Il no di un educatore contro la diseducazione delle nuove generazioni. Ovvero: chi diseduca alla paternità con un referendum

«Ho accompagnato la mia ragazza ad abortire perché non sapevo che avremmo distrutto una vita umana». Queste potrebbero essere le parole di un giovane nelle testimonianze raccolte in una ricerca statunitense in cui si segnala che due terzi degli uomini che hanno voltato le spalle al figlio concepito, abbandonandolo alla violenza dell’aborto, hanno acconsentito perché non avevano idea del fatto che la vita umana inizia al momento del concepimento (cfr. T. Strahan, The critical influence of the Prospective Father on Abortion-Decision Making, University Faculty of Life, 1999, www.uffl.org).

In un momento storico in cui, grazie anche allo stimolo di autorevoli studi italiani, si riflette con attenzione sull’assenza del padre dalla vita dei figli, sulle cause e le conseguenze di questo allontanamento, noi educatori ci troviamo a fare i conti con il rischio di innescare un ulteriore processo diseducativo e deresponsabilizzante sulle nuove generazioni, e, nel nostro specifico, sui giovani che un domani potrebbero essere padri.

Già il quadro normativo complessivo delle leggi abortiste, varate in Occidente negli ultimi 30 anni, ha accantonato la figura paterna da ogni decisione riguardante la vita del figlio destinato all’aborto, lanciando ai giovani da un lato il messaggio deresponsabilizzante per cui il padre deve starsene fuori dal destino della vita al cui concepimento ha contribuito, e dall’altro l’insegnamento diseducativo per cui (in Italia) ci si può sbarazzare di un figlio entro i primi 90 giorni, come dire che entro i primi tre mesi di vita un essere umano non conta niente.

Come se non bastasse ora, a questo scenario antipedagogico di involuzione della visione del valore della vita umana e della genitorialità, si aggiunge il tentativo referendario di abolizione dei passaggi della Legge 40/2004 che tutelano i diritti del concepito, per permettere la consegna dell’essere umano allo stadio embrionale nelle mani delle tecniche biologiche con finalità di selezione eugenetica, sperimentazione o clonazione. Come dire ai giovani che la vita umana non conta niente del tutto, a meno che sia di utilità per qualcuno (che magari mosso da intenzioni non troppo umanitarie ci guadagna pure).

Se dunque i giovani, magari futuri padri, crescono in un orizzonte culturale in cui la vita umana non ha un valore assoluto, in cui la dignità umana dipende dal riconoscimento che se ne fa in relazione all’utilità, in cui la vita concepita assume o no valore a seconda delle inclinazioni sociali del momento (magari affidate al rilevamento di un referendum in cui conta chi detiene il maggior potere mediatico), non lamentiamoci poi se i giovani, diseducati da questo messaggio di disimpegno e di incapacità di riconoscere che la vita dell’essere umano ha valore inestimabile e inizia con il concepimento, estenderanno poi tale disattenzione e assenza di responsabilità anche nei confronti della vita dei loro figli.

Resta ancora un nodo da sciogliere. Nel caso in cui l’inviolabilità e la non disponibilità della vita umana venissero frantumate da un quesito referendario, gli insegnanti e gli educatori cosa se ne faranno dell’impegno che ogni giorno destinano alla trasmissione della cultura in materie come la storia o l’educazione civica? Forse continueranno la loro generosa opera, ma una cosa è certa: non potranno più mostrare agli allievi il significato dei grandi documenti, scritti peraltro dopo gravissimi episodi della storia umana per evitarne il ripetersi. Sarebbe infatti molto difficile per un insegnante spiegare agli allievi la notevole importanza dell’art. 3 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo del 1948 secondo cui “ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona». Tanto meno potranno essere di utilità educativa la Dichiarazione dei Diritti del Bambino del 1959 o la Convenzione sui Diritti dei Bambini del 1989…Il docente non potrebbe rispondere infatti alla alzata di mano del giovane turbato e ansioso di sapere perché tutto questo per la vita umana nascente non vale. L’unico insegnante con la risposta pronta sarebbe il terribile Herr Pompetzi, il professore dell’Amico ritrovato di Uhlman, che direbbe: «e tu…ricorda che devi essere paziente. Presto tutti i nostri problemi saranno risolti. E adesso torniamo alla nostra lezione di storia». Infatti durante il nazismo non vi furono padri, ma solo capi sordi e ciechi. Il vero padre educa all’amore, alla sollecitudine nei confronti della vita, e alla libertà.              

Antonello Vanni
autore del libro “Il padre e la vita nascente. Una proposta alla coscienza cristiana in favore della vita e della famiglia”

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