Meritocrazia, democrazia, talento e merito

Non è detto che una persona capace in un determinato campo lo sia anche in un altro, magari più complesso. Il fatto di essere stato un eccellente sportivo, un ricco e furbo imprenditore o un grande artista, non legittima nessuno a diventare per esempio Presidente della Repubblica o del Consiglio. 

L’università
Volendo parlare del principio della meritocrazia applicato al sistema universitario italiano, posso dire di avere un’esperienza più o meno equivalente a quella di un qualsiasi altro cittadino della Repubblica. Forse arricchita soltanto dal fatto che io insegno all’università, anche se in un ruolo non incardinato nelle strutture stabili: sono infatti un professore a contratto. Tuttavia posso esprimere la mia sensazione: nell’università non vige il solo merito accademico o scientifico. Si verifica invece un coacervo di diverse situazioni, condizioni ed interpretazioni dell’esperienza degli studi che, combinate tra loro, danno vita al cursus honorum. In Italia c’è sempre stata una compresenza di valori e di nepotismi, di meriti e di baronie, di spintarelle e di valorosi percorsi di ricerca. Bonificare la palude – una palude abbastanza limacciosa – è sempre stato uno dei sogni di tutti i governi, e, ancor più, degli addetti ai lavori, che si sono succeduti. Nonostante ciò, l’università italiana è una grande e gloriosa istituzione che ha dei meriti enormi ed è uno sciocco esercizio di autolesionismo e disfattismo quello di lamentarsi in continuazione dei problemi. Gli altri Paesi hanno la fortuna di avere delle università più agili, più ricche e più efficienti perché hanno strutture diverse che le sorreggono: basti pensare ai capitali privati che intervengono con generosità, oppure agli ordinamenti, molto più rigorosi del nostro.

Ma la mia considerazione finale è paradossale: se nonostante tutti questi problemi riusciamo ad avere una università con molti punti di eccellenza, immaginiamo quanto saremmo straordinari se non avessimo tutti questi guai. La categoria accademica italiana è di prim’ordine e la ricerca italiana è straordinaria, visto che all’estero funziona benissimo.

Il termine meritocrazia
E poi, questa storia della “meritocrazia”… Innanzitutto, questo termine non mi piace affatto, perché fa venire in mente un controllo del potere. Si dovrebbe invece parlare solo di democrazia, un termine che sgombera il campo da tutte le altre “crazie”. Se c’è democrazia il merito è implicito, perché è il popolo a scegliere le sue strade ed i suoi destini. Possiamo anche ritenere che non lo sappia fare, ma il fatto che sia proprio il popolo a decidere gli dà sia autorevolezza solenne che il diritto di sbagliare.

Inoltre il termine meritocrazia va interpretato e funziona solo nell’ambito a cui si riferisce il merito. Non è detto che una persona capace in un determinato campo sia anche capace in un altro, magari più complesso. Non è accettabile che si possa dire: “Io sono stato bravo a giocare a tennis, quindi ora voglio governare il Paese”. Il fatto di essere stato un eccellente sportivo, un ricco e furbo imprenditore o un grande artista non legittima nessuno a diventare Presidente della Repubblica o del Consiglio. Se, ad esempio, un grande chirurgo pretende di diventare preside alla facoltà di medicina, ha il diritto di farlo, ma non deve e non può fregiarsi di questo merito in altri campi. Non dobbiamo quindi consegnare al termine “merito” responsabilità eccessive e che non deve avere.

Il teatro
Per quello che mi riguarda, la mia migliore competenza è il mondo del teatro. E quindi pretendo che nel mio ambito il merito abbia voce. Lo pretendo e lo ottengo. Anche all’interno del mondo dello spettacolo esiste il merito! E non sto parlando della “crazia”, sto parlando proprio di merito! Qui, infatti, non si tratta di comandare, ma solo di farsi valere, perché nel nostro ambiente comandano gli spettatori che comprano il biglietto al botteghino. Ci sono tante di quelle persone che si auto proclamano artisti e che per il solo fatto di avere una vocazione, una voglia, pretendono di essere scritturati, di fare i protagonisti nel cinema, di essere ascoltati… questa è una grande sciocchezza! Il solo fatto di avere voglia di fare un mestiere non autorizza a pretendere di farlo. E lo spettacolo è un mestiere faticoso: devi farti valere, e non solo con il merito, ma col talento, se lo possiedi. Infatti si diventa meritevoli quando si riesce far valere il proprio talento. Riuscire ad essere protagonisti di una buona interpretazione di Pirandello non è solo merito, è merito di saper far valere il talento e di averlo maturato con lo studio e la fatica: il pubblico ti applaude per questo e in quel momento la tua carriera fa un balzo in avanti.

La televisione
E poi c’è lo spettacolo televisivo, dove il talento, spesso, troppo spesso, non conta più perché i meccanismi e la semiotica della comunicazione di massa legittimano benemerenze che altrimenti non esisterebbero. In televisione uno vale l’altro. In televisione spesso, troppo spesso, non conta il talento. In televisione quello che conta è solo la ripetitività della tua immagine. Spesso, troppo spesso.

Questo aspetto è evidente soprattutto nei cosiddetti “reality show”. Le persone che vi partecipano sono competenti in qualcosa? Non sanno fare, generalmente, niente che attenga alla vita dello spettacolo o della comunicazione, ma, anche alla vita e basta, proprio niente. Ecco allora che il non saper fare niente diventa un valore. E un meccanismo che è stato inventato per rassicurare milioni di persone, le masse che guardano la televisione. Bisogna dir loro: “Non sapete fare nulla? Bravi! Meno sapete fare, meglio è! Guardate questi qui.”

Questo è il perpetrarsi di un equivoco sul nuovo realismo. De Sica diceva che il neorealismo avrebbe dovuto essere esportato a tutti i generi di spettacolo: alla musica, al teatro, al cinema… aveva ragione, perché in quel momento storico la gente “presa dalla strada” era un veicolo della ricerca della verità spontanea. Ma si trattava di un episodio del tutto transeunte, passeggero che non doveva perpetrarsi, che non aveva il fine di far diventare tutti meritevoli. Meritevoli di che cosa, poi? Della popolarità, che, diffusa ai livelli di massa, ha distrutto il vero talento. Un tempo per essere fermato per la strada e sentirti chiedere un autografo dovevi avere il talento di Vittorio Gassman, mentre adesso viene richiesto l’autografo a persone comunissime, che non sanno fare niente di particolare.

Il calcio
E quando è cominciato tutto questo? Da quando dei ragazzi capaci solamente di giocare a pallone, in circostanze del tutto marginali rispetto ai destini dell’umanità, hanno iniziato ad essere pagati centinaia di milioni. Solo perché riuscivano a scatenare la libidine belluina di milioni e milioni di persone che andavano allo stadio. Questa è meritocrazia? Ma per favore! Viviamo in un mondo che permette di far andare avanti le nullità, in modo che queste possano arricchirsi, acquisire potere e privilegi. Viviamo in un mondo dove il merito di avere esercitato bene il talento non conta più. E questo perché non si è voluto o potuto governare un’arma portentosa e pericolosissima di comunicazione di massa qual è la televisione.

Criteri di valutazione
Un criterio di valutazione del merito può essere ancora quello dell’applauso del pubblico, ma in quegli ambienti dove il pubblico paga. A teatro, ad esempio, perché è il pubblico che sceglie di fare l’abbonamento. Nel mondo dei teatri, dove il numero degli abbonamenti tende a scemare di continuo in funzione della nota crisi economica, rallentare questo deperimento, fermarlo e addirittura invertire la tendenza, incrementando il numero degli abbonamenti è una dimostrazione di merito. Ma in televisione dove non si paga, dove la gente pigia un pulsante con pigra rassegnazione, i numeri non fanno più testo!

Il mediocre
Questo mi ricorda un personaggio molto divertente che ho interpretato anni fa in uno dei film di Fantozzi: si trattava di un capo arrogante, che si divertiva ad imporre lo sport ai suoi dipendenti. La realtà è piena di questi personaggi! Di capi che sanno essere crudeli proprio perché devono riscattarsi dal proprio passato di schiavi.

Il mediocre che siede su una poltrona è capace di qualsiasi misfatto: quando i mediocri riescono a raggiungere posizioni di grande potere diventano terrificanti, delle fenomenali armi da guerra. Prendiamo Hitler: lui era un modesto imbianchino fallito come pittore. O Mussolini: un maestrino di scuola ed uno scadente romanziere, che aveva scritto “L’amante del cardinale”, un libro davvero orrendo, si rifà architettando una gigantesca finzione, lo stato dispotico e totalitario, oltre che strangolando le libertà e la democrazia in Italia e massacrando gli Italiani in guerra. Le persone che non riescono a farsi rispettare a causa della propria mediocrità spesso cercano una rivalsa abusando del potere ottenuto in seguito. E’ quella che io chiamo “la sindrome di Nerone morente”. Che non era neppure un cantore modesto: era un cantore proprio pessimo, solo Seneca riusciva a far finta di ascoltarlo!

Spesso i mediocri tentano di far pagare la loro pochezza a chi invece mediocre non è. E possono adorare, al massimo, i divi del calcio o quelli che scrivono canzonette, perché sono i loro vendicatori. Perché quando un allenatore di pallone incassa 14 milioni di euro all’anno la gente – la stessa gente che non arriva alla fine del mese, e nemmeno alla fine della terza settimana per intenderci – non lo sottopone a lapidazione immediata? Perché queste stesse persone quando vedono un vero talento, anche se è povero in canna, lo odiano? Perché quello che temono i mediocri non è la ricchezza degli altri, tant’è vero che adorano emulare i ricchi, ma le intelligenze ed i talenti, perché quelle sono cose che non si possono comprare. La ricchezza si può ottenere con l’inganno, con le trafile, con la furbizia, con i reati… Ci si può quindi arricchire, ma non si potrà mai imparare a scrivere un endecasillabo. Del resto, secondo la leggenda è proprio così che morì Mozart: ucciso per invidia nei confronti del suo genio da chi la sua arte non sarebbe mai riuscito ad averla.

Michele Mirabella
Regista, attore di teatro, radio, cinema e televisione.
Docente di Sociologia della Comunicazione presso l’Università di Bari.
Conduce “Elisir” e “Cominciamo Bene” per la RAI

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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