La “logica integrata”

La sicurezza del lavoro non può inseguire l’innovazione o la scelta organizzative dell’impresa. Deve essere invece considerata per quello che è e cioè una peculiarità soggettiva sistemico-tecnologica, organizzativa e gestionale che deve coerentemente inserirsi nel calcolo  virtuoso della validazione del ciclo produttivo

Parlare di sicurezza del lavoro, soprattutto per gli operatori del Settore, mai come in questo momento deve significare cercare “soluzioni di tipo organico e complessivo realmente incisive”, oltre che implementare soluzioni e normative disponibili “dimensionando/approfondendo” il problema rischio. La strage di Torino ha prodotto infatti l’esplosione del “limite alto” del livello di danno che condizioni di non sicurezza “atipiche” possono produrre. Sgomentando e allertando però non solo gli addetti ai lavori, sulla necessità di un “approccio alla sicurezza” complessivo in grado di attaccare lo “zoccolo duro” che materializza l’alto livello delle morti bianche nel lavoro, inteso ed individuato come “sistema organizzato”, dunque come ciclo produttivo. Parliamo di approccio convinti che debba materializzarsi innanzitutto attraverso soluzioni “paritariamente condivise”, tutte interne al citato ciclo produttivo. Che scaturiscono da una prima opzione: la sicurezza del lavoro non può “inseguire” l’innovazione o le “scelte” organizzative dell’impresa in azienda. Deve essere invece considerata per quello che è: una “soggettualità sistemica” tecnologica, organizzativa e gestionale che deve coerentemente inserirsi nel “calcolo virtuoso” della validazione del ciclo produttivo, non solo dal punto di vista della resa imprenditoriale ma paritariamente dall’ottica della rispondenza normativa. In sintesi, deve essere protagonista coessenziale di una “logica integrata”, che caratterizza un sistema produttivo forte ed in grado di stare nel mercato. Inoltre non si deve considerare secondaria la sua fondamentale azione attiva e virtuosa riguardo la realizzazione della presenza di una “qualità nel lavoro” costantemente “monitorata e condivisa”. Dunque “integrazione tra sistema produttivo/sistema sicurezza e qualità del lavoro” non può essere scelte d’impresa “teorica”, ma elemento di competitività fortemente e qualificatamente gestionale, tutto interno alla “scelta” che il sistema azienda desidera “possedere”, in modo però paritario e condiviso, per stare “correttamente” nel mercato. Pertanto non si può che condividere ed incentivare un’azione comune dei Soggetti “protagonisti” del Settore, per incentivare la metabolizzazione nel “sistema paese” del “Patto per la tutela della salute e la prevenzione nei luoghi di lavoro” (decreto del PCM del 17 dicembre 2007), che ribadisce ad esempio la necessità di “migliorare l’omogeneità degli interventi di prevenzione sia come copertura quantitativa del territorio nazionale, sia come metodologia di intervento”. Ne deriva che la “filiera gestionale” -informazione, formazione, assistenza, vigilanza- deve raggiungere adeguati livelli sia di efficienza professionale che di dinamicità contenutistica e strutturale, in rapporto sia alla necessità “lavoro sicuro” che all’esigenza “innovazione come competitività”, che devono tagliare trasversalmente qualsiasi “sistema produttivo”.

 In questo senso ad esempio, i soggetti caratterizzanti istituzionalmente il Settore (INAIL, ISPESL, Regioni, ecc.) devono essere messi – coerentemente ed organicamente – in condizione di esercitare non solo un “sostegno qualificato” al sistema produttivo (oltre la consulenza e la vigilanza), ma di verificare il mantenimento di livelli di qualità adeguati del servizio erogato da parte dei “soggetti privati”, che possono – in base alla legislazione in essere – esercitare un ruolo di conferma degli “standard normativi” previsti per la sicurezza del lavoro e di prodotto. Il tutto per costruire e monitorare la indispensabile “sommatoria” che sostanzia quella “qualità del lavoro” sulla cui inaffidabilità e/o assenza, spesso, si declina la probabilità/possibilità non solo di infortunio, ma anche del proliferare delle stesse malattie professionali, vere “deflagrazioni a scoppio ritardato”, che si portano dietro una mortalità che è fuori dal “conto” delle morti bianche di cui con frequenza esaminiamo e discutiamo il livello e la cause. Oltre l’integrazione virtuosa dei sistemi produzione/sicurezza un ulteriore elemento di riflessione riguarda la necessità di una “crescita” della cultura della sicurezza nella coscienza sociale del paese. Ad esempio la significativa assenza di una presenza attiva della “sicurezza” nelle scuole è un elemento negativo che si riverbera non solo sulla non sicurezza dell’ambiente scuola, ma anche sulla stessa assenza di assimilazione da parte dei ragazzi/cittadini della necessità di comportamenti corretti ed adeguati, in sintesi privi di rischio. Questa non presenza accumulandosi, produce e fa lievitare un forte deficit di “contenuti” che contribuiscono in modo unitario (ambiente/vissuto) a normalizzare un’assenza di cultura/conoscenza degli elementi di non sicurezza e di comportamenti non sicuri. Non si assimila ciò che non si conosce o non si sperimenta. Si pensi al risultato negativo – riguardante la possibilità di spiegare il concetto di rischio e di misura di sicurezza – collegato alla non effettuazione delle prove di “evacuazione”. Si paragoni quanto detto con la modalità tutta giapponese di simulare condizioni di pericolo e dunque di sopravvivenza in caso di rischio sismico. Esiste dunque un problema di resa e di validazione dell’impatto formativo ed operativo, rispetto agli obiettivi di sicurezza come coscienza sociale, a cui si dovrebbe pervenire. Un ulteriore elemento che andrebbe considerato è la presenza della “sicurezza del lavoro” come componente non secondaria delle materie tecniche ed istituzionali nelle scuole secondarie superiori, al fine di costruire una congiunzione corretta tra comportamento e vissuto (percezione del rischio) nelle aree di vita e di lavoro (tecnologie e ambienti). Il completamento di tale percorso, finalizzato a costruire una implementazione della sicurezza come vissuto socio-culturale oltre che tecnologicamente corretto, dovrebbe realizzarsi all’università. La “sicurezza del lavoro” dovrebbe essere materia curriculare inserita in modo strutturalmente organico all’interno degli insegnamenti del diritto al lavoro e delle tecnologie produttive. Due “comparti” che tagliando il percorso tecnico – scientifico dei programmi di molte facoltà, realizzerebbero una convinzione culturale (capacità progettuale e certezza della obbligatorietà) all’interno del percorso professionale prescelto e realizzato dal professionista “futuro”.

Antonio Di Mambro
dirigente di ricerca del dipartimento tecnologie di sicurezza ispesl

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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