Ammazzati dalla fine di un amore

L’anello debole nelle storie di separazioni sono i figli.
I dati raccolti sui giornali rivelano che negli ultimi dieci anni sono stati uccisi 158 minori, più di 10 ogni anno, per conflitti fra genitori in fase di separazione

Di separazione si può morire. E non solo in senso metaforico. Basterebbe scorrere i titoli dei giornali degli ultimi anni, per accorgersi che, quando il delicatissimo equilibrio di un matrimonio va in frantumi, sono troppe le vite che si spezzano. L’osservatorio dell’associazione Ex a suo tempo l’ha fatto, passando al setaccio gli articoli di cronaca dal ’96 al 2003 e contando le vittime. Con il secco linguaggio dei cronisti, questa “antologia di Spoon River” senza poesia inizia con lo psicologo di Aosta che, nell’aprile 1996, si diede fuoco per riavere la figlia, e si chiude con due suicidi-omicidi: quello del padre che, a novembre 2003, a Catania, uccise la moglie e la figlia prima di spararsi e quello della madre che, a Milano, nel dicembre 2003, annegò nel canale con il figlio di due anni. Otto anni che sembrano una strage silenziosa, con un’escalation preoccupante, dai 19 decessi del biennio ’96-’97 ai 108 del biennio 2002-2003, cinque volte tanto.

Uomini che strangolano le mogli e si tolgono la vita, quattordicenni che si suicidano dopo la separazione dei genitori, padri che ammazzano le figlie che hanno cresciuto, mariti che si impiccano perché la compagna di una vita li ha lasciati, farmacisti e carabinieri suicidi perché non possono vedere i loro bambini, donne depresse che, a coppia “scoppiata” si gettano con l’auto nelle acque del porto assieme ai figli, madri che si cospargono di benzina e si danno fuoco perché non possono più vedere i loro bimbi. E, quando si tira la linea di questa macabra addizione, i morti sono 218, di cui 110 suicidi (68 al termine di un delitto). Secondo il monitoraggio effettuato da Ex, nel disagio causato dalla separazione e dai figli contesi, su 110 casi, 102 (93%) riguardavano uomini, padri e mariti, seguiti da 4 casi di suicidio di minori e 4 di donne che si tolgono la vita. Ma questa terribile “antologia” di sangue continua anche ora. E’ di ottobre scorso uno degli ultimi casi che hanno scosso il Friuli, con un padre, che, a Monfalcone, ha ucciso a pistolettate la moglie e poi ha rivolto l’arma contro di sè.

Omicida e suicida, perché la moglie aveva avviato le pratiche per una separazione che lui non riusciva ad accettare. In ballo c’erano i suoi due figli. La storia si ripete. E non è a lieto fine. L’anello debole nelle storie di separazioni sono i figli. I dati raccolti sui giornali rivelano che negli ultimi dieci anni sono stati uccisi 158 minori, più di 10 ogni anno, per conflitti fra i genitori in fase di separazione. Nello stesso periodo i fatti di sangue legati alla fine di una convivenza sono stati 691, con 976 morti: nel 98 per cento dei casi i delitti riguardavano una coppia con figli, mentre solo nell’1,7 per cento la coppia non aveva figli. A detenere il triste primato dei fatti di sangue è il Centro Italia, con quasi due fatti di sangue su cinque (37,7%), seguito dal Nord (34,5%) e dal Sud e isole (27,8%). In tre casi su quattro (76,6%) a commettere i delitti è un uomo di età fra i 30 e i 40 anni. E, se una vittima su due è una donna, ogni sei delitti a morire è il figlio (16,1%). Dati agghiaccianti che, a fine ottobre, sono stati allegati a una mozione presentata alla Camera da Carla Mazzuca e Marco Boato, per chiedere al governo maggiore impegno a favore della bigenitorialità. Perché l’antologia di sangue non è ancora arrivata all’ultima pagina.

Anzi. Le separazioni, lo dice l’ultimo rilevamento dell’Istat, sono in costante aumento, come i divorzi: nel 2002 erano 79mila 642, con un incremento del 4,9 per cento rispetto a dodici mesi prima, del 52,2 per cento rispetto al 1995. Se nel 1995, ogni mille matrimoni si verificavano circa 158 separazioni e 80 divorzi, sette anni dopo le proporzioni sono arrivate a 257 e 131, con una netta prevalenza a Nord. A far scattare la molla della violenza, contro di sè e contro i componenti del proprio nido familiare, secondo le associazioni che si occupano del problema, è soprattutto la sofferenza per l’allontanamento forzato dai figli e l’inibizione del ruolo genitoriale. Ma spesso a questo si legano anche le difficoltà economiche che intervengono dopo una separazione e che molti uomini non riescono a sostenere. Quando il matrimonio si spezza, il genitore non affidatario (nel 93% dei casi il padre) si trova senza casa, con un assegno di mantenimento da pagare che va dai 400 euro (per un reddito netto mensile di mille euro) ai 2500 (per un reddito di 1300), il 50 per cento delle spese sanitarie, scolastiche e sportive da coprire fino all’autosufficienza dei figli e, spesso deve anche versare una quota del mutuo contratto per la casa coniugale. Da un giorno all’altro diventano dei “nuovi poveri”.
E non tutti riescono a sopportarlo.

Camilla De Mori
giornalista de Il Gazzettino

Rispondi