Fra infortuni e malattie professionali

Nel nostro Paese, ogni 8.100 addetti ve n’è uno che non torna più a casa dalla sua famiglia. In media, a causa di fatali infortuni sul lavoro, muoiono ogni anno 1376 persone delle quali il 7,7 % di sesso femminile. Infortuni che ogni anno costano alla comunità circa 50 miliardi di euro

Sono 8900 le persone che nell’Unione Europea ogni anno perdono la vita a causa di infortuni sul lavoro.

Nei 19 milioni di piccole e medie imprese presenti sul territorio (nelle quali prestano servizio circa 75 milioni di persone) vengono registrati l’82% degli infortuni sul lavoro, percentuale che raggiunge addirittura il 90% nel caso degli infortuni mortali. Nell’edilizia ogni anno muoiono 1300 lavoratori, mentre nell’ambito della sanità, la percentuale di infortuni è più alta del 34% rispetto alla media europea. Per quanto riguarda l’Italia, secondo i dati forniti da uno studio affidato all’Eurispes (Istituto di Studi Politici Economici e Sociali) dal presidente della Commissione attività produttive della Camera, Daniele Capezzone, tra il 2003 e il 2006 il numero dei decessi sul posto di lavorosi è rivelato a dir poco sconcertante. Negli ultimi quattro anni sono state 5.252 le persone con età media di 37 anni a perdere la vita nell’atto di svolgere le proprie mansioni lavorative. Nel nostro Paese, ogni 8.100 addetti ve n’è uno che non torna più a casa dalla sua famiglia. In media, a causa di fatali infortuni sul lavoro, muoiono ogni anno 1376 persone delle quali il 7,7 % di sesso femminile. Infortuni che ogni anno costano alla comunità circa 50 miliardi di euro. A tal proposito Capezzone afferma risoluto: “è necessario intervenire con le imprese, anziché vessarle fiscalmente e burocraticamente, occorre fare un patto per la sicurezza, intensificare i controlli ed eliminare il meccanismo appalti-subappalti”. Difficile dargli torto. è un dato di fatto che, sebbene nel corso degli anni ’90 l’attuale legislazione italiana sia stata adeguata agli standard comunitari reputati migliori su scala mondiale, le cosiddette “morti bianche” continuino ad essere una triste realtà. Questo sta a significare che non si tratta di un problema da attribuirsi ad una legge poco efficace, ma di un problema creato, per l’appunto, dal mancato rispetto delle correnti normative di sicurezza. A trovarsi nell’occhio del mirino è in particolare il settore dell’edilizia che senza dubbio è quello che miete più vittime annue. Sono, infatti, circa 850 gli sventurati che precipitano dall’alto di impalcature poco sicure e che quasi sempre muoiono sul colpo. In riferimento all’anno 2006, all’INAIL sono pervenute le denunce di 1.302 casi mortali dei quali 1.169 di competenza dell’Industria e Servizi, 121 dell’Agricoltura e 12 dei Dipendenti dello Stato, per un totale di 28 casi (15 uomini e 13 donne) in più rispetto all’anno precedente. La fascia di età maggiormente colpita da infortuni mortali è senza dubbio quella compresa tra i 35 e i 49 anni sia per gli uomini (36,9% dei casi nel 2006) che per le donne (44,5%). A seguire, la classe 18-34 anni (28,3% per i maschi e 40,6% per le femmine) e quella 50-64 anni che evidenzia per il sesso forte valori molto più alti se confrontati a quelli femminili (27,1% contro 12,9%).  Per quanto concerne gli infortuni mortali nel 2006 si è appurata una diminuzione dei casi in Agricoltura, nell’Industria della lavorazione dei minerali non metalliferi, nella Metalmeccanica, nei Trasporti e Alberghi e ristoranti. Le vittime sul lavoro sono invece aumentate nel settore delle Costruzioni, con una percentuale del 15% associata a lavoratori extracomunitari (47 su 318 nell’ultimo anno).

La morte però, fatto di per sé già sufficientemente drammatico, rappresenta molto spesso soltanto l’inizio di una tragedia che poi si perpetua per anni, se non addirittura per tutta la vita: la vita di chi continua a vivere. Va infatti tenuto presente, che nella maggior parte dei casi (considerato che sono i giovani uomini ad essere più esposti al pericolo) per ogni operaio che se ne va, c’è una vedova che rimane. Una vedova che di frequente, oltre a dover affrontare la sciagura del lutto, è anche costretta a “mettere da parte” il proprio dolore. Deve rimboccarsi le maniche per sostentare se stessa e talvolta i piccoli orfani, che giustamente continuano ad avere le medesime necessità di quando era in vita il padre. Chi è solito navigare in internet ha la possibilità di visitare le decine di blog che trattano l’argomento. Sono davvero tante, troppe, le testimonianze di persone affrante che da un lato hanno bisogno di uno sfogo, ma che dall’altro cercano soprattutto un aiuto concreto e continuativo. Ad oggi gli indennizzi per le tante famiglie rimaste senza quella che era la fonte di mantenimento primaria paiono essere del tutto insufficienti o perlomeno inadeguati. Maria Giovanna Sechi, vedova di un operaio disgraziatamente morto sul lavoro, dice: “Sono ormai quindici anni che mio marito non torna più a casa la sera: è morto mentre lavorava. 850 euro al mese non pagheranno mai la sua vita, la solitudine e il dolore mio e di mia figlia. Mi sono chiesta mille volte perché. Possibile che nessuno senta le grida di questi martiri e il pianto delle loro famiglie? Quante lacrime dobbiamo ancora piangere?”. Difficile risponderle. Le sue parole sono le parole di tantissime altre donne che non chiedono pietà, ma solo giustizia, perché se l’articolo 1 della nostra Costituzione afferma che: “L’Italia è una Repubblica democratica fondata sul lavoro”, questo dovrebbe significare che il lavoro, oltre a nobilitare l’uomo, dovrebbe anche consentirgli di restare vivo. Per quanto riguarda gli infortuni in generale, alla data di rilevazione ufficiale del 30 aprile 2007, sono state 927.998 le denunce presentate all’INAIL in merito a quelli verificatisi nell’anno 2006. 836.366 incidenti sono avvenuti nel settore Industria e Servizi, 63.019 in quello dell’Agricoltura e 28.613 tra i Dipendenti dello Stato. L’analisi comprende i lavoratori delle tradizionali gestioni INAIL dell’Industria e Servizi e dell’Agricoltura, ma include anche i Dipendenti statali tutelati direttamente dalle amministrazioni centrali dello Stato la cui assicurazione è in ogni caso gestita dall’INAIL con una forma di gestione per conto dello Stato. Per capire l’andamento infortunistico non va affatto sottovalutata la presa in esame della forma contrattuale del lavoratore. Le forme di lavoro atipico come, per esempio, quella dei lavoratori parasubordinati (che operano principalmente nei settori delle Attività immobiliari e servizi alle imprese, del Commercio e dei Servizi in genere) e quella dei lavoratori interinali (per lo più operai adibiti a lavori manuali nei settori dell’Industria manifatturiera, Metalmeccanica, delle Costruzioni e dei Trasporti che svolgono incarichi di durata di solito inferiore ad un anno) hanno fatto registrare, in termini di infortuni, i maggiori incrementi nell’anno 2006 (+19% circa rispetto al 2005, per entrambe le categorie).

L’utilizzo dei lavoratori interinali è particolarmente diffuso al Nord ed è proprio al Nord, in particolare in Lombardia ed Emilia Romagna, che si concentrano gli infortuni (75% dei casi). Il tasso di frequenza infortunistica per questo tipo di salariati è senza dubbio più elevato di quello medio registrato per gli addetti dell’Industria e Servizi. Per quanto riguarda invece i lavoratori parasubordinati, gli infortuni oltre che nel Nord-Est (37%) e nel Nord-Ovest (27%), sono diffusi anche nelle regioni del Centro (25%). Nelle categorie lavorative più classiche si registra una significativa flessione degli infortuni nell’ambito del lavoro autonomo, mentre il lavoro dipendente, che rappresenta la quota maggioritaria (oltre l’80% del totale), segna lievi incrementi sia in termini assoluti che percentuali. Le regioni con il maggior numero di infortuni continuano ad essere quelle del triangolo padano (nell’ordine la Lombardia con il 17% del totale nazionale, l’Emilia Romagna con il 14,4% e a finire il Veneto, 12,2%: insieme oltre 400.000 casi, pari al 43,6% del complesso). Ciononostante, a differenza del complesso degli infortuni, nel 2006 quasi il 50% dei decessi sul lavoro si sono verificati nel Centro, Sud e Isole. A livello settoriale la diminuzione degli infortuni sul lavoro è stata più accentuata nell’Industria (pari a -2,2%), mentre nei Servizi si è constatato un leggero incremento (+0,2%). Per i casi mortali, invece, si è riscontrato un andamento opposto (+8,7% per l’Industria e -0,4% per i Servizi). Il calo rispetto al 2005 è stato sensibile nell’Agricoltura, nell’Industria manifatturiera e, nell’ambito di quest’ultima, nei settori dell’Industria del tessile e del legno. Diminuzione anche nelle Costruzioni. Nei Servizi, ad una riduzione degli infortuni nel settore del Commercio ed in quello degli Alberghi e ristoranti, si è contrapposto il sensibile aumento dei casi denunciati nei Servizi alle imprese e nel Personale domestico dove si registra una robusta componente di forza lavoro straniera. Il problema di indennizzi inappropriati tocca anche coloro che per fortuna non hanno subito incidenti mortali, ma che comunque sono stati vittime di infortuni più o meno gravi. Per quanto concerne le inabilità derivanti da un infortunio, la legge considera (art. 210, c. 2, 3, 4, D.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124):

– inabilità permanente assoluta: la conseguenza di un infortunio che tolga completamente e per tutta la vita l’attitudine al lavoro.

– inabilità permanente parziale: la conseguenza di un infortunio che diminuisca in misura superiore al 10% e per tutta la vita l’attitudine al lavoro.

– inabilità temporanea assoluta: la conseguenza di un infortunio che impedisca totalmente e di fatto di attendere al lavoro per un determinato periodo.

La Corte di Cassazione ha precisato, con sentenza del 18 febbraio 2004, n. 3213, che: “il datore di lavoro è sempre responsabile dell’infortunio occorso al lavoratore, sia quando ometta di adottare le idonee misure protettive, sia quando non accerti e vigili che di queste misure venga fatto effettivamente uso da parte del dipendente, non potendo attribuirsi alcun effetto esimente per l’imprenditore che abbia provocato un infortunio sul lavoro per violazione delle relative prescrizioni l’eventuale concorso di colpa del lavoratore”. A quanto pare la legge è molto chiara, ma forse non lo è troppo per quei datori di lavoro poco corretti che cercano una giustificazione alla loro inadempienza e così facendo non consentono ai dipendenti incidentati di ricevere l’indennizzo che di diritto gli spetta. Nel mondo del lavoro, inoltre, non sono da sottovalutare le cosiddette malattie professionali, ovverosia, quelle patologie che si sviluppano a causa della presenza di stimoli nocivi nell’ambiente di lavoro. Gli agenti responsabili sono molteplici e molto spesso i lavoratori sono esposti alla loro azione inconsapevoli dei rischi a cui vanno incontro. Sono 142.000 le persone nell’Unione europea che ogni anno muoiono per colpa di malattie professionali. Circa un terzo dei decessi registrati è da attribuirsi a sostanze chimiche dannose, ma rimane l’amianto il responsabile del maggior numero di vittime annue (21.000). In Italia il settore terziario occupa il maggior numero di lavoratori ed è il settore in cui si registrano molte tipologie di malattie professionali, che seppur non gravi, sono rilevanti per il numero dei casi appurati. In questo ambito il rischio è dato, per esempio, dall’uso del computer a cui si correlano problemi di vista, patologie spinali, sindrome del tunnel carpale e stress. Inoltre, il 60-90% dei lavoratori soffre, almeno una volta nella vita, di disturbi dorso lombari, mentre, il 15-42% dichiara di esserne afflitto periodicamente. Più di 60 milioni di lavoratori europei sono costretti ad elevati livelli di rumore per più di un quarto dell’orario di lavoro è questo, nel tempo, comporta una parziale o totale perdita dell’udito. Lo stress, infine, rappresenta una piaga di non poco conto sia a livello sociale che economico: oltre la metà di tutte le giornate lavorative perse è da imputarsi ad esaurimento nervoso del personale.

L’affaticamento emotivo legato all’attività professionale compromette la qualità della vita di quasi un addetto su quattro che, per questo motivo, non può fare a meno di assentarsi dal luogo in cui presta servizio.

Cinzia La Calamita
Scrittrice, segretario dell’istituto di ricerca internazionale
sul disagio e la salute nell’adolescenza (IRIDSA)

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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