova di essere un buon lavoratore in una qualifica, deve consentirsi di accedere a quella superiore. Nel corso delle lezioni, il docente ironizzava affermando che, se consentiamo a ciascuno di progredire nella carriera ogni volta che si dimostra bravo in una qualifica, la conseguenza sarà che ogni dipendente riuscirà a raggiungere una posizione nella quale non sarà più in grado di dimostrare di essere adeguato. Altrimenti progredirebbe ancora. Alla fine, tutti i posti nella pubblica amministrazione saranno assegnati ad incapaci. Anche nella finzione cinematografica si è giunti a fare dell’ umorismo, proponendo la tesi che l’ unico modo per liberarsi di un dipendente che dà cattiva prova di sé in un determinato ruolo, consiste nel promuoverlo (film sul Colonnello Buttiglione che diventa Generale). L’ironia è il sale della vita ed aiuta a non prenderci troppo sul serio. Ma il problema della meritocrazia è di quelli grossi e occorre affrontarlo seriamente. Continuiamo ad insegnare ai più piccoli che si deve studiare molto, perché alla fine arriverà il premio. Non è sempre vero e si rischia di ingenerare frustrazioni. Già qualche decennio fa, dissi ad un’amica un po’ già di corda che non doveva deprimersi per il momento difficile che viveva, era giovane e il futuro le avrebbe certo riservato le soddisfazioni che meritava. Frattanto, poteva esercitarsi a definire i suoi obiettivi, perché sognare non costa niente. Non dimenticherò la sua risposta: “Chi te l’ha detto che sognare non costa niente? Pensa al dolore della disillusione”. Non voglio dire che ai bambini non dobbiamo indicare la strada dell’impegno. Solo che non mi sembra corretto blandirli con la prospettiva del premio. Coltivare le proprie capacità, dare il meglio di sé, è un obbligo morale, perché è strumento per realizzare appieno la propria personalità. Il premio può anche non arrivare, ma non per questo viene meno il valore etico dell’ impegno profuso. Questo discorso vale a livello individuale. Come società, abbiamo la necessità di avere le persone migliori in ogni ruolo. Ma gran parte delle attività professionali non richiede un’attitudine specifica. Capacità normali sono sufficienti per ricoprire molti ruoli senza produrre grossi danni. E’ anche su questo che si fonda il gioco delle relazioni clientelari. Se ogni posto di lavoro richiedesse specifiche e qualificate attitudini, chi vi accedesse solo perché raccomandato, combinerebbe rapidamente disastri. Poiché non è così, chi viene chiamato a decidere un’assunzione, o una promozione, può valutare non tanto il merito dei candidati, quanto l’appartenenza (al partito, alla lobby…), anche attivando un meccanismo di scambio. Il problema non cambia neppure se guardiamo a professioni ambite. Nell’ambiente universitario circola la battuta che il potere di un professore è dimostrato dalla capacità di portare in cattedra allievi modesti. A far vincere il concorso a cattedra ad un allievo migliore dei concorrenti sarebbero bravi tutti. Il fenomeno dell’accantonamento della meritocrazia nella progressione professionale, però, mina la società. Non c’è solo da tener conto degli effetti negativi che si producono nella vita di una persona la quale si vede preferire altri che meritano meno di lui. Occorre anche non tralasciare che ogni lavoro ha una sua dignità e dovrebbe essere assegnato a chi non solo sia in grado di farlo, ma possa riuscirci meglio di ogni altro aspirante. In questo modo, il servizio offerto sarà sempre il migliore e la società potrà davvero progredire. Non resta allora che affidarsi agli educatori, ai genitori, agli insegnanti, ai sacerdoti e ad ogni altro che si eserciti in questa difficile funzione, perché sappiano prima interiorizzare il concetto, e quindi trasmetterlo ai loro allievi. Perché un mondo migliore è possibile.

Paolo Di Marzio*
Magistrato tribunale di Napoli

 

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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