L’importanza di educazione e formazione

Gestire il disagio giovanile nella scuola vuol dire affermare che il senso delle cose è dentro la cultura della scuola, la quale deve guardare al bullismo con occhio attento rientrando nei suoi compiti di formazione integrale delle persone, ma soprattutto ad intrecciare legami e rapporti, sino a pervenire al superamento del bisogno che determina il permanere del disagio e quindi il manifestarsi di azioni morali e fisiche violente

Più che una esposizione di argomenti, questo mio contributo vuole essere una riflessione in ordine al fenomeno del “bullismo nella scuola”.

Va riscontrato un aumento preoccupante nei giovani di oggi – anche se non è corretto generalizzare – di problemi psicologici e conseguenti comportamenti abnormi: dall’uso di sostanze tossiche ai tentativi di suicidio, dalle manifestazioni di asocialità e vagabondaggio sino ai delicati problemi di disadattamento che sfociano spesso in meccanismi di aggressività, di intolleranza e di violenza.

Tra questi il “bullismo” di cui ci si è dovuti occupare ultimamente nella scuola.
Dagli adolescenti, purtroppo, giungono sempre più frequenti segnali di disagio, che in alcuni casi limite si manifestano anche con gesti drammatici, lesivi della propria e dell’altrui incolumità.

La persona che soffre di disagio è colui che – dotato comunque di normali potenzialità di crescita, spesso individuo brillante dalla faccia pulita – è tuttavia stimolato dall’assetto interattivo in cui si trova ad apprendere in modo sbagliato come porsi in relazione con se stesso, con il mondo delle persone e delle cose.

E’ innegabile che questa situazione di disagio è la conseguenza di un modo di vivere precario: dalla perdita di punti di riferimento ideali e valoriali derivano infatti molti dei fenomeni caratterizzanti segmentazione, frammentarietà, sradicamento e certo pendolarismo fra mondi vitali diversi, spesso dissonanti.

Da qui anche la difficoltà a definire una identità, costretti come spesso avviene a confrontarsi con quadri troppo diversi di valori e di regole, o tentati di rifugiarsi in una intersoggettività di piccolo gruppo o nella propria soggettività, quando non si finisce nella solitudine che demotiva ogni progetto e ogni impegno e porta alla vera e propria emarginazione.

Il rischio è quello di una identità debole o, peggio, di una identità disponibile alle più diverse molteplici sollecitazioni.
Ecco che allora entrano in gioco gli adulti, cioè docenti e genitori. Infatti genitori e docenti sono le persone meglio qualificate per prevenire disagio e disadattamento, per combattere il “bullismo” e per aiutare con la loro azione educativa i processi di crescita e di interazione dei ragazzi.

Gestire questo disagio nella scuola vuole dire affermare che il senso delle cose è dentro la cultura della scuola, la quale deve guardare al “bullismo” con occhio attento rientrando nei suoi compiti di formazione integrale delle persone: i soggetti vanno aiutati – non soltanto nell’acquisizione di competenze – ma soprattutto ad intrecciare legami e rapporti, sino a pervenire al superamento di quel bisogno che determina il permanere del disagio e quindi il manifestarsi di azioni morali e fisiche violente.

Ciò significa attivare il luogo “scuola” come momento vero di socializzazione, di arricchimento della personalità, di occasione di rapporti con i “pari” e con gli adulti: e affermare ciò non significa banalizzare apprendimento e istruzione, ma dare significato alla fatica culturale e valore al rapporto relazionale.
Non senza una certa dose di provocazione, si potrebbe dire che nella famiglia, e ancor più nella scuola, un corretto rapporto educativo si fonda anzitutto su un ricupero di autorevolezza: quella autorevolezza fondata sulla competenza e sull’esperienza personale degli adulti. Purtroppo nella scuola (ma anche in famiglia) viene ad emergere un vuoto ed una impotenza educativa incapace di ergersi a baluardo di fronte al degenerare delle situazioni.

La scuola, considerata l’importante funzione educativa e di socializzazione che riveste, in particolare nella costruzione dell’autostima e nello sperimentare ed acquisire abilità sociali, diventa il luogo privilegiato per interventi a carattere preventivo. Non tutti gli episodi di “bullismo” avvengono nella scuola, ma la scuola è certamente l’ambiente dove più facilmente si possono contrastare e prevenire.
Spesso queste relazioni tra ragazzi nella scuola sono prese in poca considerazione; le sfide più grandi per gli adolescenti non sono tanto le interrogazioni e gli esami, ma i processi di inserimento nel gruppo. Ogni scuola ha una sua sub-cultura di convivenza, il gruppo dominante impone i suoi prezzi e le sue leggi.

Tutti gli adulti di riferimento dei ragazzi hanno comunque la responsabilità di attivarsi, ognuno nel proprio ruolo e compito educativo.
E’ una responsabilità grande per la scuola e per i genitori perché, attraverso il “bullismo”, si arriva a comportamenti devianti e delinquenziali ma soprattutto perché, chi è vittima in modo ripetuto, ne porta le conseguenze per molto tempo e spesso per tutta la vita. La riduzione del “bullismo” crea un clima scolastico favorevole all’apprendimento e costituisce il terreno sociale per l’educazione alla legalità.

Ecco ciò che la scuola è tenuta a fare: aiutare il ragazzo ad amare la scuola, ad amare lo studio, a rendersi conto che il momento scolastico è momento di conquista, è la palestra per individuare e per attivare la propria responsabilità e le proprie attese culturali.
Spesso alla base del “bullismo” c’è il disinteresse nei riguardi dello studio e l’angoscia di dover frequentare la scuola, fattori che determinano la ribellione, e quindi l’emergere della sopraffazione, della prepotenza e della violenza come valvola di sfogo.

D’altro canto la scuola è una istituzione formativa che, se da un lato deve considerare il soggetto – cioè lo studente – come elemento centrale del suo operare, proprio per questa sua centralità, esso deve essere aiutato a conseguire un metodo di lavoro che lo abiliti alla “criticità” in ordine ai fatti culturali ed esistenziali del mondo reale.
La vita comporta l’assunzione di impegni e di responsabilità. Ciò significa, per gli adulti, assumere la responsabilità educativa nei confronti di ciascun ragazzo, nell’ambito di una relazione, certamente di gruppo, ma anche, se non particolarmente, individuale, che tenga conto del suo essere persona, con i problemi di crescita di ognuno e con il vissuto che ciascuno porta con sé. Occorre essere attenti all’insorgere di questi eventi.

Certo, si ha a che fare con la reticenza iniziale dei ragazzi; si ha a che fare con la loro autoreferenza. Tuttavia alcuni elementi possono essere indicatori del malessere:
* l’altezzosità e l’arroganza nei comportamenti, anche in famiglia;
* lo stile di vita a cui il soggetto viene abituato nel quale prevale la fretta di agire e di prendere, ma anche la conseguenza di una educazione autoritaria e intollerante;
* l’affronto di modelli educativi coercitivi che legittimano i comportamenti aggressivi, ma anche modelli educativi troppo permissivi e tolleranti, e quindi poco contenutivi di valori.

Sono questi alcuni elementi su cui riflettere, perché capaci di far individuare le ragioni che hanno portato e portano ad un agire anomalo.
L’introduzione dell’autonomia – anche se si tratta di una autonomia ancora da sviluppare e da completare – ha sostanzialmente affermato che il valore di una scuola deriva dalla sua capacità di formulare un progetto educativo ed un percorso formativo affidabili e rispondenti alle attese e alle richieste dei cosiddetti “utenti” (studenti e famiglie, in primo luogo).

Si tratta di riaffermare con decisione che solo un curricolo costruito attorno ad un preciso progetto educativo, condiviso da studenti e genitori, è in grado di far crescere adulti responsabili, capaci di controllare la complessità del mondo in cui vivono, e di seguire – senza smarrirsi – l’intreccio delle loro esperienze.
Se l’educazione è la vita che si sviluppa, allora il metodo da seguire perché ciò avvenga è la comunicazione di sé. Perciò una educazione deve, da una parte, proporre chiaramente un senso unitario delle cose, dall’altra spingere il ragazzo, lo studente, a confrontare con quel criterio ogni momento, ad impegnarsi cioè in una personale esperienza, in una verifica.

Mettere in comune l’esperienza favorisce il giudizio, lo sguardo e l’uso delle cose. Aiuta a capire l’insorgere di manifestazioni insane tra gli alunni e tra gli studenti, e così a mettere in atto sui soggetti coinvolti un approccio positivo. Non dimentichiamo mai che un atteggiamento aggressivo può anche essere normale e per certi versi tollerabile, ma se perdura, e l’aggressività risulta radicata e critica, significa che nel soggetto è a totale rischio la sua identità personale.
Nella scuola occorre, non soltanto instaurare un rapporto con il sapere, ma soprattutto favorire un rapporto con la vita, rapporto che coinvolgendo ragazzi, genitori e insegnanti, aiuta il ragazzo ad una elaborazione di un giudizio sulla vita come criterio di affronto della realtà.

I genitori, al pari dei docenti, hanno una funzione importante nella riacquisizione di atteggiamenti legali nella scuola e nella vita: la scuola da sola non è in grado di promuovere una educazione integrale della persona senza la loro presenza educante.
Da qui la necessità di rapporti tra docenti e genitori: docenti e genitori hanno bisogno di superare un certo protagonismo individuale e promuovere “formazione” insieme. Nasce quindi l’urgenza di creare alleanze tra adulti e di fare percorsi formativi ed educanti insieme.
Scuola e famiglia debbono e possono interagire: tutto ciò è possibile nella misura in cui ciascuno gioca fino in fondo il proprio ruolo.

Maria Grazia Colombo
Presidente Nazionale Agesc

Massimiliano Fanni Canelles

Viceprimario al reparto di Accettazione ed Emergenza dell'Ospedale ¨Franz Tappeiner¨di Merano nella Südtiroler Sanitätsbetrieb – Azienda sanitaria dell'Alto Adige – da giugno 2019. Attualmente in prima linea nella gestione clinica e nell'organizzazione per l'emergenza Coronavirus. In particolare responsabile del reparto di infettivi e semi – intensiva del Pronto Soccorso dell'ospedale di Merano. 

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